La 17esima giornata di Serie A, che si è appena conclusa, è stata scandita non solo da quello che è successo all’interno degli stadi, con il pareggio rocambolesco tra Milan e Roma, per esempio, ma anche da quello che è avvenuto (molto) al di fuori, che ha alimentato polemiche anche nel mondo della politica. Al di là di questo, però, il penultimo turno del girone di andata ha visto Napoli e Juventus guadagnare punti su tutte le altre nella corsa per lo scudetto.
Per contro, dicevamo, i campioni d’Italia di Stefano Pioli sono stati rimontati nel finale dai giallorossi, ma la stessa sorte è capitata anche all’Inter, raggiunta dal Monza al fotofinish, e alla Lazio, che nel 2023 ancora non ha vinto una partita. In zona retrocessione, invece, nel quasi spareggio tra Hellas Verona e Cremonese ad avere la meglio sono stati gli uomini di Marco Zaffaroni, mentre per il Sassuolo, che ha aperto le danze della 17esima giornata contro la Fiorentina, la situazione si fa sempre più complicata.
Si è tornati nel vivo della Serie A, finalmente. Dopo una sosta durata oltre 50 giorni, 52 per la precisione, il nostro massimo campionato è tornato a farci compagnia e, purtroppo, con lui sono arrivati anche gli scontri tra i tifosi che, di fatto, hanno fatto da corollario a una 17esima giornata che, in realtà, ha cambiato molte carte in tavola. A farne le spese, molto più di altre, il Milan di Stefano Pioli, raggiunto nel finale dalla Roma di José Mourinho, l’Inter e la Lazio. Risultati che, tra l’altro, hanno fatto sorridere non poco soprattutto la Juventus di Massimiliano Allegri e il Napoli di Luciano Spalletti.
FIORENTINA-SASSUOLO 2-1 – Ogni stagione ha dei bivi decisivi, quelli in cui o prendi la svolta per le stelle o resti giù, ti condanni a un’annata anonima – o peggio fallimentare – e riesci ad andare oltre i limiti o oltre agli altri. Per Fiorentina e Sassuolo l’incrocio era un po’ quello, o meglio quelle erano le premesse della sfida dell’Artemio Franchi. Una partita che già dalle premesse prometteva spettacolo, perché di fronte c’erano due squadre che amano la tattica, il possesso palla, il baricentro alto e offendere molto più che difendere. Anche a costo di lasciare dei punti per strada e di non ritrovarli più, che spesso è più una questione di filosofia rispetto ai risultati in sé e per sé. Proprio per questo, però, la Viola a questo punto e dopo tanti match andati di traverso non aveva altra possibilità se non la vittoria. E l’ha centrata ma – ve lo anticipiamo – con tremenda fatica. A a fuoco lento.
Le premesse erano queste comunque, disattese da un primo tempo che, a conti fatti, ci ha consegnato una partita bloccata e senza troppi acuti. Domenico Berardi non è ancora in forma smagliante e ben lontano dal livello degli Europei trionfanti o della scorsa stagione. Colpa soprattutto degli infortuni patiti e della necessità di lasciarseli alle spalle una volta per tutte. Il problema della Fiorentina, invece, resta un attacco che spara a salve o soprattutto che crea e non conclude, che è un problema ormai endemico nella costruzione della rosa dei toscani, fin dall’addio di Dusan Vlahovic per una cassa di soldoni recapitata da Torino. Insomma, la prima frazione di gioco ci ha regalato scampoli di talento, una buona dose di cattiveria agonistica, tre cartellini gialli e veramente poco altro.
Soprattutto uno 0-0 che – ammettiamolo – non serviva a nessuno delle due. Per questo, Italiano non ha aspettato: già al 46esimo, dentro Gaetano Castrovilli e Riccardo Saponara, fuori un Arthur Cabral ancora una volta insufficiente e Alessandro Bianco. La musica è subito cambiata: dopo solo dal suo ingresso in campo, l’ex centrocampista di Empoli e Milan è andato a segno, sbloccando una gara che si faceva difficile per la Viola. Tutto in discesa? Non proprio, perché la reazione del Sassuolo è stata impetuosa e ha portato a un calcio di rigore, realizzato nove minuti dopo proprio da Berardi, che dal dischetto difficilmente lascia speranze al portiere avversario. Serviva un acuto, di nervi più che di tecnica e così è stato. Un tocco di mano in area di rigore nei minuti finale ha portato a un altro rigore, ma stavolta per i padroni di casa. Dal dischetto si è presentato un redivivo Nico Gonzalez che, con una freddezza glaciale, ha firmato il 2-1 finale. Tre punti pesantissimi per una Fiorentina che è al nono posto ed è comunque lontana dall’Europa, ma può rinnovare le sue ambizioni per la seconda parte dell’anno. Con un po’ di speranza in più.
JUVENTUS-UDINESE 1-0 – Brutta, cattiva e pure inguaiata dal punto di vista giudiziario, ma questa Juventus vola. E vola anche oltre il Milan, o meglio con gli stessi punti in classifica. Chi l’avrebbe detto nei meandri di un settembre maledetto per la Vecchia Signora, in cui non solo il gioco era molto carente, ma di risultati non c’era neanche l’ombra. Ora non si può dire lo stesso e, di conseguenza, qualcosa è sicuramente cambiato. Non tanto perché, diciamoci la verità, la manovra, il ritmo, la qualità offensiva dei torinesi sia mutata improvvisamente e drasticamente, ma perché Allegri è riuscito in una delle cose che gli viene meglio: blindare la difesa delle squadre che allena.
I bianconeri hanno totalizzato, infatti, 24 punti nelle ultime otto partite, senza subire neanche un gol, mietendo anche vittime illustri come Inter e Lazio. Bene così, almeno per loro, anche se i mugugni tra i tifosi non mancano, anche così. Probabilmente si tratta di accettare semplicemente l’identità di una squadra profondamente diversa da quelle che dominavano in Italia e nel mondo, anche oltre il concetto di difesa all’italiana. I calciatori del tecnico livornese fanno molta fatica a creare vere e proprie palle gol, poi però alle loro spalle subiscono veramente poco e anche quando è successo di patire le offensive degli avversari hanno avuto anche quel pizzico di fortuna che è un po’ delle grandi squadre e ti permette di mettere alti tre punti in saccoccia, come contro la Cremonese.
Anche contro l’Udinese, alla fine, è andata così, con un ritmo che ha faticato ad alzarsi e le palle gol che non serviva esattamente il pallottoliere per numerarle. Il primo tempo, per molti, è stato la fiera della noia invernale, ma senza pigiamoni, pleid e cioccolata calda. A parte una cartellino giallo a Manuel Locatelli, infatti, c’è poco altro di cui prendere nota, se non di una paura mista a tensione che ha camminato per lunghi tratti sui social e che voleva significare sfiducia per il gioco espresso dalla squadra, proprio nella settimana in cui il Milan si trovava di fronte la Roma e quando il Napoli ha iniziato a dare qualche segno di cedimento lì davanti a tutti. Nel secondo tempo, lo spirito è stato diverso, soprattutto per quella grinta insita nella grandezza della Juventus di voler arrivare alla vittoria finale sempre e comunque, forse anche un po’ di più se non si gioca bene. E allora basta un guizzo, di quelli letali.
All’86esimo è arrivato grazie a un lampo di Federico Chiesa che ha messo al centro un assist da campione vero per Danilo. Il difensore, uno dei simboli di questa squadra, si è fatto trovare al posto giusto al momento giusto e ha firmato il gol partita. L’ennesima vittoria di corto muso, perché il marchio di Allegri in questa squadra è ben evidente, nel bene e nel male. Con una nota stonata, un po’ la solita: Angel Di Maria. L’argentino, dopo il Mondiale giocato da protagonista, doveva essere come un nuovo acquisto per i torinesi, e invece si è di nuovo fermato, facendo insorgere la preoccupazione e le critiche dei tifosi. Male, male e con un rinnovo di contratto che ora pare sempre più lontano. Ah, un altro piccolo dato: solo cinque volte nella storia, c’è stato chi ha fatto meglio di otto vittorie senza subire gol. E ora tocca al Napoli.
MONZA-INTER 2-2 – Ah, ancora tu! Ma non dovevamo non vederci più? La cara, vecchia, ansiogena, maledetta e benedetta pazza Inter è tornata, o almeno così pare. Contro il Napoli, Simone Inzaghi e i suoi hanno indossato il vestito di gala di quelli che releghi nell’armadio con un bel cellofan sopra per non farlo rovinare, ma che se lo mettessi ogni volta non diventerebbe neanche così speciale. Una vittoria per 1-0 che ha significato stoppare la squadra migliore del campionato e che l’ha anche ucciso nella prima parte, ma soprattutto ha rilanciato le ambizioni scudetto dei nerazzurri. O forse aveva. Sì, perché pochi giorni dopo, contro un Monza con tante motivazioni ma anche con tanti limiti tattici e soprattutto tecnici, era necessario dare continuità di solidità, lucidità e risultati, ma non è andata esattamente così.
Contro Raffaele Palladino e i suoi uomini, l’Inter è partita subito denunciando qualche svarione difensivo di troppo e con un Francesco Acerbi che non sembrava proprio in forma smagliante, anzi ha rischiato anche di concedere un rigore gratuito agli avversari. La fase offensiva, però, non si discute e infatti Matteo Darmian è andato subito vicino al gol, poi l’ha centrato dopo una grazie azione corale. La gioia di una partita che sembrava in discesa ma non lo era per nulla dura solo un minutino, perché il Monza si è catapultato dall’altra parte del campo e ha trovato un meraviglioso mancino di Patrick Ciurria che non ha lasciato scampo a André Onana. Uno a uno e palla al centro. I nerazzurri non l’hanno presa così bene, ma non hanno abbandonato la loro tipica impalcatura di gioco, di quelle che ti sostengono anche nel momento del bisogno. Un aiuto per ritornare in vantaggio, però, è arrivato ancora una volta con un errore, stavolta di Pablo Marì. Il ritorno in campo dopo i fatti del centro commerciale di Milanofiori è bagnato da un errore grave per il centrale che si è fatto beffare da Lautaro Martinez, abile poi in spaccata a realizzare l’1-2.
A fine primo tempo, l’Inter stava centrando una vittoria faticosa ma tutto sommato meritata. Al rientro dal thè caldo degli spogliatoi, però, la musica è cambiata. Soprattutto per una stanchezza evidente e una pesantezza di gambe che è quasi fisiologica dopo le fatiche per battere Luciano Spalletti e soprattutto per via di un richiamo di preparazione che si fa vedere e sentire. La Beneamata ha perso, di fatti in pochi minuti, gli uomini cruciali del suo centrocampo, Nicolò Barella e Hakan Calhanoglu. E poi l’ingresso di Romelu Lukaku è stato disastroso, tirando in ballo, nelle ultime ore, anche diversi dubbi sul suo futuro. Fatto sta che l’aria di beffa c’era tutta ed è pure arrivata: Henrikh Mkhitaryan ha perso una brutta palla a centrocampo, il Monza ne ha approfittato e ha messo al centro un cross parecchio insidioso che Denzel Dumfries – anche lui entrato molto male in partita – ha deviato in porta dopo un duello aereo perso con Luca Caldirola. È finita, quindi, 2-2 con l’esultanza incontenibile di Adriano Galliani e tanta delusione per i nerazzurri. Anche tanti dubbi e uno scudetto che diventa sempre più un miraggio.
SALERNITANA-TORINO 1-1 – La domenica, poi, è iniziata con un lunch match dal sapore un po’ scialbo. Le due formazioni granata, infatti, possono dire di essere in una posizione di classifica così tranquilla da non doversi impensierire, non prima del tempo in effetti. Perché vincere aiuta sempre a vincere e, fino a quel momento, nessuna delle due aveva battezzato il nuovo anno con tre punti. Non è stata neanche la gara dell’Arechi a portarli, però, perché la squadra di Davide Nicola e quella di Ivan Juric si sono divise la posta in palio, non facendosi del male a vicenda.
Ad aprire le danze, ci ha pensato al 36esimo Antonio Sanabria, l’attaccante paraguaiano, arrivato al terzo centro in stagione, ha sfruttato al meglio l’assist di Valentino Lazaro e ha bucato la porta difesa da Guillermo Ochoa, ancora una volta tra i migliori in campo per la formazione di casa, che più volte l’ha salvata da un passivo molto più pesante. All’inizio del secondo tempo, al 49esimo, però, è arrivata la risposta di Tonny Vilhena, con un’azione da manuale del calcio in cui, dopo aver saltato due o tre avversari, ha calciato dal limite dell’area pareggiando i conti. Il Torino, all’85esimo, ha avuto anche l’occasione per cambiare nuovamente il punteggio, ma il portiere colombiano, poi il palo hanno fermato Ricardo Rodriguez. La partita è terminata, quindi, così, in tranquillità. E a differenza delle due precedenti, che nel finale hanno fatto scintille.
LAZIO-EMPOLI 2-2 – Le stesse che, per ironia della sorte, si sono viste anche allo stadio Olimpico di Roma, dimezzato nel tifo dalla squalifica della Curva Nord in cui è apparsa, invece, la gigantografia di Sinisa Mihajlovic, uno dei condottieri del secondo scudetto della Lazio, scomparso a metà dicembre in seguito a una leucemia. A lui, i biancocelesti di Maurizio Sarri avrebbero voluto dedicare la prima vittoria del 2023 che, tra l’altro, avrebbe anche coinciso con il compleanno della società di Claudio Lotito, così non è stato, soprattutto per delle disattenzioni da parte di tutta la squadra che era passata in vantaggio dal secondo minuto grazie al gol di Felipe Anderson.
In un primo momento, tra l’altro, la rete del brasiliano, arrivata dopo un mischione nell’area dell’Empoli su un cross del ritrovato Luis Alberto, era stata anche attribuita a Francesco Caputo, ma il colpo di testa, alla fine, è stato proprio del numero 7 che, dopo, ha provato a mandare in rete il suo bomber, Ciro Immobile, con scarso successo. A mettersi più in mostra di tutti è stato, però, Mattia Zaccagni, che più di una volta ha provato a raddoppiare i conti, anche per evitare quello che si era già visto mercoledì al Via del mare contro il Lecce. C’è riuscito solo al 54esimo, con un bellissimo pallonetto che ha messo al tappeto Guglielmo Vicario dopo che lo stesso esterno era riuscito ad agganciare una palla in area.
Se la partita, per la Lazio, si poteva dire già conclusa, soprattutto dopo l’ottima risposta del portiere dei toscani su una fucilata di Sergej Milinkovic-Savic, che ancora non ha ritrovato la condizione a cui ci aveva abituato, per gli uomini di Paolo Zanetti non si può dire lo stesso. All’83esimo, con un contropiede magistrale, quello che doveva essere l’autore dell’autogol che ha consentito il vantaggio immediato dei biancocelesti è tornato a essere quello di sempre: un cecchino, e ha punito Sarri e i suoi, giusto qualche minuto prima, tra l’altro, che arrivasse la beffa.
All’ultimo soffio, al 94esimo, Razvan Marin, da fuori area, con un pallone che è carambolato proprio sui suoi piedi, ha completato una rimonta con un siluro che Ivan Provedel non ha neanche provato a intercettare. Che le soste, per i capitolini, non portino mai cose buone ce lo avevano dimostrato anche nel 2020, quando arrivarono addirittura quarti (da quasi primi) alla ripresa del campionato dopo lo stop per il Covid, ora, però, devono cercare di cambiare le sorti, perché da macinare c’è molto di più.
SPEZIA-LECCE 0-0 – Il match dell’Alberto Picco ha sicuramente molte meno aspettative, ma comunque tanta pressione per due squadre che hanno l’urgenza di mettere punti in cascina per salvarsi e farlo nella maniera più tranquilla possibile. Però, forse a ragione, si temono anche a vicenda come due pugili che pensano per prima cosa a non abbassare la guardia per poi non finire a terra tramortiti dai colpi dell’avversario sul ring. E comunque entrambe non possono lamentarsi: sì, perché lo Spezia non sarà messo benissimo, ma in ogni caso non è tra le peggiori tre della classe e con un bel distacco da poter gestire nel corso della stagione. Il Lecce può essere considerato a tutti gli effetti una delle sorprese assolute di questo campionato, anche perché un dodicesimo posto e con questa difesa se lo aspettavano in pochi. I pugliesi hanno subito solo 18 reti, sei meno dell’Inter per intenderci. È vero che l’attacco non è proprio una furia, ma anche in questo caso c’è un Lorenzo Colombo che sta dimostrando di essere sempre più un prospetto interessante.
Fatto sta che nessuna delle due aveva tutta questa impellenza di portare a casa i tre punti, forse più i bianconeri che farebbero un bel balzo in avanti. Il primo tempo è stata la diretta traduzione di questo dato di fatto statistico: sì, è vero, ci hanno provato entrambe ma senza alzare più di tanto il ritmo e senza scoprirsi soprattutto. Ne è uscito uno zero e zero statico, senza che ci fosse neanche un ammonito o una sostituzione ad aggiornare il tabellino. Non proprio la fiera dello spettacolo o un spot per la bellezza del calcio italiano all’estero, ma piuttosto una manifestazione di intenti che è valsa anche per la ripresa. Di fatto, la musica non è cambiata neanche nei secondi 45 minuti. Ci ha provato soprattutto lo Spezia, in realtà, a sbloccare la partita. Soprattutto effettuando dei cambi prima di quanto non abbiano fatto gli ospiti. In entrambi i casi, però, si trattava di forze fresche, sostituzioni ruolo per ruolo e non rivoluzioni tattiche per vincerla davvero. Così la partita si è spenta in maniera tale che non potesse ferire nessuno: 0-0 che chi si accontenta gode, soprattutto se deve salvarsi.
SAMPDORIA-NAPOLI 0-2 – In una gara dall’atmosfera unica, in cui tutto il Luigi Ferraris ha ricordato Gianluca Vialli e Mihajlovic, due degli eroi della Sampdoria del passato, i blucerchiati di Dejan Stankovic non avevano di fronte l’avversario più semplice da affrontare per continuare la risalita della china iniziata contro il Sassuolo. Il Napoli, infatti, uscito un po’ ridimensionato dalla sfida persa contro l’Inter aveva bisogno più che mai dei tre punti, anche per tenere lontane le altre, che si erano avvicinate non poco dopo mercoledì. Con questo spirito, ci sono voluti cinque minuti agli uomini di Spalletti per guadagnarsi un calcio di rigore sacrosanto che, però, Matteo Politano ha sbagliato ipnotizzato da Emil Audero.
Non si sono persi d’animo, è vero, e al 19esimo, il solito Victor Osimhen c’è riuscito a bucare finalmente la rete. L’attaccante nigeriano, al momento il migliore marcatore della Serie A, ha spazzato via un’aria di crisi che, in effetti, aveva poco senso di esistere sfruttando al meglio l’assist di Mario Rui. Prima del gol del raddoppio, arrivato dai piedi di Eljif Elmas, che non ha sbagliato (lui) dagli undici metri all’82esimo, la Sampdoria si era complicata ulteriormente le cose.
Dopo un’entrataccia, infatti, Tomas Rincon ha lasciato i suoi compagni a lottare in dieci, troppo pochi per dare davvero dei grattacapi ai primi della classe, e soprattutto al loro numero 9, il vero protagonista di una partita che ha mandato dei segnali forti e chiari alle inseguitrici. Si cade, sì, ma ci si rialza pure e in fretta.
MILAN-ROMA 2-2 – Arrivati a domenica sera e con tutti i dati necessari già ben impressi nella mente dei protagonisti, Milan e Roma si affrontavano in un big match che voleva dire veramente tanto per entrambe. Le vittorie di Napoli e Juventus imponevano ai rossoneri di portare a casa tre punti fondamentali per tenere il passo in classifica e continuare a credere nel secondo scudetto di fila. Un altro trionfo a San Siro per i giallorossi avrebbe significato, invece, un bel vantaggio nella corsa europea e non mettere per nulla da parte le ambizioni di Champions League, che poi per José Mourinho è deformazione professionale.
L’andamento della partita è quello che si aspettavano un po’ tutti e cioè con i padroni di casa a controllare saldamente il possesso palla e lanciare le loro frecce offensive, di contro a una Roma ben abbottonata nella sua metà campo, preoccupata di non lasciare spazio ai campioni d’Italia. Una missione che è riuscita fino a un certo punto per i capitolini. Già al 30esimo, infatti, il muro costruito da Mourinho crolla contro la fisicità e il cinismo degli avversari. Un Sandro Tonali scatenato e in forma smagliante ha servito, infatti, un bell’assist a Pierre Kalulu, ormai una certezza assoluta per Stefano Pioli, che ha firmato il gol del vantaggio. Davanti, invece, la Roma non ha fatto male, non abbastanza. Nicolò Zaniolo è rimasto imbrigliato nella fitta selva di maglie avversarie, mentre Paulo Dybala è riuscito raramente ad accendersi. Nel secondo tempo, ne ha approfittato ancora una volta il Milan. Al 70esimo, infatti, Tommaso Pobega è entrato al posto di un infruttuoso Brahim Diaz e gli sono bastati sette minuti per firmare un raddoppio che ormai tutti pensavano sarebbe valso tre punti pesantissimi per i padroni di casa e la resa della Roma.
Ai giallorossi, però, si possono diagnosticare tanti difetti, ma non quello di alzare bandiera bianca prima del tempo. E così Mourinho si è aggrappato alla grinta offensiva dei suoi per strappare un assalto finale che avesse portato i suoi frutti. L’ha fatto attraverso la fisicità che è sicuramente l’arma principale degli ultimi campioni di Conference League. Infatti, all’87esimo Roger Ibanez ha raccolto l’assist al bacio di Lorenzo Pellegrini e, un po’ come prima avevano fatto Tonali e Kalulu, ha firmato una rete maschia e necessaria per tornare in ballo. Al Milan non è rimasta che la tensione dei denti stretti e i rossoneri ci sono anche abituati, visti gli eventi delle ultime stagioni. Stavolta, però, non è andata come previsto. Nei confusionari, ma fruttuosi, assalti finali – e precisamente al 93esimo – Tammy Abraham ha tolto dal cilindro un gol pesantissimo per le speranze della Roma e che ha sottratto al Milan due punti decisivi in classifica.
Il Napoli, infatti, ha allungato e la Juventus ha conquistato il secondo posto a pari merito dei rossoneri. Rossoneri che non possono che essere delusi per com’è andato il match e soprattutto dopo che l’avevano apparecchiato alla grande, ma che già la prossima settimana potranno sfruttare lo scontro diretto tra Juventus e Napoli per rosicchiare punti scudetto. La Roma, invece, si riporta nella Capitale un punto che fa più morale che classifica, ma anche l’evidenza di non aver perso terreno dalla Lazio in una giornata in cui, sulla carta, era molto più facile che i biancocelesti staccassero i rivali di una vita. Il campionato è ancora lungo e proprio per questo non perdere contro i milanesi potrebbe rivelarsi un’iniezione di autostima fondamentale per credere ancora nella qualificazione alla prossima Champions League. Mourinho, di certo, non molla.
VERONA-CREMONESE 2-0 – Mentre a Cremona si commemorava con una messa al Cristo Re Vialli, che ha iniziato la sua carriera proprio nella squadra lombarda, gli uomini di Massimiliano Alvini erano impegnati in una gara quasi da dentro fuori contro l’Hellas Verona – che già qualche segnale di ripresa, in questo nuovo anno, l’aveva dimostrato contro il Torino mercoledì -, una gara che, purtroppo per loro, non sono riusciti a vincere per ricordare meglio l’eroe cittadino scomparso venerdì a Londra.
È bastato, infatti, ritrovare per davvero Darko Lazovic ai gialloblù di Marco Zaffaroni, subentrato a Salvatore Bocchetti durante la sosta per i Mondiali, per riuscire a fare un balzo in classifica e, magari, iniziare una sterzata a un campionato decisamente da dimenticare (e da non replicare, anche). Il serbo ha messo il suo sigillo sulla partita prima al nono minuto su assist di Yayah Kallon, poi al 26esimo grazie al passaggio decisivo di Josh Doig e ha consentito ai suoi di andare sul doppio vantaggio già prima del duplice fischio. Il passivo per la Cremonese non è aumentato, i sogni di gloria, iniziati con la promozione dello scorso anno dalla Serie B, invece, sono diminuiti, e di tanto.
BOLOGNA-ATALANTA 1-2 – È da qui che si vede l’Europa? Evidentemente per l’Atalanta sì, dato che gli orobici quest’anno, mostrando nuovi calciatori, un’anima nuova e un allenatore piuttosto gattopardiano dal punto di vista tattico quale Gian Piero Gasperini stanno comunque ottenendo dei risultati più che accettabili. I tre punti strappati stasera da sotto il muso del Bologna sono una prova di forza alla Golia dei bei tempi. Infatti, contro i rossoblù a caccia di punti preziosi per risollevare la loro di classifica hanno dovuto arrendersi alla superiorità tecnica degli avversari e non era affatto scontato.
A dimostrarlo è già l’inizio della partita. Dopo solo sei minuti a firmare il vantaggio dei felsinei è un ragazzo che trabocca di talento, ma probabilmente non l’ha ancora dimostrato del tutto: Riccardo Orsolini. È lui a gelare la panchina ospite e a far sospettare che stasera, sì stasera, poteva essere la svolta per i padroni di casa di fronte a un pubblico caldo e decisamente affezionato. E invece la reazione alla rete dell’esterno d’attacco, arrivata solo al sesto minuto, è di quelle da grande squadra, di quelle esperte e arcigne che anche quando non trovano i periodi o le serate migliori vincono comunque.
Il primo tempo, però, è un mezzo calvario per Gasperini e i suoi uomini. L’Atalanta ci prova a rientrare in partita, ma la voglia e l’aggressività del Bologna ha comunque la meglio e gli orobici se ne escono anche con un paio di gialli a Marten de Roon e Mario Pasalic che non possono nascondere un certo nervosismo crescente. Nella ripresa, però, la musica cambia e non era pronosticabile, anche per i bergamaschi contro lo Spezia, reazione finale a parte, avevano fatto vedere ben pochi pezzi forti del loro repertorio. Essenzialmente l’ex tecnico di Genoa e Inter ha iniziato a mischiare un po’ le carte alla sua maniera e con due cambi già all’intervallo, mettendo in campo Jeremie Boga e Davide Zappacosta al posto di Pasalic e Hans Hateboer, entrambi deludenti. Pura caso il pareggio è arrivato dopo solo due minuti dall’inizio del secondo tempo grazie a un gol di Teun Koopmeiners, uno dei migliori in questa stagione per i lombardi. Al 58esimo, poi, la rimonta è stata completata con una rete di Rasmus Hojlund, un gioiellino che partita dopo partita sta palesando qualità tecniche e un fiuto del gol rari.
Finita così? Non proprio perché il Bologna ha fame di punti e non di sconfitte. Da qui i rossoblù, con pericolosità alterna, hanno tentato in più occasioni la via del pareggio e all’88esimo ci sono andati anche vicinissimi con una grande opportunità per Nicolas Dominguez. Non basta agli emiliani per ritrovare la parità. Vince l’Atalanta, vince Gasperini che si gode il suo nuovo gioiello dell’attacco, nonostante l’ormai atavica assenza di Duvan Zapata pesi comunque nell’economia offensiva degli orobici. Eppure, nonostante il gioco non convinca ancora del tutto, ora i nerazzurri hanno agguantato Lazio e Roma a 31 punti. Tutti lì appaiati al quinto posto e con l’Europa che sembra sempre più un obiettivo alla portata, ma probabilmente non quella più nobile.
NAPOLI 44
JUVENTUS, MILAN 37
INTER 34
LAZIO, ATALANTA, ROMA 31
UDINESE 25
FIORENTINA, TORINO 23
LECCE, BOLOGNA, EMPOLI 19
SALERNITANA, MONZA 18
SASSUOLO 16
SPEZIA 15
VERONA, SAMPDORIA 9
CREMONESE 6
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