Martedì 12 luglio riprenderà il confronto tra governo e parti sociali sulle tematiche del lavoro e delle retribuzioni al fine di aiutare famiglie ed imprese a combattere inflazione e caro vita.
Con un’inflazione all’8% e i salari che non crescono più in Italia da ormai trent’anni, si potrebbe assistere all’esplosione della povertà e alla distruzione dello stato sociale se non si interviene tempestivamente; intanto cala di un 5% sui valori reali il potere d’acquisto dei cittadini dello Stivale.
Le misure a cui governo e parti sociali, ma anche la stessa Confindustria, stanno pensando sono essenzialmente due: il salario minimo ed il taglio del cuneo fiscale.
Il primo provvedimento è stato erroneamente denominato: seppure la discussione in merito all’introduzione per legge di un salario minimo sia in atto, ciò a cui si fa riferimento in questo momento nel dibattito italiano è la proposta del ministro del Lavoro Andrea Orlando di un livellamento verso l’alto dei contratti nazionali di categoria. Ciò significa omologare i contratti di settore secondo il modello migliore e più vantaggioso per i lavoratori.
Secondo lo stesso ministro così facendo si eviterebbe l’ideologizzazione della misura poiché si avrebbe una sorta di salario minimo diversificato per ambito mantenendo le forme di contrattualizzazione concordata, ossia non si andrebbe a perdere né l’uno né l’altro aspetto.
Inoltre una delibera di questo tipo ridurrebbe l’erosione inflattiva, cosa che invece permarrebbe se si tagliasse esclusivamente il cuneo fiscale.
Venendo appunto al secondo dispositivo in discussione, la riduzione del cuneo fiscale, questo trova un ampio favore tra organismi economici ed istituzionali, ma permangono importanti diversità di vedute sulle modalità applicative.
Innanzitutto un primo disallineamento è di carattere ideologico: la sinistra punta ad una riduzione a favore della forza lavoro, la destra invece la vorrebbe mirata sulle imprese. In seconda battuta vi è una linea di faglia tra sindacati e Confindustria: i primi chiedono un taglio fiscale e non contributivo, da foraggiare anche mediante la tassazione delle rendite finanziarie; la seconda gradirebbe una decurtazione alle imprese che vada ad impattare sui contributi e non sul sistema impositivo.
Eppure, quasi a mediare tra chi preferisce un intervento piuttosto dell’altro e chi lo declina poi in un modo chi in un altro, interviene lo stesso ministro del Lavoro Orlando. Questi difatti insiste sulla complementarietà delle due misure: una riforma organica e strutturale del mercato del lavoro richiede la compresenza dei due dispositivi.
I bassi salari possono essere migliorati dall’abbattimento del cuneo fiscale, tuttavia questo da solo non basterebbe, vista l’alta inflazione, la quale rischierebbe di mangiarsi quanto risparmiato in tasse. Inoltre se il salario più che basso è frutto di un impiego poco remunerativo, la riduzione del cuneo diverrebbe una mossa praticamente insignificante.
Per ovviare a questo problema interviene il trattamento economico complessivo, o salario minimo detto impropriamente: questa seconda azione legislativa garantirebbe stipendi in se stessi più alti, che diverrebbero ancora più rispondenti ai rincari odierni con il minore accumulo di tasse da pagarvi sopra.
Da martedì il confronto nel governo si rianima, milioni di lavoratori aspettano una risposta ai propri patimenti.
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