Fra poco più di due settimane inizieranno i Mondiali di calcio in Qatar, i primi invernali (anche se siamo in autunno), i primi che si disputeranno in Medio Oriente. Non certamente, però, i primi che hanno attirato così tante critiche su di sé fin dal momento dell’assegnazione da parte della Fifa.
Nuove ombre, però, sono state gettate sui campionati, e arrivano direttamente dalla Svizzera, lo stesso Paese in cui c’è la sede della federazione internazionale. Secondo quanto rivelato in un servizio di ieri della Rundschau, da Doha, e quindi dall’emirato qatariota, avrebbero pagato 387 milioni di euro per una rete di spionaggio con dentro ex agenti della Cia con l’obiettivo di non far cambiare idea alla Fifa sull’assegnazione dei Mondiali per il 2022.
Il 20 novembre, nello stadio Al-Bayt ad Al Khawr, inizieranno ufficialmente i Mondiali del 2022 con i padroni di casa del Qatar, che partecipano per la prima volta alla competizione, che sfideranno l’Ecuador. Una storia lunga dodici anni, o più, che è partita nel momento in cui, il 2 dicembre 2010, la Fifa ha deciso di assegnare proprio al Paese mediorientale l’organizzazione della Coppa del mondo.
Che ci siano state delle pressioni da parte dell’emirato qatariota sulla scelta della federazione è venuto a galla a novembre dello scorso anno, quando l’Associated Press ha svelato che un ex funzionario della Cia, precisamente Kevin Chalker, aveva lavorato affinché il voto dei dirigenti sportivi propendesse in larga parte verso il Qatar e non sulle altre candidate, come effettivamente è stato.
Di mal di pancia, in effetti, ce ne sarebbero stati parecchio anche prima e durante l’assegnazione, non solo dopo. Lo Stato del Medio Oriente, il primo in cui si disputerà il torneo, infatti, è stato spesso accusato (a ragione) di aver una democrazia piuttosto fragile. Nel corso del tempo, poi, i riflettori sono stati puntati soprattutto sulle condizioni lavorative dei tanti migranti che avevano il compito di costruire gli stadi nei deserti: quasi 7000 di loro, per lo più bangladesi, sono morti. Di qualche giorno fa, tra l’altro, la notizia per cui mille lavoratori sono stati sfrattati per ospitare i tifosi dei Mondiali.
A iniziare da Amnesty International passando per la nazionale della Norvegia, in molti si sono chiesti se fosse giusto boicottarli, specie per la violazione dei diritti umani. Alcuni si sono dati delle risposte interne, altri hanno deciso di proseguire nella strada che li avrebbe potuti portare a giocarseli, senza però riuscirci. Nella Fifa, però, nessuno si è posto il dubbio.
E quella scelta presa nel 2010 non è mai stata cambiata, non ha neanche mai vacillato, in effetti. Anche su questo, però, ci potrebbe essere una spiegazione. In un’inchiesta condotta dalla Rundschau, la tv svizzero-tedesca Srf, e resa nota solo ieri, dimostrerebbe come da Doha abbiano continuato con l’operazione di spionaggio anche dopo l’assegnazione con l’obiettivo, appunto, di non perdere quello che aveva conquistato.
L’operazione, nota come Project Merciless, per cui dal Qatar avrebbero ingaggiato una società statunitense composta principalmente (e ancora una volta) da ex collaboratori dei servizi segreti americani, la Global risk advisor, sarebbe costata 387 milioni di euro e aveva il compito, in pratica, di mettere a tacere le critiche sulla situazione del Paese, oltre che avvalersi di attacchi informatici per accedere ai computer dei dirigenti della Fifa. Una rete, per altro, che agiva in tutti e cinque continenti, ma soprattutto in Svizzera, dove ha sede la federazione internazionale calcistica.
E infatti, l’ex presidente Joseph Blatter, sentito dall’emittente elvetica, ha dichiarato che si era reso conto che il suo telefono era sotto controllo e che dal suo entourage uscivano informazioni riservate: “Ho pensato ad azioni di spionaggio – ha detto -, ma non avevo delle prove. Ma queste informazioni non mi sorprendono, piuttosto mi rattristano“.
Ma nel mirino dei qatarioti era finito soprattutto Theo Zwanziger, il numero uno della Dfb, la federazione calcistica tedesca, fino al 2012 e che, fino al 2015, era uno dei membri esecutivi della Fifa, a cui non era mai piaciuta l’idea dei Mondiali nel Paese mediorientale, tanto da definirlo “il cancro del calcio mondiale“.
Puntare sul tedesco serviva per fargli cambiare, cosa che lui non ha mai fatto. Nell’intervista a Srb, ha spiegato che “lo spionaggio infrange un tabù. Questa gente crede al calcio e al suo ruolo sociale, non è solo uno sgarro, è ben peggio“. Non solo, però, perché ha anche dichiarato di aver chiesto a Gianni Infantino, attuale presidente della federazione, di intervenire aggiungendo che “non lo farà, ovviamente, perché è un vassallo del Qatar“.
Ecco, appunto. A prescindere dalle accuse per Infantino, dalla Fifa non hanno ancora commentato l’inchiesta, mentre dal governo del Qatar hanno respinto ogni accusa su quanto fatto emergere dalla tv svizzera.
Una presa di posizione usuale, certo, ma decisamente strana considerando il fatto che dai documenti in possesso dell’emittente pare sia stato l’emirato, compreso Tamim bin Hamad Al Thani ad avallare la scelta di ingaggiare la rete di spionaggio.
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