Il tema di come l’Australia accoglie profughi e immigrati arriva sulle pagine di tutto il mondo dopo la telefonata tra Donald Trump e il primo ministro australiano Malcolm Turnbull in merito a un accordo siglato dall’amministrazione Obama. La nazione-continente ha infatti un grave problema nella gestione dei migranti e Barack Obama venne incontro alle loro richieste, accettando di accogliere 1.250 profughi stipati nei centri delle isole Nauru e Manus in Papua Nuova Guinea. Accogliere profughi dopo aver chiuso le porte con il cosiddetto “muslim ban” è l’ultima cosa che Trump vuole fare ed è per questo che la telefonata con Turnbull si sarebbe trasformata nella “peggiore avuta finora” dal neo presidente. La ricostruzione della stampa americana e australiana parla infatti di un tycoon su tutte le furie, che ha chiuso la telefonata dopo 25 minuti al posto dell’ora concordata: l’accordo, sostiene l’Australia è valido e gli USA si devono prendere questi profughi.
La giornata di Trump sarebbe poi proseguita con la telefonata al presidente messicano Enrique Peña Nieto in cui avrebbe addirittura minacciato l’invio dell’esercito al confine per fermare i “bad hombres”, gli uomini cattivi. Dal Messico è arrivata la smentita, così come dall’Australia non sono arrivati altri commenti.
Le reazioni alla politica di chiusura di Trump iniziano però a farsi sentire, almeno a livello internazionale: negli States, nonostante le proteste, la maggioranza degli americani sarebbe d’accordo con il decreto anti immigrati, almeno secondo quanto indicato dal sondaggio Reuters/Ipsos che disegna la perfetta spaccatura del Paese (49% a favore, contro il 41% contrario e il 10% senza opinione)
Do you believe it? The Obama Administration agreed to take thousands of illegal immigrants from Australia. Why? I will study this dumb deal!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 2 febbraio 2017
Il tweet pubblicato da Trump prima della telefonata con Turnbull
L’immigrazione in Australia
Pur se nazione di immigrati, l’Australia ha una delle legislazioni sull’immigrazione tra le più rigide al mondo. Tutto passa dalla cosiddetta Pacific Solution, la politica del governo australiano che risponde all’Immigration Act , varato nel 1958 e aggiornato nel 2014. La legge prevede che tutti coloro senza lo status di rifugiato politico siano respinti o deportati. Ciò significa che non si può entrare in alcun modo in maniera illegale nel paese: chi ci prova, via mare, viene arrestato e portato in centri di detenzione in attesa del riconoscimento dello status di rifugiato. La legge è stata più volte attaccata dalle associazioni per i diritti e dalle istituzioni internazionali: per tutta risposta, tutti i governi, liberali o conservatori, l’hanno applicata alla lettera.
La Pacific Solution
Visto che nessuno può entrare illegalmente, viene applicata la Pacific Solution: l’Australia ha costruito dei centri di detenzione su suolo offshore, sull’isola di Nauru o l’isola di Manu in Papua Nuova Guinea. Nauru per esempio ospita due centri, Topside e Campside entrambi nel distretto di Meneng.
La cartina indica dove si trova Nauru, la più piccola repubblica al mondo
Sulla carta dovevano essere centri con case comode e confortevoli; nella realtà si sono trasformati in un incubo, sorte di prigioni dove donne, uomini e bambini vengono ammassati in spazi ristretti, senza alcun aiuto medico, sanitario e in condizioni di vita agghiaccianti. Molte Ong hanno cercato di documentare lo stato dei centri, tra cui Amnesty International, venendo cacciati dall’isola: l’Australia vuole evitare che si parli di diritti umani e dei suoi immigrati.
La maggior parte di loro vengono per lo più dall’Iran, dall’Iraq, dallo Sri Lanka e dall’Afghanistan, seguendo la rotta del Pacifico, ma finiscono per rimanere intrappolati nei centri, senza possibilità di uscita.
Questo perché nel 2014 l’Australia ha reso la legge sull’immigrazione ancora più rigida, avvallando la politica dell’ex premier conservatore Tony Abbott: per i richiedenti asilo non ci sarà più un tempo illimitato di permanenza ma permessi tra i 3 e i 5 anni, facendo poi scattare la deportazione, e nessun trattamento diverso per i minori.
Our commitment to multiculturalism & a non-discriminatory immigration system is well known. https://t.co/bLi9Slcg4S pic.twitter.com/rtJn66UZAA
— Malcolm Turnbull (@TurnbullMalcolm) 30 gennaio 2017
Il 30 gennaio il nuovo premier, liberale, parla della “politica di accoglienza” australiana ma di confini comunque sicuri
Per di più, l’Australia ha fissato un tetto molto basso di ingressi permessi agli immigrati, stabilendolo a 13.750 persone l’anno: da qui una petizione lanciata da Amnesty per chiedere di alzarlo almeno a 30mila.
Gli accordi per la gestione dei migranti
Fame, guerra, violenza e povertà spingono lo stesso migliaia e migliaia di persone a mettersi in viaggio, in barba a ogni divieto: i campi di Nauru e Manu sono pieni fino a scoppiare ma il flusso migratorio non accenna a diminuire. Per questo, l’Australia sigla patti bilaterali, spesso con i paesi asiatici, pagando fiori di milioni o perché li blocchino o perché li accettino al loro posto, un po’ come ha fatto l’Europa con la Turchia.
Tra i patti c’è anche quello con l’amministrazione Obama che prevede l’accoglienza negli USA di 1.250 profughi ospitati nei centri di detenzione di Nauru e Manus, con il trasferimento gestito dall’Alto Commissariato Onu per i rifugiati: si tratta di persone provenienti per lo più dal Medio Oriente e dall’Asia, soprattutto dall’Iran, uno dei paesi colpiti dal bando di Trump.