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Come sono andate le partite della 23esima giornata di Serie A

Con il triplice fischio della partita di Torino tra i granata di Ivan Juric e il fanalino di coda, alias la Cremonese, si è conclusa anche la 23esima giornata della Serie A, la quarta del girone di ritorno. Mentre il Napoli non smette di vincere, non perdono terreno, non su di lei che sta volando, le squadre in lotta per un posto in Europa, in cui, tra l’altro, potrebbe tornare in scena anche la Juventus.

Khvicha Kvaratskhelia – Nanopress.it

I bianconeri, penalizzati di 15 punti dalla Corte d’appello federale, sono al settimo posto che, se i pianeti si allineano, potrebbe voler comunque dire Conference League. È vero, però, che il Collegio di garanzia del Coni dovesse cambiare le carte in tavola, la squadra di Massimiliano Allegri non solo rientrerebbe in corsa per la Champions, ma avrebbe gli stessi punti dell’Inter, che è seconda da sola, ora. E in effetti è questa battaglia, quasi al massacro, per un posto nella coppa dalle grandi orecchie che sta rendendo più avvincente questo campionato. Poi sì, c’è il pantano della retrocessione: i grigiorossi pareggiano ancora e si condannano ancora di più al ritorno in Serie B, la Sampdoria uguale, e continua a non segnare, il Verona che abbiamo visto con la Roma, be’, ci sta provando, ma dovrebbe essere più convincente.

Serie A, è la 23esima di Osimhen e Kvara che illuminano ancora con il Napoli, di Immobile che torna al gol e regala tre punti alla Lazio, e di Di Maria: che perla allo Stadium

Anche questa settimana di venerdì, il nostro campionato non ci ha abbandonato per il weekend, lo farà più avanti per le Nazionali. La 23esima giornata della Serie A, la quarta del girone di ritorno, ci ha regalato ancora una volta un Napoli in formato scudetto, con i due protagonisti, sì, Khvicha Kvaratskhelia e Victor Osimhen, che hanno illuminato il Mapei Stadium, che in realtà sembrava più il Diego Armando Maradona per i cori dei tifosi partenopei, arrivati a migliaia per sostenere la squadra di Luciano Spalletti, specie prima della Champions League.

Ecco, nella lotta per la coppa dalle grandi orecchie, il Milan si riprende, l’Inter restituisce il favore dell’andata all’Udinese, la Roma vince nonostante il forfait di Paulo Dybala e Tammy Abraham, e anche il tonfo dell’Atalanta a Lecce, ma a brillare c’è soprattutto Ciro Immobile, il capitano della Lazio che non segnava dal 4 gennaio ma che dopo essersi sbloccato in Conference League ha fatto una doppietta anche in campionato. Non solo, perché la Juventus, precipitata quasi nel baratro per la penalizzazione della Corte d’appello federale, risale la china ed è settima, a pari punti con il Bologna, che ha vinto contro la Sampdoria, e sopra di un punto del Torino, che ha pareggiato contro la Cremonese, ormai sempre di più condannata a scendere in Serie B. Vediamo insieme, però, come sono andate tutte e dieci le partite del 23esimo turno del nostro campionato, quello massimo.

SASSUOLO-NAPOLI 0-2 – Gli azzurri si presentano in casa del Sassuolo di Alessio Dionisi forti di un distacco di 15 punti dalla diretta inseguitrice, ovvero l’Inter, con in testa la gara di martedì contro l’Eintracht Francoforte, in Germania, o forse anche no, perché la fame che ci mettono fin dall’inizio dimostra che non ci sono coppe che tengano quando si gioca così, e quando tutto gira alla perfezione. Perché i neroverdi ora come ora che si sono risvegliati da un periodo non semplice, e hanno riiniziato a schiacciare le grandi (citofonare a Milan e Atalanta per capire cosa è successo), ecco, loro, non sono proprio gli avversari più semplici da affrontare, anche perché servono anche a loro come il pane i punti per arrivare a metà maggio tranquilli.

Solo che non è un caso che il Napoli sia primo e loro galleggino nel fondo della classifica, non è un caso se il miglior centrocampista e il migliore attaccante della Serie A, per numeri e non solo, giochino proprio là e a Spalletti non basta che avere loro in squadra per partire già sul 2-0, o quasi.

È il georgiano, la sorpresa più bella che ci abbia regalato Cristiano Giuntoli in estate, ad aprire le danze con un gol che è uno spettacolo per gli occhi. Kvaratskhelia prende palla da metà campo scarta tutti e va in rete con un destro dalla distanza che ci dimostra quanto visionario possa essere. A mettere la ciliegina sulla torta, poi, è appunto il capocannoniere del campionato che lo fa altrettanto bene, il gol si intende, ma anche l’essere visionario. Defilatissimo sulla destra, Osimhen beffa Andrea Consigli e chiude la pratica, anche perché poco dopo, nei fatti, arriva la rete dei padroni di casa, con Armand Lauriente, il migliore dei suoi, che però viene annullata dal Var per fuorigioco.

In effetti anche il gol finale, quel tre a zero che forse ci sarebbe stato per l’ennesima prova superba dei giocatori del Napoli, che premia anche chi subentra, viene annullato dopo la chiamata allo schermo da Andrea Colombo proprio a Giovanni Simeone, che per altro era entrato da nemmeno dieci minuti in campo. La controprova che la sinfonia azzurra suona splendidamente, con qualsiasi strumento la si decida di suonare.

Quanto al Sassuolo, be’ ci ha provato a metterli in difficoltà, e non è andata poi così male, o meglio non sarebbe andata così male se al Mapei non si fossero presentati dei marziani, e questo nonostante Domenico Berardi non si sia mai alzato dalla panchina. Con il ritorno, di nuovo, del calabrese, gli altri sono avvisati, magari anche un po’ più su.

SAMPDORIA-BOLOGNA 1-2 – Chi, invece, può già farlo è il Bologna di Thiago Motta, una certezza di questi tempi un po’ altalenanti. Contro un’accidentata Sampdoria, che però una settimana prima, sempre al Luigi Ferraris ha fermato i nerazzurri di Simone Inzaghi, dopo un primo tentativo di Manolo Gabbiadini che tira alto, e una triangolazione non riuscita di Riccardo Orsolini, ci mette esattamente 27 minuti e due anni, su per giù, Roberto Soriano, il capitano, a far capire che vuole vincere con un tiro dalla distanza su assist indietro di Musa Barrow.

E nulla può neanche il Var a questo giro, perché tutto è giusto, e tutto è bello. Perché è una liberazione soprattutto per il centrocampista che a fine partita piange e ricorda il suo vecchio allenatore, quel Sinisa Mihajlovic che oggi avrebbe compiuto 54 anni, e che è stato omaggiato ovunque, anzi pensa che sia stato proprio a lui a volergli fare questo regalo, perché entrambi avevano giocato alla Sampdoria e perché oggi, appunto, sarebbe stato il suo compleanno.

Oltre le storie, però, c’è anche il campo. Al rientro dagli spogliatoi, John Lucumì commette fallo sul capitano blucerchiato e l’arbitro concede subito il rigore, in presa diretta. Abdelhamid Sabiri si presenta dal dischetto contro Łukasz Skorupski e non sbaglia. Allo stesso appuntamento, tre minuti dopo e per un tocco di mano in area, fallisce la rimonta perché il portiere rossoblù neutralizza il pericolo. E forse, anche in questo caso, è un presagio che ci sia qualcosa di oscuro che non vuole far volare la squadra di Dejan Stankovic, e che fa invece prendere quota ai felsinei.

Uno dei migliori in campo fino a quel momento, l’uomo che sta levando le castagne dal fuoco all’italo-brasiliano, dopo averci provato più volte, si mette in proprio e fa un gol molto simile a quello di Osimhen e fa guadagnare altri tre punti pesanti a una squadra che ora ha quasi l’obbligo morale di provarci per il settimo posto, perché la lotta è ancora aperta, e perché anche se c’è la Juventus a fare a sportellate, ci si può arrivare, faticando, è vero.

MONZA-MILAN 0-1 – Il Milan arriva alla partita contro il Monza con pochi fronzoli ancora in testa e la necessità stringente di sentirsi finalmente fuori dalla crisi, senza se e senza ma. Anche a dispetto delle ultime vittorie striminzite che le tiri un po’ di qua e un po’ di là per non scoprirti, ma non ce la fanno proprio a convincerti. La prestazione rossonera in filosofia potrebbe essere tranquillamente definita pragmatica, nel calcio semplicemente ‘di misura’ e ribattezza ‘di corto muso’ da un ex non poco illustre e non poco popolare, ma comunque uno di quegli ex con cui è stato amore. Di misura, dicevamo, ma con dei segnali ben precisi. Intanto, è importante precisare che i campioni d’Italia arrivano al match ancora sotto l’effetto della sbornia che si erano procurati a San Siro, non molto lontano dalla Brianza, contro il Tottenham di quell’Antonio Conte juventino e un pochettino pure interista. Sicuramente un nemico sportivo, di quelli da tenere a bada e regolare il prima possibile per poi non uscirne a pezzi. E così è andata, anche se c’è un ritorno che potrebbe anche ribaltarlo il risultato e una vendetta che potrebbe essere consumata. Ancora e sempre, fino al ritorno in Italia.

Comunque la sbornia e una certezza: Stefano Pioli fa quello che vuole, perché è quello che deve, e poi non arretra. Ah sì, ricordate la difesa a tre più odiata, osteggiata e ridicolizzata dell’ultimo periodo? Be’, ora funziona. Eureka, avrebbero detto altri e in altri contesti. La compattezza, la solidità, le sicurezze di questo Milan 2.0 hanno sortito il loro effetto e crediamo anche che sia merito di quell’uomo che oggi ha pure vinto la panchina d’oro. Ma dai, sì, anche dello psicologo Ibra che è tornato a rompere un po’ le scatole a due passi dal campo. Magia, appunto, quella che nello sport porta le vittorie e gli allori, ma anche gli oneri di riaspettarsele le vittorie. E quasi mai è così semplice.

Il Monza, quindi, è un avversario che ha un po’ il sapore di trappola. Un easter egg nei paraggi del Carnevale che ha l’aspetto di un mappazzone difficile da levigare in opera d’arte. Forse un po’ per questo, ma soprattutto per la stanchezza, Pioli mischia le carte e, anche se non esce una colomba bianca, non sbaglia. Sì, perché la prestazione di Rafael Leao e compagni è densa di aspetti fondamentali nel gioco del pallone: i contrasti vinti, la fase di non possesso, le coperture e il clean sheet a fine partita. E quel gol di Junior Messias nel primo tempo ci banchetta con questa filosofia: essenzialmente arretri, non lasci spazi e soffri (sapendo di saper soffrire). Apri anche delle autostrade in contropiede, perché sai che c’è Leao, un razzo che è un misto tra l’Elon Musk e lo Steve Jobs della velocità: provate a prendermi, come in qualche film dal finale scontato.

Ne esce uno 0-1 che non è pura lussuria intrigante e avvolgente, ma è un come il tappeto di Aladdin: non sembra il modo più comodo di farlo, ma va benissimo così. Purché sia magia. Non come quella di pochi mesi fa, ma di quelle che ti fanno raccontare le cose belle. Vero Max Allegri?

INTER-UDINESE 3-1 – L’Inter arriva alla partita contro l’Udinese con un po’ di nebbia in testa, l’umore un po’ isterico e una certezza: la continuità non sta di casa. Che sia un dato di fatto, un’incertezza da risolvere o semplicemente un dna di chi è destinato a essere grande, ma mai grandissimo, i nerazzurri non ce la fanno proprio a vestire i panni di una corazzata che vince, convince e lo rifà ancora e ancora. L’affidabilità non fa parte dei ragazzi di Inzaghi, ok, ma sta pure diventando un problema.

Perché una squadra così e che gioca un calcio così ce la aspettiamo lì a far spaventare il Napoli con una boccaccia dietro la porta e invece no: galleggia per un posto Champions, fa pure la parte della regina, ma poi non sarà comandare. A parte la manovra, quella sì che è un marchio distintivo del tecnico lazialissimo di cui a Milano non sanno ancora se pensare bene del tutto o diffidare ancora un po’. L’Udinese, non sembra, ma sa già come ultima spiaggia, quel gradino prima del precipizio da cui sarebbe meglio non sporgersi. Poteva essere il fantasma di quella crisi autunnale che non faceva nulla per non sembrare peggio della primavera prima. E lo scudetto l’aveva vinto il Milan.

Ma se ha una certezza Inzaghi è che i suoi ragazzi sono i suoi, dalla sua parte. In una forma di possesso alchemico e parossistico che lo rende una via di mezzo tra un allenatore e un amico. È un figo della panchina, Simone, per i giocatori, è uno che piace, quel bomber improbabile che impari ad amare per quello che è e non che potrebbe essere. L’Inter con l’Udinese è scesa in campo con un’ossessione: vincere e convincere. E si è visto.

Innanzitutto, la partita si mette subito sui binari giusti: Romelu Lukaku attacca la profondità, Denzel Dumfries si procura un rigore. Il gigante belga lo sbaglia (e di tanto), ma deve ribattere. Allo segna e si sblocca, ma non gioca comunque un granché, con delle conseguenze. Sul finale di primo tempo perde un pallone sanguinoso, lancia il contropiede avversario ben concluso da Sandi Lovric. Uno a uno e quei fantasmi tornano a volare sulle teste a luce spenta, quelle dei calciatori confusi e un poì storditi dall’inconsistenza del loro stesso essere incostanti.

Denzel Dumfries, Henrikh Mkhitaryan e Nicolò Barella che festeggiano il gol del 2-1 dell’armeno – Nanopress.it

Per questo, il secondo tempo diventa una lotta interiore tra quello che si è e quello che si potrebbe essere. E ne esce una partita offensiva e aperta, da chi non ha nulla da parte. Isaac Success si divora un gol di quelli che nella Serie A dei nostri genitori sarebbero stati ceduti all’ultima in classifica e con contratti e biro già negli spogliatoi. Da lì parte il contropiede, stavolta dell’Inter. E i nerazzurri mostrano i pezzi forti del repertorio: Federico Dimarco crossa alla Marcelo, Henrikh Mkhitaryan segna… Alla Mkhitaryan. E non c’eravamo più tanto abituati. Ah sì, poi c’è lo show di Lautaro Martinez: sbaglia (di tanto) un gol, poi ne fa uno simile e un po’ più difficile qualche minuto dopo. Dopo il Mondiale, se lo incontrate sulla vostra strada: si salvi chi può!

ATALANTA-LECCE 1-2 – Toc toc, è qui lo spettacolo? Il Lecce bussa alla porta dell’Atalanta come il bambino che ha trovato il suo mentore, ma poi a che servono i mentori se non ha essere superati dagli allievi? A nulla, e allora va bene così che la storia di Davide e Golia ci piace ed è pure istruttiva, se ci pensi da grande. Comunque quella tra i bergamaschi e i leccesi non è una sfida banale, perché è quella che definiremmo nel senso più squisitamente inutile e passionale di questo sport come una lotta tra due identità simili, ma differenti. Con diversi modi di allenare, selezionare, comprare e diversi obiettivi a fine stagione. E poi Bergamo con Lecce non c’entra nulla, senza dirvi chi è meglio o peggio.

Eppure ci sono delle cosette che ci ricordano che non abbiamo poi tutte queste ragioni. Quelle due mezze punte scapigliate alle spalle di un bomber un po’ sono farina del sacco di Gian Piero Gasperini, e poi te le ritrovi pure in Salento. Sarà che l’ambizione è quella di stupire? Beh, missione compiuta perché i giallorossi di Puglia sono la storia più bella (dopo il Napoli delle meraviglie) del nostro campionato. Dopo quattro minuti ci ricordano subito il motivo: Assan Ceesay si gira sul mancino, lontanissimo dalla porta e prova comunque la conclusione impossibile. Non se l’aspetta neppure Juan Musso che arretra, ma si tuffa in ritardo. Una sorpresa, appunto, che porta subito in svantaggio la Dea lanciata verso l’Olimpo della Champions League. Nel primo tempo, poi, solo tanto nervosismo e un Davide Zappacosta trasformato rispetto alla versione splendente vista contro la Lazio, ma in negativo.

Gasperini lo sostituisce in fretta, ma la giornata sembra maledetta, nonostante quei due lì davanti, Ademola Lookman e Rasmus Hojlund, diano sempre l’impressione di poter segnare da un momento all’altro. E, invece, gli assi dalla manica li sfodera ancora il Lecce: Gabriel Strefezza lascia la febbre negli spogliatoi e Alexis Blin segna un gol che fa impazzire gli ospiti. Due a zero insospettabile e per questo ancora più dolce, ma con la concentrazione che non deve calare fino alla fine, e invece ricapita come contro il Milan o quasi. Sì, perché nei minuti finali la difesa si addormenta e quella volpe di Hojlund si scaglia sul pallone in spaccata: la ribattuta fa finire il pallone direttamente in rete. Un gol che serve all’Atalanta per accorciare le distanze, ma non per recuperare punti. Il Lecce va in Paradiso: distanzia, probabilmente in via definitiva, la zona retrocessione e sente odore di decimo posto. Sì, perché credere ai miracoli, alla fine, non è proprio una perdita di tempo. E chi è uscito sconfitto, almeno per stavolta, lo sa anche meglio.

FIORENTINA-EMPOLI 1-1 – La super sfida, forse, non per i punti in classifica, della 23esima giornata di campionato è il derby toscano tra la Fiorentina di Vincenzo Italiano, che fa bene nelle coppe, in Conference più che in Coppa Italia, e che non si riconosce in Serie A, e l’Empoli di Paolo Zanetti, quello dei giovani e dei progetti riusciti, prima di tutto. Due filosofie si mettono di traverso l’una con l’altra, ma soprattutto due stati d’animo completamente diversi. Entrambi i club toscani, infatti, si trovano in una posizione di classifica tranquilla. L’Europa è ormai distante, ma anche quelle che lottano per non retrocedere. Restano, quindi, in un purgatorio che è tale soprattutto per la Viola, dalla quale – inutile negarlo – ci si aspettava molto di più nelle previsioni della scorsa estate. E invece no, perché la difesa continua a ballare e l’attacco non sembra neppure quello che meriterebbe Italiano, visto che le sue punte finora non hanno mai girato a dovere.

La partita inizia come il brutto incubo del recente passato. La Fiorentina mantiene saldamente il possesso del pallone, cerca di creare gioco e occasioni, ma la sensazione è che negli ultimi venti metri si spenga all’improvviso, non riuscendo a concretizzare quanto costruito tutto il tempo prima. Luka Jovic, infatti, non sembra esaltarsi neppure nel derby, solo nella Conference, ma lasciateci dire che è troppo poco per uno come lui. Poi, sempre come quei brutti incubi, arriva anche la doccia fredda, quella recapitata da Nicolò Cambiaghi.

Il giovanissimo bomber dell’Empoli dà prova delle sue qualità e gonfia la rete gelando i padroni di casa. Poi si fa anche male e speriamo che non sia nulla di grave, perché di uno come lui sentiremo ancora parlare. L’Empoli insomma passa in vantaggio e le regole della boxe non le cura proprio, quelle per cui ai punti sarebbe in vantaggio la Viola. Perché questo è il calcio e senza i gol non si va da nessuna parte. È anche la prova che le rotazioni di Italiano dopo le fatiche di coppa non hanno proprio convinto, soprattutto perché Giacomo Bonaventura è entrato solo nella ripresa e la differenza si è vista subito.

Proprio nella seconda frazione di gioco, il tecnico di casa mischia le carte e dona un assetto più offensivo ai suoi. Soprattutto sostituisce Jovic con Arthur Cabral, quell’oggetto misterioso che in Conference League, invece, ha fatto benissimo. È proprio lui a togliere le castagne dal fuoco e a evitare una sconfitta che sarebbe stata difficilissima da metabolizzare. Nei minuti finali, infatti, gonfia finalmente la rete per un 1-1 che sa di futuro e che comunque sembra il risultato più giusto per ciò che si è visto in campo.

La Fiorentina resta nel limbo delle stagioni che nascono storto e finiscono alla stessa maniera in Serie A, ma potrebbe imparare tanto da questo derby. Potrebbe capire soprattutto che il suo bomber titolare non può essere, per il momento, un Jovic svogliato e poco decisivo, anche perché c’è un Cabral che sarà sempre più difficile lasciare da parte.

SALERNITANA-LAZIO 0-2 – Di partita di Conference League a un’altra, anche la Lazio deve dimostrare che il periodo non troppo positivo delle ultime due settimane è sparito con il gol del capitano al Cluj, che regalerà un pizzico di spensieratezza in più per il ritorno – non troppo, però. Perché la magnifica rete è sarriana quanto e più del resto e Immobile sta bene anche nel 4-3-3.

Ecco sì, è questo a cambiare tutto, anche la gara di ritorno contro la Salernitana che allo stadio Olimpico aveva fatto arrabbiare i tifosi più di qualsiasi altra cosa, perché veniva in un periodo bello, ma complicato per gli impegni, e aveva levato a Maurizio Sarri anche Sergej Milinkovic-Savic, ma per il derby contro la Roma. Neanche stavolta c’è, tra l’altro, il serbo, indisponibile a causa di una gastrite dell’ultima ora, ma c’è Mathias Vecino a sostituirlo, così come Patric deve fare con Alessio Romagnoli, e Pedro, ora a sinistra, deve farlo con Mattia Zaccagni – il tempo di Luca Pellegrini, invece, non è ancora arrivato, ma il mister sta lavorando.

I granata nel primo tempo fanno vedere che il passaggio di testimone avvenuto in settimana tra Davide Nicola e Paulo Sosa, un passato alla Viola, è stato fruttuoso, almeno dal punto di vista del carattere, considerato che non riescono mai a farsi davvero pericolosi per la retroguardia biancoceleste. La mancanza di precisione, comunque, accomuna un po’ l’attacco degli ospiti, quasi come se quella magia che si aspetta da tempo non dovesse accadere pure all’Arechi.

L’attaccante e capitano della Lazio, Ciro Immobile che festeggia la doppietta contro la Salernitana – Nanopress.it

Basta un guizzo di Adam Marusic, però, per mandare in rete l’attaccante più prolifico di sempre della Lazio, e per portarlo a un passo dalla storia del calcio italiano (è nono, ora, a pari punti con Kurt Hamrin, e a 15 gol da quel mostro sacro di Roberto Baggio, nella classifica dei migliori calciatori all time della Serie A). E siccome la sua storia è ancora più bella, nel giorno prima del suo compleanno qualcuno gli regala un rigore che lui trasforma in oro. Quando esce dal campo, tra i boati dello stadio, Luis Alberto non riesce a concretizzare il penalty che potrebbe portare a una vendetta perfetta, ma poco importa perché si è tornati a vincere anche in campionato, perché Ciro si è sbloccato e perché non c’è nessuna crisi, né dentro, né fuori dagli spogliatoi, c’è una squadra che lotterà per tornare in Champions League.

Un po’ peggio va alla Salernitana che neanche con il cambio in panchina ha invertito marcia, come tra l’altro è successo lo scorso anno, quando ci si era salvati per il rotto della cuffia. Chissà, però, perché niente è scontato.

SPEZIA-JUVENTUS 0-2 – La Juventus ha smesso di lottare contro se stessa e questa già è una notizia di non poco conto. Ci sarà da lottare per bene nelle aule di tribunale, poi, ma intanto in campo la squadra di Allegri non sbaglia e continua una galoppata che consente almeno di sperare nella lotta per l’Europa. Obiettivo che a inizio anno sarebbe sembrata una bestemmia, ma ora e in queste condizioni pare l’unico spiraglio a cui aggrapparsi per sopravvivere. Sta di fatto che in campionato arriva una prestazione convincente e arrivano soprattutto tre punti che sanno di buono, sanno soprattutto di una squadra che, senza penalizzazioni, ora sarebbe seconda a braccetto con l’Inter. Non male, ma scindere il campo dalle inchieste è l’unico modo per capire la portata reale della Vecchia Signora edizione 2022/23.

Lo Spezia, invece, è messo male. Non perché giochi male, assolutamente, ma sicuramente perché servono punti per distanziare un Verona in forte risalita dopo una prima pare d’anno orribile e ci sono veramente tante assenze. Anzi, già che ci siamo diciamo che Mbala N’Zola è tornato in campo e, visto quanto è riuscito a fare per i liguri, è solo una bella notizia. Comunque la partita inizia subito con un motivo ben chiaro: gli ospiti cercano di sorprendere sulla profondità, ma figurati se si scoprono. Paradossalmente a fare la partita è proprio lo Spezia che ha il coraggio di alzarsi, recuperare palloni, poi si scontra contro il muro difensivo di Allegri, ma almeno ci prova. A segnare, però, è proprio la squadra di Torino: un Filip Kostic in gran forma scende sulla fascia e con il mancino mette al centro un pallone stupendo per Moise Kean che svirgola un po’, ma indirizza il pallone nell’angolino.

A questo punto, la Juventus si chiude ancora di più e cerca con ancora più forza di coprire gli spazi e guadagnarseli in contropiede. Le occasioni per lo Spezia ci sono pure, ma di gonfiare la rete non se ne parla proprio, soprattutto se di fronte c’è un Mattia Perin in versione Gigi Buffon d’altri tempi. Dall’altra parte Dusan Vlahovic pare un po’ nervoso e un po’ estraneo, ma sbaglia pure lui un paio di assist che avrebbero potuto rendere il passivo più largo. Proprio quello che fa Angel Di Maria: il Fideo entra alla grande in partita e scarica in porta un meraviglioso tiro dalla distanza che sigla il 2-0 per la Juventus nel secondo tempo. Ha anche il tempo di donare qualche altra perla e qualche bella giocata, ma finisce così. Lo Spezia torna a casa senza punti, ma con la consapevolezza di giocare bene. Può essere considerata l’esatto opposto di chi invece ha vinto?

Angel Di Maria – Nanopress.it

ROMA-VERONA 1-0 – Il dilemma è solo uno dalle parti di Roma: José Mourinho ci sarà o no nella prossima stagione? Impossibile dirlo come è impossibile pronosticare se quegli amori un po’ strani, corrisposti a periodi, si allineeranno o scoppieranno del tutto. E poi c’è comunque il campo a cui dar conto con le sue scadenze e le sue esigenze. E l’ultima in programma, incastrata in mezzo alle due partite di Europa League, è quella contro un Verona che ha tanto da perdere e più di quanto non abbia già perso. Gli scaligeri sono in netta ripresa dal punto di vista del gioco e dei risultati, ma non basta, almeno per il momento, per agguantare un posto che vale la salvezza. Bisogna confermare gioco, qualità e certezza anche contro uno degli avversari più credibili e solidi del campionato, anche con qualche assenza di troppo.

Infatti, i capitolini si avvicinano al match leccandosi le ferite, e non solo per com’è finito il match contro il Salisburgo. Paulo Dybala è ai box per un problemino muscolare e Tammy Abraham è incerottato, ma a disposizione. A differenza di Lorenzo Pellegrini che non può essere schierato per infortunio e lascia ancora più povera la fase offensiva dei giallorossi. Davanti è l’ora delle sorprese disperate e delle scommesse vinte, allora Mourinho rispolvera Ola Solbakken dal tirocinio formativo a Trigoria e schiera in attacco un armadio disciplinato e potente che non sarà la fine del mondo e neanche il nuovo Totti, ma è comunque oro colato vista la nutrita infermeria dei padroni di casa.

José Mourinho e Ola Solbakken – Nanopress.it

È proprio Solbakken a mettere un marchio indelebile sulla partita quando, dopo un paio di tentativi lontani dallo specchio, di mancino in spaccata mette a segno il gol del vantaggio. L’Olimpico, un po’ annichilito dal poco spettacolo proposto fino a quel momento, apprezza e si lancia in un urlo dei suoi, ma la partita è ancora lunga e difficile. Un po’ prima, poi, Mourinho ha perso del tutto anche Abraham per una tacchettata sullo zigomo dopo pochi minuti di gioco. Nulla di grave, ma abbastanza per dover lasciare il campo.

Al suo posto entra un Andrea Belotti che nessuno si sarebbe atteso così sterile dal punto di vista delle giocate e dei gol, ma è impossibile pensare non sia più un’alternativa credibile. L’ex Torino sbraccia, lotta, spesso va a terra, ma di giocate qualitative non ne fa molte. La voglia non si discute, ma il risultato non è per nulla quello del grande campione. Lo si apprezza comunque. E si vanta anche una Stephan El Shaarawy che stavolta non fa il gol, ma cerca di dare brio e sostanza alla manovra con alterni risultati.

Il Verona prova comunque a darsi una scossa e a tentare di agguantare il pareggio, ma non sembra nella versione dell’ultimo periodo. Sicuramente è merito della Roma che chiude tutti gli spazi e non concede praticamente nessuna palla gol, ma la manovra degli scaligeri non è esaltante e soprattutto è terribilmente lenta. Un passo in avanti sarà necessario per le prossime partite, quelle ancora più scottanti per decidere la zona retrocessione. La squadra della Capitale, invece, porta a casa tre punti fondamentali per il morale e per la classifica: in una serata ad alto rischio, va assolutamente bene così. In attesa del futuro.

TORINO-CREMONESE 2-2 – Non arriva neanche a Torino contro i granata di Ivan Juric la prima vittoria stagionale della Cremonese, c’è lo spettacolo, però, e i gol. Perché la partita che chiude il quarto turno del girone di ritorno non è quella da vedere perché non c’è altro in tv, anche un po’ stufi di iniziare di venerdì e finire di martedì con il calcio. Da subito i padroni di casa dimostrano che vogliono arrivare prima della Juventus in campionato, specie ora che dalla Figc, anzi dagli organi di giustizia sportiva, è arrivato questa mazzata per i “cugini”.

Sono loro a sbloccare il risultato prima del duplice fischio dell’arbitro con Antonio Sanabria, l’uomo lanciato a guidare l’attacco dall’ex allenatore del Verona. Il quasi 27enne paraguaiano dal dischetto non sbaglia contro Marco Carnesecchi e porta il Torino avanti nel punteggio. Devono macinare di più, in effetti, gli uomini di Davide Ballardini per agguantare il pareggio, ma ci riescono e lo fanno con la prima rete in campionato di Frank Tsadjout, al 54esimo. Ma il vero urlo arriva quando, venti minuti, arriva pure il gol del giovane difensore Emanuele Valeri, uno dei migliori prospetti della squadra grigiorossa, che ancora sogna di rimanere in Serie A anche il prossimo anno.

Dovrebbe farlo un po’ di più, però, perché quasi per ironia della sorte, quattro minuti dopo ancora, Stephane Singo, fino a questo momento poco utilizzato e soprattutto poco determinante per i granata, su assist di Aleksey Miranchuk riporta la gara in parità, e così finisce. Praticamente senza accontentare nessuno, né chi voleva superare i bianconeri, né chi vuole rimanere aggrappato a un treno che continua a viaggiare con un ritmo lento, ma troppo veloce per chi non ha la forza di correre più forte, o almeno non lo fa in Serie A, considerato che comunque la Cremonese è in semifinale di Coppa Italia, e questo conta, tanto.

La classifica dopo il 23esimo turno, che confusione in zona retrocessione

NAPOLI 62

INTER 47

ROMA, MILAN 44

LAZIO 42

ATALANTA 41

JUVENTUS*, BOLOGNA 32

TORINO 31

UDINESE 30

MONZA 29

EMPOLI 28

LECCE 27

FIORENTINA 25

SASSUOLO 24

SALERNITANA 21

SPEZIA 19

VERONA 17

SAMPDORIA 11

CREMONESE 9

*15 PUNTI DI PENALIZZAZIONE

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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