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Le prime lotte femministe sono oggi un ricordo per molte donne e per molte altre, come me, sono i racconti delle nostre mamme, delle nostre zie, sono un’eredità acquisita senza sforzo. Eppure la parola femminismo non potrebbe essere più viva, il dizionario americano Merriam-Webster l’ha addirittura scelta come termine più rappresentativo del 2017.
Feminism è stata, e continua ad essere, tra le parole più cercate online e non c’è da stupirsi visti gli eventi che di recente hanno riportato questo termine al centro della scena internazionale. A farci parlare di femminismo sono state la Marcia delle donne a Washington, il movimento #metoo ma anche serie TV come The Handmaid’s Tale.
Se ne parla tanto, forse troppo, e tra chi crede che il femminismo sia superato e chi invece continua a portare avanti battaglie per l’emancipazione femminile, c’è una forma di femminismo pop e commerciale che si impone con sempre maggior evidenza ma che rischia di creare nuovi stereotipi senza abbattere le convenzioni di genere; verrebbe dunque da chiedersi come (non) essere femministe oggi?
Una maglietta non ti rende femminista
Vetrine dei negozi, profili di influencer e millennials, sconosciute e non, sfoggiano un tripudio di vestiti, magliette e accessori che nascono direttamente dalla faccia pop del femminismo contemporaneo.
Con le canzoni di Beyoncè nelle cuffie e Freeda che invade il feed dei social col suo inno al successo femminile e ad una sessualità libera da convenzioni, il femminismo diventa mainstream. Dalla classica t-shirt we should all be feminist, “dovremmo esser tutti femministi”, che riprende il titolo del saggio di Chimamanda Ngozi Adichie, pluri-premiata scrittrice nigeriana, alle tazze e alle borse con la scritta feminist o empowerment, il femminismo oggi mostra una faccia pop e commerciale.
Va detto, per onore di cronaca, che molti dei brand che creano questi prodotti hanno deciso di devolvere parte dei ricavi ad associazioni femministe per sostenere la parità tra i sessi, come le chiacchieratissime “boob t-shirt” di Never Fully Dressed i cui proventi sono donati ad una associazione caritatevole in supporto di persone che soffrono di disturbi psicologici.
Eppure qualcosa non funziona, il fatto di indossare una maglietta autoproclamandosi femminista o di sfoggiare un look che celebra il “girl power” senza conoscere il significato della parola empowerment fa correre il rischio che la lotta femminista oggi si riduca a slogan vuoti e campagne marketing, con il solo scopo di guadagnare facendo leva sull’immagine della donna forte e fiera.
Via libera quindi a magliette e t-shirt di questo tipo ma solo se si ha un minimo di conoscenza di ciò che possono esprimere, e, soprattutto, solo dopo essersi accertate che non siano prodotte, come avviene nella maggior parte dei casi per la moda low cost, in Paesi in cui le donne hanno ancora pochissimi diritti e percepiscono stipendi minimi.
Esser femminista non significa odiare gli uomini
Fortunatamente oggi questo preconcetto si sta esaurendo rapidamente, ma tra molte persone, e qui il genere davvero non conta nulla, è ancora diffusa la falsa credenza che le femministe siano donne arrabbiate, che odiano l’altro sesso e che non aspettano altro se non avere l’occasione di polemizzare su quanto sia ingiusto il patriarcato.
Questo è forse uno dei più grandi equivoci che abbiamo ereditato dalle prime ondate femministe, quando effettivamente i toni e gli slogan delle campagne a favore delle donne erano talmente forti da risultare spesso aggressivi e poco lungimiranti.
Il femminismo non è prerogativa di un sesso, gli uomini possono, e dovrebbero, esser femministi sostenendo la lotta contro la violenza sulle donne e contro le ingiustizie sociali e economiche, primo tra tutti il tanto discusso gender pay gap.
Un caso di femminismo maschile che ha fatto il giro del mondo è stato quello verificatosi durante la manifestazione #niunamenos, “Non una di meno”, la mobilitazione femminista nata in America Latina. Un uomo ha partecipato alla marcia a torso nudo, imbracciando un cartello con la scritta: “Sono seminudo, circondato dal sesso opposto e mi sento protetto, non ho paura. Voglio lo stesso anche per loro”. La foto, virale sui social, è diventata simbolo del femminismo maschile.
Ma c’è un ma: molte femministe han ritenuto che questa frase giocasse ancora sulla classica opposizione dei sessi, sul binarismo di genere, sull’idea che le donne siano incapaci di difendere se stesse e abbiano bisogno che gli uomini le soccorrano.
Viene da pensare che si tratti del punto di vista di una di quelle femministe fanatiche per cui gli uomini dovrebbero stare alla larga e sono un pericolo anche quando sposano le loro campagne. Invece non si tratta di nazifemministe militanti ma della necessità di tutti noi, donne e uomini, di non cercare soluzioni facili al problema; serve un occhio attento e critico per cambiare davvero il reale. In questo caso il messaggio di quell’uomo può anche esser condivisibile, ma d’altra parte respira e si nutre di un mondo in cui alle donne viene sempre sottratto spazio, anche nella “loro” lotta.
Basta, quindi, con il femminismo di facciata di certi uomini che non si interrogano abbastanza su come intervenire in modo che la società non poggi più sulle fondamenta di una cultura sessista. Ma basta anche con gli stereotipi di genere opposti: se le donne non sono relegate alla cura dei figli e della casa, è anche vero che gli uomini non sono necessariamente antagonisti dell’emancipazione femminile.
Esser femminista non significa “no al makeup e sì alle gambe non depilate”
Le femministe della prima ora, spesso senza trucco e non depilate, hanno in parte contribuito a creare uno stereotipo ridicolo, ovvero che non si possa esser femministe se si sceglie di stare a casa e prendersi cura dei propri figli, se si desidera indossare makeup e tacchi alti o fare un corso di pole dancing.
Basta allora anche con questi pregiudizi. Le donne che si truccano e vogliono esprimere la propria femminilità non devono sentirsi escluse dal movimento femminista, così come quelle che han rinunciato al makeup o a depilarsi non dovrebbero esser giudicate esagerate o settarie nel difendere le loro idee.
Il femminismo deve essere inclusione perché ogni donna deve essere libera di poter scegliere per se stessa e, soprattutto, perché non c’è un solo modo di essere femministe.
Essere femministe oggi
[didascalia fornitore=”altro”]Photo by Helga Khorimarko/Shutterstock.com[/didascalia]
Esser femministe oggi significa non accontentarsi, significa difendere la bellezza individuale e le scelte di tutte le donne, colmare il gender gap, cercare di conciliare famiglia e lavoro, lottare per ridurre il divario salariale e non aver più paura se la sera, dopo un’uscita con le amiche, si torna a casa da sole.
Esser femministe oggi significa non dover rinunciare ad essere femminili e non doversi sentire in obbligo di essere attraenti, significa essere libere di decidere cosa pensare della maternità e scegliere per se stesse senza limiti né condizionamenti.
Quindi indossate pure le t-shirt “Feminist as f***” e cantante a squarciagola le canzoni di Beyoncé, ma leggete anche Chimamanda Ngozi Adichie, ascoltate Roxane Gay, Malala Yousafzai e Sheryl Sandberg e riflettete su quanto, spesso inconsapevolmente, noi donne siamo condizionate da logiche sessiste e stereotipi di genere e quanto lavoro ci sia ancora da fare per raggiungere una vera uguaglianza.