Non è possibile spiegare né descrivere cosa ho provato quando ho saputo della scomparsa di Gerardo D’Ambrosio. Con lui ho perso un punto di riferimento, una guida, un padre giuridico. Una persona di grande competenza e capacità d’analisi. Ha saputo amalgamare il bagaglio professionale di ciascun membro del Pool, visto che venivamo tutti da esperienze differenti. Sono molto amareggiato, non solo per la sua scomparsa ma anche per l’ipocrisia che ho colto in alcune dichiarazioni il giorno stesso della sua scomparsa.
In molti lo hanno ricordato, ma se l’avessero ascoltato di più quand’era in vita, sia per ciò che ha fatto in veste di magistrato sia per le sue battaglie politiche, rimaste inascoltate, forse oggi ci troveremmo a vivere in un Paese migliore. Forse Tangentopoli non ci sarebbe più, così come molti degli scandali legati alle tangenti e alle truffe ai danni dello Stato. Non posso, inoltre, dimenticare che Gerardo fu accusato di essere alcune volte un uomo di destra e altre di sinistra. La verità è un’altra: era un uomo di legge, una persona onesta, che non usava due pesi e due misure in base al colore della casacca di chi aveva di fronte. Posso certamente affermare che con Gerardo se ne va parte della memoria storica di una stagione memorabile in cui noi del Pool scoperchiammo il sistema di collusione tra la politica e il malaffare della Prima Repubblica.
Purtroppo, come accennavo prima, Tangentopoli non è mai cessata. Il sistema della corruzione, male che la politica avrebbe dovuto estirpare, mettendo ai margini chi si era macchiato di comportamenti illeciti, oggi si è ingegnerizzato, ha semplicemente cambiato pelle: ciò che prima era ritenuto un reato, ed era individuabile e perseguibile, ora non lo è più a causa delle varie leggi promulgate per depenalizzare i reati, come quello di falso in bilancio o quello di concussione per induzione. Per non parlare, poi, della riduzione dei tempi della prescrizione con il risultato che molti processi finiranno su un binario morto. La realtà è che non solo quel male non è stato mai curato e sconfitto, ma si è preferito additare e colpevolizzare proprio chi scoperchiò quel sistema di malaffare.
La mia constatazione, alla luce di quel che vedo oggi, è che, con il passare degli anni, la situazione è addirittura peggiorata. Purtroppo in Italia è in atto un vero e proprio cortocircuito. Questo è dato dal fatto che, troppo spesso, la politica cede il passo agli interessi personalistici, invece di pensare al bene della collettività. Faccio solo un esempio: se davvero la politica avesse voluto combattere efficacemente la corruzione, dando seguito quindi alla nostra denuncia, sarebbe bastato approvare una legge con tre semplici articoli: i condannati, anche in primo grado, non devono essere candidati, gli indagati non devono poter assumere incarichi di governo, né a livello centrale né a livello locale; agli imprenditori che hanno commesso crimini contro la pubblica amministrazione deve essere proibito l’accesso alle gare d’appalto. Se non si impone un freno a questo male endemico, si avranno delle conseguenze politiche, economiche e morali devastanti. La corruzione affossa l’economia di un Paese, ne impedisce la ripresa economica, finendo per creare un circuito parallelo, rispetto a quello dell’economia di mercato, che si nutre di perversi intrecci affaristici.
A ventidue anni di distanza da Mani pulite mi trovo a fare un’amara valutazione: da un lato, infatti, quel sistema delle tangenti, che era talmente radicato da essere un comportamento ‘ovvio’ – in pratica si faceva così perché tutti si comportavano in quel modo – esiste ancora, si nutre della nostra economia, corrode e corrompe gli animi. Dall’altro, la politica non solo ha fatto a gara per sbianchettare alcuni importanti reati, ma, con i tagli scellerati inflitti al comparto giustizia, ha tolto alla magistratura mezzi e risorse per poter adeguatamente contrastare la criminalità e il malaffare.
Insomma, siamo molto lontani da quel 1994, anno in cui noi del Pool di Mani pulite, a Cernobbio, lanciammo il ‘piano anticorruzione’: causa di non punibilità per chi rivela la tangente, reato di auto-riciclaggio e di falso in
bilancio. La politica non è stata all’altezza del ruolo che era stata chiamata a ricoprire e, soprattutto, una parte di essa si è nutrita ed ha prosperato sfruttando proprio quell’intreccio perverso tra malaffare e istituzioni.