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Come sono andate le partite della 27esima giornata di Serie A

Prima della sosta per le Nazionali, impegnate nei gironi per la qualificazione agli Europei del 2024, la Serie A ci ha regalato dieci partite, due su tutte il derby di Roma, vinto dalla Lazio di Maurizio Sarri, e quello d’Italia, che invece è andato a Torino, con tante risposte per un campionato che il Napoli sta continuando a dominare. Nella partita al Filadelphia contro i granata di Ivan Juric, che ha messo difficoltà anche al Milan – che ha perso contro l’Udinese alla Dacia Arena -, gli uomini di Luciano Spalletti, specialmente Victor Osimhen e Khvicha Kvaratskhelia, archiviano la pratica con facilità, soffrendo davvero poco.

Filip Kostic che festeggia il gol dello 0-1 nel derby d’Italia della sua Juventus contro l’Inter – Nanopress.it

Macinano e mandano dei messaggi anche alle altre in Champions League, non solo ai rossoneri di Stefano Pioli, che dopo aver passato il turno della coppa dalle grandi orecchie hanno pareggiato anche contro la Salernitana, la stessa squadra che ha fatto 2-2 contro il Bologna ‘ammazza-grandi’, e appunto i friulani. In zona retrocessione, la Cremonese pareggia pure contro il Monza, e l’Hellas Verona cade in casa della Sampdoria. Al Sassuolo, impegnato contro lo Spezia, basta Domenico Berardi dal dischetto al Mapei, e ancora, la Fiorentina e l’Atalanta vincono rispettivamente contro il Lecce e l’Empoli. I partenopei continuano a guidare la classifica, la Lazio è seconda, e poi c’è l’Inter, mentre il Milan e la Roma vengono distaccate. La Juventus, potenzialmente, sarebbe davanti agli uomini di Sarri, ma a decidere non sarà il campo per loro, ma il Collegio di garanzia del Coni.

Nella 27esima giornata di Serie A, il derby di Roma va alla Lazio, che stacca i giallorossi, e quello d’Italia alla Juventus

Prima di salutarci per due settimane, assieme anche agli impegni europei e la Coppa Italia, la Serie A ha deciso di regalarci due derby tra i più iconici e sentiti che ci sono in Italia. A concludere la 27esima giornata di campionato, subito dopo la stracittadina tra la Lazio di Maurizio Sarri e la Roma di José Mourinho, che manco era in panchina per i giallorossi, vinta dai biancocelesti con un gol bellissimo di Mattia Zaccagni, decisamente il man of the match, c’è stato il derby d’Italia, quello tra l’Inter e la Juventus, in cui invece a vincere è stata la squadra di Massimiliano Allegri, che ha consolidato il secondo posto in potenza, che ora, però, è solo per i biancocelesti.

Per il Napoli, invece, la regina di tutto, anche in Europa, è un gioco da ragazzi superare il Torino, anche nello stadio dei granata. Il Milan, invece, non approfitta degli scontri diretti, in cui potrebbe rientrare anche la Juventus, e perde contro l’Udinese di Andrea Sottil. Tra le prime sei, ma quasi fuori dalla lotta per la Champions League, soprattutto se rientrano in gioco i bianconeri, vince l’Atalanta di Gian Piero Gasperini, andata pure sotto, in casa, contro l’Empoli. E poi c’è la zona retrocessione, ma capiamo insieme cosa è successo in questo turno, l’ultimo prima della sosta per le Nazionali, impegnate nei gironi di qualificazione agli Europei del 2024.

SASSUOLO-SPEZIA 1-0 – La partita tra i neroverdi di Alessio Dionisi e i liguri di Leonardo Semplici, i primi che hanno vinto sei partite su otto nelle ultime, i secondi che hanno battuto l’Inter in casa e devono fare punti per uscire dal pantano della retrocessione, viene decisa da un gol, su rigore, di Domenico Berardi, il capitano del Sassuolo che è tornato in ottima forma dall’infortunio che l’ha tenuto ai box per gran parte della stagione, e non è un caso che la squadra abbia iniziato a girare come doveva da allora. E non può nulla neanche lo Spezia, che ci ha provato e che al ritorno della Serie A incrocerà la Salernitana, mentre i padroni di casa ospiteranno il Torino nel posticipo del lunedì.

Non una bella notizia per i bianconeri che avevano bisogno di punti pesanti per la zona retrocessione, ma non era affatto semplice fermare gli emiliani che ora sembrano davvero essere arrivati al top della forma per numeri e prestazioni. Stavolta, la prestazione di M’Bala Nzola non è stata all’altezza, con i difensori centrali avversari che sono riusciti a controllare le azioni della punta senza troppa difficoltà. A non convincere, però, è stato soprattutto il centrocampo, quasi mai capace di cambiare ritmo e di prendere in mano la partita per innescare gli uomini pericolosi sugli esterni e sulla trequarti.

Dall’altra parte, il Sassuolo fa festa e vede il suo obiettivo stagionale ormai raggiunto. Con una piccola grande differenza: dopo le grosse cessioni estive, ora l’attacco sembra tornato in grande spolvero. Berardi è un calciatore semplicemente essenziale per gli equilibri della squadra e con un Armand Laurientè in questo stato di forma, praticamente tutto è possibile: la Roma ne sa qualcosa.

ATALANTA-EMPOLI 2-1 – I bergamaschi, che quest’anno non hanno avuto praticamente neanche un impegno infrasettimanale, a parte i quarti di finale della coppa nazionale contro i nerazzurri di Inzaghi, non vincono da più di un mese, da quell’11 febbraio allo stadio Olimpico di Roma contro la Lazio che ha fatto da detonatore per gli uomini di Sarri, e ha quasi spedito nel baratro l’Atalanta, sconfitta dal Napoli e dal Milan, anche dal Lecce, e al Gewiss Stadium, affrontano un Empoli che, quasi alla stessa maniera, si è persa nel momento in cui ha battuto l’Inter, a San Siro.

È una speranza per Gasperini che la rotta si inverta, e che si possano rosicchiare dei punti in una giornata che di scontri diretti, abbiamo visto, ne ha parecchi. E ci riescono pure gli orobici, anche se nel primo tempo sono sotto di un gol per la rete al 44esimo di Tyronne Ebuehi, arrivata grazie all’assist di Francesco ‘Ciccio’ Caputo. Al rientro in campo, però, le cose si ribaltano ed è Marten De Roon, che in anticipo di qualche giorno si regala il suo primo gol in questa stagione della Serie A, a ribaltare tutto, poi, ci pensa Rasmus Hojlund, l’uomo che mancava dalla sfida contro i salentini ma che non bastò.

Gli uomini di Paolo Zanetti non prendono il respiro, ma non vengono condannati, e comunque sarebbe davvero troppo poco tempo per dirlo, i padroni di casa, invece, accorciano, tenendo le dita incrociate e gli occhi sulle partite di sabato, e anche quelle di domenica, specialmente le ultime due.

MONZA-CREMONESE 1-1 – Un altro derby, stavolta tra neopromosse, il secondo in Serie A dopo quello dell’andata, è quello tra i brianzoli di Raffaele Palladino, decisamente una bella sorpresa per questo campionato, e il fanalino di coda, assieme alla Sampdoria, di Davide Ballardini, che pure da quando c’è in panchina l’ex Genoa e Cagliari sono riusciti ad arrivare in semifinale di Coppa Italia andando avanti contro i partenopei e i giallorossi dello Special One, e sempre contro la Roma hanno vinto anche la prima partita del ritorno in massima serie, tre turni fa. Da allora sono arrivate due sconfitte, e quel sogno che sembrava reale contro i capitolini, si è infranto contro il Sassuolo prima, e nonostante la rimonta, e contro la Fiorentina poi.

E con lo spirito di riprendersi quel sogno, che la Cremonese passa in vantaggio con il gol del capitano, Daniel Ciofani, che era andato a segno anche contro la Roma. L’assist di Michele Castagnetti si trasforma in rete nel momento in cui il quasi 38enne scaglia un rasoterra che finisce sulla sinistra per cui Michele Di Gregorio non può nulla. Il Monza, però, non ci sta, e appena otto minuti dopo trova il pareggio con Carlos Augusto che con un lancio dal limite spiazza Marco Carnesecchi. È un pareggio che ha il sapore amaro di una sconfitta per gli ospiti, e che serve a poco anche al club di Silvio Berlusconi e Adriano Galliani, ormai troppo lontani, forse, da un posto che significa Europa, ma c’è tempo, pure per programmare, e ci sono le basi.

SALERNITANA-BOLOGNA 2-2 – I campani vogliono credere in una salvezza tranquilla che fino a qualche settimana fa sembrava certa, nonostante tutto, poi non più, poi il cambio in panchina. Gli uomini di Thiago Motta, però, stanno sperimentando la bellezza e non vogliono smettere di esprimerla, anche contro un avversario che ha bisogno di macinare punti e farlo proprio ora. Nel primo tempo già si capisce come la partita possa sbocciare da un momento all’altro. Le due squadre esprimono un calcio propositivo, fanno girare il pallone velocemente e cercano di innescare continuamente i loro uomini offensivi. All’inizio nessuno dei due ha esattamente la meglio, anche perché non lo fanno Paulo Sousa e l’italo brasiliano, appunto, entrambi capaci di dare un’identità ben precisa ai loro ragazzi.

Al settimo minuto, però, arriva il primo lampo che sblocca la partita. Ci pensa Antonio Candreva a disegnare una traiettoria golosa per Lorenzo Pirola, che sfrutta la sua esplosività e la sua fisicità per segnare la rete dell’uno a zero. Sembra il prologo a un risultato importante, importantissimo per i partenopei e con un motivo ben chiaro. I felsinei, però, dimostrano tutto il loro valore e la loro organizzazione non scomponendosi, ma riuscendo a prendere in mano la manovra e senza lasciare spazi in ripartenza ai padroni di casa. È così che, dopo non troppo tempo, quello che era diventato un vero e proprio assedio si dimostra di più, quell’1-1 che segna il solito Lewis Ferguson, bravo a incunearsi nelle linee difensive avversarie.

La miglior presenza tattica degli emiliani si tramuta in un dominio territoriale che sembra dire tanto sull’andamento della partita da lì in poi. Invece, il possesso palla del Bologna trova tante imprecisioni quando si tratta di andare al tiro, negli ultimi trenta metri. Nel secondo tempo, la musica cambia molto, soprattutto perché la Salernitana riesce ad andare a prendere più in alto gli avversari e a gestire anche la sfera dalle parti del portiere rossoblù. E poi ci sono i calci piazzati, uno dei pezzi forti del repertorio dei granata. Alla fine, tra buone giocate a centrocampo e diversi contrasti importanti vinti, è Boulaye Dia a scagliare in porta un destro sporco, ma tremendamente efficace che vuol dire 2-1.

A questo punto, il Bologna si dice che non vuole perdere e riprende ad assediare la porta di Guillermo Ochoa, prima che un bell’inserimento di Charalampos Lykogiannis, da subentrante, non si infili in rete per il 2-2. È questo l’ultimo atto, almeno dal punto di vista realizzativo, per una partita sottovalutata da tanti, ma che ha espresso la sfida tra due squadre a viso aperto e capaci di dare emozioni. Ah, una piccola ma dolorosa parentesi per gli ospiti: Marko Arnautovic è entrato in campo al 65esimo minuto, ma è stato costretto a uscire sedici minuti più tardi per un nuovo infortunio. L’austriaco, quindi, continua a essere assediato dalla sfortuna in una stagione che era iniziata alla grande, ma ora pare maledetta. La squadra di Thiago Motta siamo sicuri non perderà comunque la sua continuità e i suoi intenti di gioco: ha dimostrato di poterlo fare anche senza il suo leader massimo e con Musa Barrow a legare il gioco. La Salernitana si consegna alla lotta anche nelle prossime giornata, ma con la conferma di avere le carte in regola per giocarsela con tutti. E soprattutto del fatto che Sousa abbia dato una scossa niente male a tutto l’ambiente.

UDINESE-MILAN 3-1 – Un’Udinese irriconoscibile dall’inizio del campionato, in cui era sembrato anche che potesse fare la voce grossa contro le big della nostra Serie A, ha ospitato alla Dacia Arena, nel posticipo del sabato, il Milan di Pioli, che nell’urna di Nyon ha preso il Napoli per i quarti di finale, ma che, dicevamo, da quanto è arrivata la qualificazione contro il Tottenham di Antonio Conte nella coppa dalle grandi orecchie, ha raccolto pochissimo in Italia.

Anche prima, in effetti, i rossoneri avevano avuto in crisi, fuori dalla Coppa Italia, e praticamente fuori dalla lotta per il titolo, avevano perso scontri diretti e non, scivolando anche (potenzialmente) fuori dalla Champions League. Nonostante le motivazioni, però, la voglia di rivalsa, e senza i due vicecampioni del mondo, Theo Hernandez e Olivier Giroud, che in qualche modo hanno retto la baracca dell’allenatore emiliano, a passare in vantaggio sono i friulani di Andrea Sottil, che sono messi molto meglio in campo rispetto al Milan. Ad aprire le marcature, al nono minuto, è Roberto Pereyra a sbloccare il risultato, poi spreca, e al 44esimo, dopo il consulto del Var e dopo che Zlatan Ibrahimovic si era fatto parare l’ennesimo rigore, tra l’altro da un Marco Silvestri che non aveva mai parato uno, sempre sul dischetto, e dopo un altro review, il numero 11 non ha sbagliato e, anzi, ha segnato il suo primo gol in questa stagione in Serie A, e oltre 41 anni.

Zlatan Ibrahimovic – Nanopress.it

Non basta, però, agli uomini di Pioli per portare a casa il risultato, e c’è molto timore anche a provare a vincerla, e ci pensa due minuti dopo Beto a ristabilire le distanze, e riportare i suoi in vantaggio, e Kingsley Ehizibue dopo, al 70esimo, a ribadire che questa sera i campioni d’Italia non passano alla Dacia Arena. Se i bianconeri raggiungono momentaneamente la Juventus, il Milan salutano la possibilità di approfittarne dei due derby in programma per domenica, e sperano che non faccia male, non più del dovuto il risultato di Roma e Milano.

Per i rossoneri si tratta di un passo indietro non indifferente, praticamente in tutte le fasi di gioco. L’intensità e l’applicazione che si sono viste a febbraio sono svanite in un melenso e lento gioco dalla punta verso i trequartisti, raramente capaci di brillare nell’uno contro uno. E poi c’è il capitolo difensivo: se con il passaggio alla difesa a tre dal derby contro l’Inter in poi, Pioli era riuscito a risolvere almeno il problema dei gol subiti, ora la situazione sembra di nuovo essere peggiorata all’improvviso e con diversi errori da parte dei singoli, anche di quel Malick Thiaw che, nell’entusiasmo delle sue prime uscite, sembrava praticamente insuperabile. Una cosa è certa: il Milan ora è chiamato a una reazione importante anche in Serie A, perché, esattamente come per i cugini, non basta più andare avanti in Europa per considerare la stagione soddisfacente.

Dall’altra parte, c’è un’Udinese che ha recuperato uomini importanti e che ora ha il vento in poppa per stupire da qui a fine anno. I bianconeri con Pereyra al massimo della condizione riescono a saltare l’uomo, ribaltare il fronte e a rendersi pericolosi anche per gli avversari più temibili. E poi c’è anche il capitolo legato all’attacco: Beto deve trovare la massima continuità in tutte le fasi di gioco e soprattutto al momento del gol, ma il ritorno di Gerard Deulofeu potrebbe essere la notizia più bella per un gruppo ben allenato e le cui possibilità potrebbero essere molto più ampie.

SAMPDORIA-HELLAS VERONA 3-1 – Il lunch match è una sfida salvezza, una di quelle vere, tra la terzultima e l’ultima (ma a pari punti con la penultima), che si gioca nell’arena di Marassi, in quel Luigi Ferraris in cui hanno faticato anche i nerazzurri di Inzaghi. Il cammino che le porta a questa sfida, alla Sampdoria di Dejan Stankovic e l’Hellas Verona di Marco Zaffaroni, è lo stesso: discontinuo, altalenante, ma se le partite dei blucerchiati sono state molto più difficile, i gialloblu non sono riusciti ad affrontare nelle partite clou, quelle in cui contava fare punti.

Questo si vede soprattutto nel primo tempo, quando Manolo Gabbiadini, che aveva segnato fino a quel momento quattro dei 14 gol della squadra del tecnico serbo, decide di salire in cattedra e archiviare, quasi, la partita nei primi 45 minuti. L’attaccante ex Napoli segna prima al 24esimo e anche nove minuti dopo e porta i suoi a tirare un sospiro di sollievo. All’88esimo, quindi quasi un’ora dopo, Davide Faraoni, tornato finalmente dall’infortunio, accorcia le distanze, è troppo tardi, però, è nel finale è gloria anche per Alessandro Zanoli, il difensore arrivato a gennaio con uno scambio con i partenopei.

Dejan Stankovic e Manolo Gabbiadini – Nanopress.it

Sono tre punti pesanti per la Sampdoria, e tre punti che, forse, condannano ancora di più gli scaligeri alla Serie B. Ma mancano ancora undici partite, e ad aprile il calendario sarà denso di impegni, per tutti. Soprattutto, i blucerchiati danno proprio l’impressione di aver trovato, proprio nel momento più importante, nuova grinta e motivazione per lottare fino alla fine e contro tutti. La reazione di nervi e orgoglio contro la Juventus ha trovato un’applicazione sempre più corposa nello scontro diretto contro il Verona e senza considerare un fattore che è stato il grosso punto debole della squadra dall’inizio della stagione fino a qui. Stiamo parlando della fase offensiva: è vero, gli spunti decisivi sono arrivati esclusivamente da Gabbiadini, ma se la punta dovesse continuare a mantenere questo rendimento, sarebbe veramente un passo essenziale per la rincorsa dei blucerchiati al quart’ultimo posto.

Non si può non sottolineare, invece, il grosso stop del Verona. I veneti sembravano aver iniziato il 2023 in maniera completamente diversa, regalandosi anche delle grosse prestazioni e risultati positivi contro alcune delle squadre più blasonate del campionato. Invece, nelle ultime uscite, l’attacco è tornato a girare poco, nonostante gli sforzi del centrocampo, e la difesa comunque non riesce ad arginare i costanti attacchi avversari. Il ritorno di Cyril Ngonge potrebbe ridare imprevedibilità alla squadra, ma complessivamente ci si aspetta tanto di più da un gruppo che deve macinare tanti punti per la salvezza.

TORINO-NAPOLI 0-4 – E chi avrà un calendario denso di impegni è sicuramente il Napoli. Alla squadra di Spalletti, che si è qualificata per la prima volta nella sua storia ai quarti di Champions League facendo cinque reti tra andata e ritorno all’Eintracht Francoforte, e non subendone neanche una, però, sembra non scalfisca niente, e corre e lotta come se non avesse quasi venti punti in più dell’Inter. La vittimi sacrificale, questa volta, è il Torino di Juric, che ci mette comunque del suo per rendere le cose complicate, almeno in un primo momento, ai primi della classe.

Quegli stessi primi della classe che, però, con la coppia Osimhen-Kvaratskhelia, partono sempre con un gol di vantaggio. Non è il georgiano, stavolta, a fornire il pallone che il numero nove insacca in rete, ma è Piotr Zielinski, ma poco importa, perché il risultato è lo stesso, e soprattutto il nigeriano diventa il giocatore che ha segnato più gol da incornata, persino più di quel marziano di Erling Haaland, che si ferma a cinque contro i sei, al momento, di Osi. La gara è ancora lunga, e al 45esimo, comunque, anche il 77 entra nel tabellino con un rigore impeccabile che Vanja Milinkovic-Savic non riesce a prendere.

Victor Osimhen – Nanopress.it

È, ancora, solo il primo tempo, in cui il Torino tenta anche una reazione importante per rientrare in partita, ma trova anche un paio di grandi parate da parte di Alex Meret. Da lì in poi gli azzurri riprendono il controllo della manovra grazie a un’ottima prestazione del centrocampo e innesca con continuità i migliori uomini offensivi, senza lasciare nulla al caso. Nel secondo tempo, poi, ci pensa sempre il nigeriano – o meglio marziano -, sempre di testa, ma sul cross di Mathias Olivera a segnare il tre a zero, che diventa un poker quando Tanguy Ndombele, tre minuti dopo essere entrato in campo, non sbaglia di fronte al portiere serbo e su assist del georgiano, che ha fatto il suo dovere anche oggi.

Questo 0-4, anche in trasferta, è un ulteriore messaggio a chi insegue, anche se con poche speranze, e non solo: è un messaggio per il Milan pescato per la seconda fase a eliminazione diretta, e anche per le altre sei che ancora sono là, tra le prime d’Europa. Il Napoli e Spalletti fanno sul serio, e non intendono lasciare che briciole agli altri. La meraviglia degli azzurri ormai non può essere messa in discussione e non è qualcosa di istintivo o casuale, bensì l’idillio della programmazione, che si basa sull’ottimo lavoro di Cristiano Giuntoli in dirigenza e del tecnico di Certaldo sul campo. Il secondo gol del Napoli rispecchia a pieno l’indole offensiva della squadra, con un Giovanni Di Lorenzo incontenibile a tagliare il campo e per innescare la discesa dell’altro terzino, con un bellissimo assist per Osimhen.

La pesante sconfitta casalinga, invece, non può distogliere il Torino dai suoi progetti e dalla crescita delle ultime settimane. Anche nei dieci minuti in cui i granata hanno reagito si è vista la vera anima di una squadra capace di sognare anche un posto europeo, che magari non arriverà, ma potrebbe essere il via per i progetti dell’anno prossimo.

FIORENTINA-LECCE 1-0 – Una Fiorentina bella in Conference League, e anche lei qualificata ai quarti di finale della terza competizione Uefa, continua a macinare anche in campionato, in cui, invece, prima si era faticato parecchio. Contro il Lecce, che ha smesso di essere una spina nel fianco per le grandi, basta l’autogol di Antonino Gallo ai Viola di Vincenzo Italiano per vincere e accorciare sull’Udinese, ma anche raggiungere il Bologna e i granata. I salentini di Marco Baroni possono ancora stare tranquilli, ma solo perché nel pantano della retrocessione la lotta è a chi si fa più male, e non a chi fa meglio.

Nel complesso, pur senza fare faville dopo le fatiche europee, la Viola continua a mostrare miglioramenti evidenti sul campo. I toscani riescono a essere costantemente pericolosi in tutte le fasi di gioco e finalmente con un attacco in grado di fare male in zona gol e di vincere i duelli individuali nel corso della partita. Se poi la difesa riesce a non subire reti e i le mezzali arrivano spesso al tiro come contro il Lecce, allora si può davvero ben sperare per il futuro, soprattutto per un percorso europeo che potrebbe diventare presto meraviglioso.

Invece, i pugliesi continuano a fare i conti con un momento di forma davvero deludente. L’attacco non punge più proprio negli elementi che, invece, erano stati fondamentali come Gabriel Strefezza e Federico Di Francesco. Anche l’alternanza tra le punte ora non basta più per avere forze fresche e sorprendere gli avversari. Invertire la rotta, però, a questo punto, sembra fondamentale per blindare una salvezza per molti scontata, ma che potrebbe tornare in discussione se quelle dietro dovessero iniziare a correre per davvero. Un allarme che ora nel tacco dello stivale più giallorosso che c’è tutti vogliono scongiurare.

LAZIO-ROMA 1-0 – Alle 18, poi, è iniziata la parte della 27esima giornata che potrebbe renderci la sosta meno amara, oppure amarissima, perché è arrivato il momento dei derby, prima quello di Roma. In casa della Lazio, in uno stadio Olimpico gremito per lo più di bandiere biancocelesti, gli uomini di Sarri e i giallorossi di Mourinho si sfidano in una stracittadina che non vale solo la supremazia all’ombra del Cupolone, non sono solo due filosofie di vita, di gioco, e di tattica a scontrarsi, c’è una lotta che vale, forse, un pezzetto di Champions League, con ancora due sentimenti contrastanti.

Perché se la partita di campionato della Lazio non è andata molto meglio di quella della squadra dello Special One (i biancocelesti hanno pareggiato contro il Bologna al Renato Dall’Ara, la Roma ha perso in casa contro il Sassuolo), non si può dire la stessa cosa delle gare in Europa. Due giovedì fa, i giallorossi hanno vinto, sempre davanti al pubblico di casa, contro la Real Sociedad l’andata, al ritorno è bastato amministrare il vantaggio per arrivare dritti dritti ai quarti di Europa League nei quali ce la si vedrà contro il Feyenoord, già battuto nella finale di Conference League dello scorso maggio, l’altra sponda del Tevere, che già era retrocessa nella terza competizione Uefa dalla seconda, ha perso due volte per 2-1 contro gli olandesi dell’AZ Alkmaar e non si è andati oltre gli ottavi, l’unica delle italiane, per altro, a non riuscirci.

La delusione da una parte, la voglia di rivalsa dall’altra, anche perché all’andata il tecnico toscano l’aveva preparata in maniera perfetta, ed era servito solo un gol di Felipe Anderson, pure senza il capitano, Ciro Immobile, e il suo vice, Sergej Milinkovic-Savic— che oggi vivrà il suo primo derby con la fascia al braccio perché il bomber con la maglia 17 è ancora infortunato, e infatti non è stato convocato neanche per la Nazionale da Roberto Mancini -, non c’erano.  Poco prima dell’inizio un altro forfait aveva anche allarmato i tifosi laziali, che già doveva rinunciare a Mathias Vecino in mediana (al suo posto, Danilo Cataldi) perché squalificato: problemi influenzali per Ivan Provedel, il portiere arrivato a Roma per essere il secondo Luis Maximiano e diventato una certezza per Sarri, che in Serie A non ne ha mai fatto a meno, il friulano, lui sì convocato dal ct per le prime sfide di qualificazione agli Europei del 2024, ce l’ha fatta, però, e ci sarà lui tra i pali, anche con la febbre.

Nella Roma, invece, il portoghese, ancora fuori per quello che è successo a Cremona, doveva contare solo sull’indisponibilità di Marash Kumbulla, di fatto una seconda linea, per l’espulsione rimediata contro i neroverdi, e ha preferito Andrea Belotti per affiancare Paulo Dybala, l’uomo che non ha mai perso un derby in vita sua, e non solo con la maglia della Juventus, ma anche con quella del Palermo, a Tammy Abraham, che un anno esatto fa era stato letale proprio contro i biancocelesti, lui pure si è accomodato in panchina aspettando il suo turno.

Fuori dal campo c’è stato, è vero, qualche disordine – ma niente di paragonabile a quello che è successo a Napoli solo qualche giorno fa -, sugli spalti, invece, è una festa, di sciarpate, di colori, più il bianco e il celeste, e le coreografie, uno stadio che ha omaggiato Sven Goran Eriksson, che ha allenato i giallorossi, sì, ma che con la Lazio ha vinto uno scudetto e che adesso ha deciso di ritirarsi perché deve curarsi. È un’emozione per i biancocelesti, lo è per lui.

Ma c’è il campo, poi. È un derby bloccato quello che si vive nei primi minuti a Roma, la squadra dell’ex Napoli è più propositiva, quella dello Special One è arroccata in difesa, la Lazio ha sicuramente il pallino del gioco e del pallone, lo fa muovere, sale, costruisce tutta insieme, Mattia Zaccagni e Felipe Anderson sono letali, e Roger Ibanez e Gianluca Mancini ne sanno qualcosa, un po’ più in ombra sembra essere il serbo. Tra i giallorossi, Lorenzo Pellegrini, il capitano di fede romanista, è uno dei più brillanti insieme alla Joya, ma l’unica vera chance è sui piedi di Georgino Wijnaldium, il cui tiro finisce troppo alto, però.

Al 30esimo, succede qualcosa che forse cambia la partita: l’uomo che aveva regalato all’andata il pallone d’oro a Pedro Rodriguez poi finalizzato dal brasiliano, commette un altro fallo da giallo sul numero 21 della Lazio e viene espulso per doppia ammonizione. La Roma, per un’ora, dovrà giocare con un uomo in meno, e quindi la prima contromossa di Mourinho è quella di arretrare in difesa  Bryan Cristante, mentre il capitano giallorosso si sposta accanto all’olandese.

Il derby sale di intensità, e sono sempre i padroni di casa ad alzare il ritmo, vogliono approfittare del momento di nervosismo dei “cugini”, ancora più schiacciati nella loro metà campo. Milinkovic-Savic ha sui piedi il pallone dell’1-0, ma spreca l’unica occasione in cui la Roma lo lascia solo. Lazio-Roma si incendia, ancora di più: all’ennesimo fallo di Mancini reagisce Zaccagni, che sulla fascia sta facendo vedere sorci verdi al numero 23, poi c’è un contatto tra Belotti e Alessio Romagnoli con fallo dell’attaccante sull’ex Milan, Pedro rinvia davanti alla panchina della Roma e vengono espulsi i preparatori atletici da entrambe le panchine, la tensione cresce ma il primo tempo di chiude a reti bianche.

Al rientro in campo, l’allenatore del triplete mette Diego Llorente, un difensore, per Dybala, i biancocelesti continuano a crescere, ma non riescono mai a sfondare per davvero, lo fa al 65esimo il migliore in campo, da entrambe le parti. Su un filtrante di Felipe Anderson, ancora un altro tra i migliori, Zaccagni anticipa tutti e con un diagonale perfetto trafigge la porta di Rui Patricio che non può nulla. Il tempo di festeggiare, con Sarri l’unico rimasto in panchina, e la Roma reagisce. Complice il fatto che il difensore centrale ex Atalanta viene lasciato da solo in area, Chris Smalling vicinissimo al palo effettua un cross che viene deviato dalla gamba di Nicolò Casale, che fino ad allora non aveva sbagliato nulla. Il Var annulla, però, il pareggio dei giallorossi, che tornano sotto di un gol e che hanno poco tempo per recuperare, e cercare di vincere.

Mattia Zaccagni, Stefan Radu e Ciro Immobile – Nanopress.it

Non ne approfittano, però, perché i lampi successivi sono sempre degli uomini del toscano, che poi decidono di amministrare il vantaggio, e in quell’occasione rischiano di prendere la rete che potrebbe compromettere tutto. Non avviene perché capiscono l’errore, strigliati anche da Immobile, anche lui accomodato a gustarsi la sua squadra assieme ai compagni, e finisce così il derby, anzi no, perché, non appena inizia la festa sugli spalti, in campo, dopo il triplo fischio di Davide Massa, i giocatori di Lazio e Roma iniziano a discutere, Cristante lo fa con Luca Pellegrini, e poi ci si mette in mezzo anche Adam Marusic, autore anche lui di una prestazione monumentale per il club di Claudio Lotito, vengono espulsi sia il centrocampista giallorosso, sia l’esterno della Lazio, che salteranno senza dubbio la partita del ritorno dopo la sosta per le Nazionali, ed è un problema soprattutto per Mourinho che, oltre a lui, dovrà rinunciare ancora a Kumbulla, e anche a Mancini, che in diffida, si è fatto ammonire (un mistero solo il fatto che il giallo sia arrivato solo all’80esimo, tra l’altro), avrà fuori anche il numero 4.

A fine partita, le polemiche comunque non finiscono tra i due club, che sentono sempre tantissimo questa partita per l’atavica rivalità, praticamente identitaria, che diventa grande protagonista, ancor più delle gesta in campo. A far discutere ancora di più, è certamente il botta e risposta tra Lotito e Mourinho. I nervi tesissimi tra Cristante e Marusic, infatti, è proseguito negli spogliatoi. Mancini ha iniziato a litigare con Romagnoli e Luis Alberto e, a quel punto, a intervenire è stato il presidente protagonista, per tentare di far da paciere e permettere alla situazione di scemare. A quel punto, è intervenuto il tecnico portoghese, autorizzato a entrare negli spogliatoi dopo la partita, nonostante la squalifica. L’ex Inter ha detto al patron avversario: “Che ti guardi?”, sentendosi rispondere una frase lapidaria. “Che guardi te. Io sono il presidente della Lazio, tu chi sei!? Qui non ci potresti neanche stare, sei pure squalificato”. Insomma, il derby lascia le sue scorie e i suoi nervi tesi, tra sfottò, vincitori e vinti. Non sappiamo se sia davvero giusto così, ma è un dato di fatto per le questioni di campo e le ambizioni delle due squadre, fino alla fine in lotta per un piazzamento europeo dalla porta principale, quella che conduce alla prossima Champions League.

I biancocelesti, però, continuano a festeggiare con la Curva, e con i figli e i genitori, soprattutto l’Arciere di Cesena, lo stesso che è stato lasciato fuori dall’Italia da Mancini. Lo fa perché due derby su due, in stagione, sono andati alla Lazio, e adesso nella corsa alla massima competizione europea è avanti di cinque punti e con gli scontri diretti decisamente a favore. Un passo avanti molto importante, specie perché anche il Milan sta continuando a perdere colpi, l’Atalanta si è quasi chiamata fuori, e prima di un altro derby, quello d’Italia, che potrebbe facilitare ancora di più il cammino alla Lazio, ma dipende anche dal Collegio di garanzia del Coni.

INTER-JUVENTUS 0-1 – Ed eccola, quindi, la sfida delle sfide tra le mura di casa nostra. Quell’Inter-Juventus che, forse anche più del derby della Capitale, è una lotta tra due mentalità agli antipodi, due tifoserie che hanno provato molte più gioie che dolori. Sugli spalti, sono gli ultrà nerazzurri che regalano un assaggio di bellezza con una coreografia che toglie il fiato. La squadra di Inzaghi parte più aggressiva, ma anche più stanca di quella di Massimiliano Allegri, che sì ha giocato giovedì in Europa League, vincendo contro il Friburgo e qualificandosi ai quarti, ma che non ha affrontato il Porto di Sergio Conceiçao in un ottavo di coppa dalle grandi orecchie che è valsa un ritorno tra le prime otto in Europa che non si vedeva dall’anno dopo il triplete.

Un’altra storia, in cui i bianconeri erano ancora in fase di ripresa dopo la retrocessione. E potrebbe essere la stessa anche ora, dicevamo, perché il cammino della Vecchia Signora non dipende solo dal campo, ma da quello deve partire per conquistarsi un altro anno in una competizione Uefa.

L’inizio di partita vede un copione che in molti si aspettavano. L’Inter, sfruttando il doppio regista e la cerniera costituita da Hakan Calhanoglu e Marcelo Brozovic, imposta il gioco soprattutto orizzontalmente, mentre la Juventus chiude tutti gli spazi inducendo spesso la Beneamata a cross che sono abbastanza facili da controllare per gli ospiti. Infatti, le azioni più pericolose sono proprio della Vecchia Signora, abile soprattutto sul centro-sinistra con Adrien Rabiot e Filip Kostic a ribaltare il fronte, giocando il pallone su Dusan Vlahovic per ripulirlo e far partire il contropiede.

E alla Juventus basta proprio un gol di Kostic per battere i nerazzurri a San Siro. Nel cuore del primo tempo, infatti, i bianconeri vincono un paio di contrasti, viziati probabilmente da un paio di tocchi di braccio che il Var non ravvisa, il primo di Rabiot e il secondo di Vlahovic, e si apre il campo fino ad arrivare proprio dall’ex Eintracht Francoforte, bravo a incunearsi tra Denzel Dumfries e Matteo Darmian e a battere André Onana con un mancino rasoterra e incrociato. A questo punto è l’Inter ad attaccare più dei bianconeri, ma il pareggio non arriva, nonostante un Romelu Lukaku che pare crescere non poco dal punto di vista della forma atletica e dell’applicazione offensiva. La prestazione di Lautaro Martinez, invece, è impalpabile: il Toro in splendida condizione e in grande spolvero, dopo il Mondiale vinto con l’Argentina, sembra non esserci più o aver semplicemente ridotto la sua mole di gioco e prestazioni. Neanche le sostituzioni di Inzaghi fanno la differenza: Edin Dzeko e Joaquin Correa toccano ben pochi palloni e senza riuscire a incidere sull’andamento complessiva della partita, in cui Federico Gatti e Gleison Bremer fanno la differenza in area di rigore.

A fine partita, dopo il triplice fischio, e come a Roma, succede che i giocatori non la prendono bene, e vengono espulsi sia Danilo D’Ambrosio, sia Leandro Paredes, che no, non ci saranno per il ritorno dalla sosta. E non ci sarà neanche Rabiot che è stato ammonito e potrà esserci alla prima di aprile. Non sono gli unici strascichi che ha lasciato la partita più attesa d’Italia, praticamente da sempre.

L’Inter, infatti, proprio nei giorni rivitalizzanti dopo il passaggio del turno in Champions League e il sorteggio contro il Benfica – probabilmente un po’ troppo sottovalutato – torna sulla terra e lo fa nella maniera peggiore possibile, con il secondo ko consecutivo in Serie A, proprio quando bisognava accelerare per blindare il secondo posto. Non può essere questo il livello reale dell’Inter che sicuramente deve ritrovare gol e concretezza offensiva, ma soprattutto la spinta sugli esterni. Denzel Dumfries non è ancora neanche vicino ai livelli del Mondiale e ancor di più a quanto fatto lo scorso anno: dall’olandese ci si aspetta molto di più nell’uno contro uno, ma anche dal punto di vista della solidità difensiva, al netto del salvataggio sulla linea decisivo contro il Porto. Dal lato opposto del campo, Federico Dimarco sta sentendo sempre di più la stanchezza, dopo un paio di mesi giocati senza respiro. La sosta servirà a ritrovare al top il terzino ex Verona e non è un dato banale per gli equilibri di Inzaghi. Poi il tecnico dovrà ragionare sulle dinamiche del suo centrocampo che con Brozovic in campo sembra perdere molto nel gioco verticale in nome di un dominio nell’impostazione che pare un po’ sterile. Tutti quesiti che le due settimane di pausa dovranno risolvere, perché ora continuare a sbagliare potrebbe essere drammatico per la classifica.

Dall’altra parte, invece, c’è una Juventus che ha il vento in poppa e sembra arrivata al punto più alto dell’espressione del gioco di Allegri. È vero, il corto muso spesso è un’evidenza che non è stata abbandonata, ma, se la difesa regge, l’attacco e le giocate dei singoli stanno aiutando a vincere le partite con buona continuità. È successo prima contro il Friburgo, e non era semplice come è sembrato, poi anche contro l’Inter. A questo punto, bisognerà continuare a osservare cosa succederà nelle aule di tribunale e soprattutto sperare di arrivare al top della forma anche contro lo Sporting. Perché è vero che l’Europa League non è esattamente la Champions League, ma vincerla sarebbe una grossa soddisfazione per Allegri, e che potrebbe togliere le castagne dal fuoco al tecnico livornese in una stagione maledetta. Scaldate i motori, perché il meglio potrebbe ancora arrivare.

La classifica incorona ancora una volta il Napoli come la regina, inarrestabile anche a Torino contro i granata, la Samp allunga sulla Cremonese, mentre il Verona crolla

NAPOLI 71

LAZIO 52

INTER 50

MILAN 48

ROMA 47

ATALANTA 45

JUVENTUS* 41

UDINESE 38

FIORENTINA, BOLOGNA, TORINO 37

SASSUOLO 36

MONZA 34

EMPOLI 28

LECCE, SALERNITANA 27

SPEZIA 24

HELLAS VERONA 19

SAMPDORIA 15

CREMONESE 13

*15 PUNTI DI PENALIZZAZIONE

Mariacristina Ponti

Nata nel lontano 1992, nel giorno più bello per nascere, a Cagliari. Dopo la maturità scientifica, volo a Padova e poi a Roma per studiare lettere. Nella Capitale poi rimango anche per il master in giornalismo. Tra stage a profusione, sempre nelle redazioni sportive, anche se il vero amore è sempre stato la politica, ho ancora da ritirare un tesserino da professionista.

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