La 31esima giornata di Serie A ha riservato diverse sorprese e anche il ritorno alla vittoria di Inter e Milan, in piena corsa per un posto in Champions League. Cade ancora la Juventus, stavolta contro il Napoli, ed è la terza volta consecutiva; va male anche alla Lazio che perde in casa contro il Torino, ma non va diversamente alla Roma, battuta grazie a un gol di Mario Pasalic. Cambia inevitabilmente la classifica del nostro campionato con le milanesi che si riavvicinano al terzo posto, ma anche con l’Atalanta che regge il passo e ritorna ampiamente in corsa.
Dopo Champions, Europa e Conference League, è l’ora di tornare con la testa e le energie residue in cui ci si gioca ancora tanto, soprattutto la voglia di tornarci in Europa un anno dopo e rigiocarsi serate così. Dopo che la Juventus ha riottenuto, almeno momentaneamente, i dodici punti di penalizzazione, la musica un po’ è cambiata, soprattutto per le milanesi. Inter e Milan stanno facendo un percorso magnifico in Champions League, ma in campionato arrancano e, in questo momento, sarebbero fuori dalla massima competizione europea. E, infatti, questa settimana entrambe hanno vinto e senza subire gol contro Empoli e Lecce. Le romane, invece, crollano entrambe contro Torino e Atalanta. Male anche la Juventus, ma il Napoli a questo punto è vicinissimo allo scudetto.
Il campionato di Serie A continua a regalarci sorprese ed emozioni. La corsa per la Champions League, al momento, è il capitolo più emozionante con Inter e Milan capaci di rifarsi sotto sul più bello e la settimana prima degli scorsi diretti più importanti. Il terreno ora è più breve dalla Lazio e soprattutto dalla Roma, stanca e sfortunata contro l’Atalanta nel posticipo di lunedì. Il dato più importante è comunque quello del Napoli che vince negli ultimi minuti contro la Juventus, ma con tante polemiche arbitrali. Ecco nel dettaglio come sono andate tutte le partite della 31esima giornata.
VERONA-BOLOGNA 2-1 – La necessità è quella di stupire, di rinascere, infine di salvarsi. E quest’esigenza il Verona la rispecchia totalmente in questa giornata, tornando a farsi sotto sul più bello e quando serviva di più avvicinando il quart’ultimo posto. I padroni di casa fanno la partita senza indietreggiare e trovano il vantaggio al 51esimo, ma del primo tempo, con un rigore di Simone Verdi. Al 62esimo il trequartista trova anche il raddoppio, stavolta su assist di Davide Faraoni. Il gol che accorcia le distanze, ma solo al 94esimo, è di Dominguez. Passo indietro netto per il Bologna, dopo i risultati dell’ultimo periodo, il Verona invece vola e ora può credere nella Serie A anche per il prossimo anno.
Gli scaligeri rappresentano una delle grandi affermazioni di questa giornata, anzi ancora di più una conferma che non è possibile togliersi dalla testa. La squadra non è ancora perfetta, con l’attacco che fa fatica a pungere con grande continuità nell’arco della partita e con alcuni singoli che devono ancora definitivamente sbloccarsi. La rosa a disposizione di Zaffaroni è comunque una delle più lunghe e complete rispetto a tutte le altre squadre che devono salvarsi e questo è di sicuro un fattore fondamentale per tentare di strappare le migliori prestazioni possibili per restare aggrappati alla Serie A.
Sulla trequarti, inoltre, i gialloblù hanno ora (quasi) al top della forma uno degli uomini salvezza per eccellenza, quel Simone Verdi che sicuramente ha una tecnica di livello ancora più alto rispetto ai palcoscenici che finora la carriera gli ha regalato, ma ha a che fare da sempre con una serie di infortuni e stop fisici che non gli hanno permesso di decollare come avrebbe meritato. Parliamo di un fantasista che ha dalla sua un destro educato e un mancino magico, il tiro dalla distanza e soprattutto sa dipingere dei calci piazzati che sanno mettere da anni in difficoltà qualsiasi retroguardia. Il suo valore aggiunto è stato chiaro contro il Bologna e ha avvicinato terribilmente l’obiettivo stagionale, anche se il calendario non è sicuramente dei più semplici.
Il successo del Verona è, allo stesso tempo, uno stop importante per gli uomini di Thiago Motta e in un momento cruciale della stagione. L’idea di entrare in Conference League, dopo un 2023 da sogno, ha accarezzato le idee e le ambizioni di molti tifosi, anche per l’ottimo gioco espresso, ma il rischio è che quel momento di forma splendido dei centrocampisti e di gran parte dei migliori singoli tra i rossoblù sia destinato a svanire. Già contro il Milan erano arrivati dei segnali allarmanti in tal senso, con troppi errori in fase di costruzione e di realizzazione della manovra, ma in questa trasferta andata male la reazione è stata tardiva e l’attacco non ha risposto presente. Ora il settimo posto si allontana, ma nella prossima di Serie A c’è un’occasione importante per riscattarsi, in casa contro la Juventus. Di certo, il tempo stringe e ora non si può più sbagliare: chi è arrivato più in forma a questo punto dell’anno può godersi il diritto di sognare in grande, senza tanti compromessi.
SALERNITANA-SASSUOLO 3-0 – Il sabato inizia con una partita snobbata da molti, ma che ha tanti contenuti da dire dal punto di vista tattico. Il Sassuolo è una delle migliori squadre del 2023, ma i granata hanno molte più motivazioni, soprattutto la necessità di macinare il prima possibile i punti per evitare la retrocessione. E i punti, ma anche i gol, arrivano in massa contro gli emiliani, che devono fare a meno di Domenico Berardi. Al nono minuto già la partita si sblocca con Lorenzo Pirola che mostra tutto il suo talento anche dalla metà campo in su firma l’1-0. Al 20esimo, arriva anche il raddoppio e stavolta la firma d’eccezione è di Boulaye Dia che torna al gol e realizza il 2-0. Le cose nel secondo tempo si mettono anche meglio e al 65esimo l’attaccante ispira il tris di Coulibaly. Grande festa per i campani, ora vicini alla salvezza.
Sì, perché stavolta il passo in avanti dei granata è veramente consistente e cambia notevolmente la storia di una classifica che si sta facendo sempre più complicata per le altre pretendenti a un nuovo posto in Serie A. Lecce e Spezia ora sono veramente a rischio per il ritorno in extremis del Verona e sarebbe potuto essere tranquillamente così anche per i campani. Si tratta, però, di un periodo ipotetico dell’irrealtà, almeno per il momento, perché gli ultimi risultati utili della squadra di Sousa arrivano proprio nel periodo cruciale della stagione.
È vero, sono arrivati una serie di pareggi consecutivi che non lasciavano presagire il meglio, ma se poi si guarda nel concreto alle prestazioni e a come sono arrivati questi risultati, non si può che affermare che la crescita della squadra è veramente consistente e si pone su architravi pesanti che partono dal gioco, dalla mentalità offensiva, che Paulo Sousa non poteva che dare vista la sua storia e i suoi intenti tattici, e poi anche da un pizzico di fortuna, una caratteristica che di solito sorride alle squadre che pensano in avanti.
L’arrivo del nuovo allenatore ha ridato enfasi e grinta ad Antonio Candreva, uno degli uomini più tecnici e più pesanti nello spogliatoio, uno che in carriera ha fatto la fortuna di club come Lazio e Inter e che per anni ha vestito la maglia della Nazionale italiana. Il suo contributo in questa parte dell’anno è fondamentale e l’ha dimostrato proprio nel gol contro i nerazzurri, ma anche nell’ultimo turno in Serie A. In molti, infatti, hanno premiato la sua prestazione con il Sassuolo con un bel 7 in pagelle ed è meritatissimo per la mole di gioco e la qualità che ha dato sull’esterno, ma in generale sulla trequarti.
Non è l’unica nota a favore della Salernitana, dato che il vero ago della bilancia per la squadra di Sousa sembra essere costituito ancora da un Dia che ha veramente tanto da dare e potrebbe rivelarsi una risorsa letale in generale per tutto il calcio italiano. La punta ha dei movimenti tutti suoi che riescono ad abbinare un attacco alla profondità importante a una fisicità che in area di rigore fa sempre la differenza. Vederlo a questo livello e a questo punto dell’anno potrebbe essere (se non è già stata) la chiave di volta che vale un’intera categoria.
Il Sassuolo, invece, se ne torna a casa con le ossa rotta dopo una prestazione che non è piaciuta a nessuno. È vero, mancava Domenico Berardi, pronto a rientrare a disposizione il più presto possibile, ma il centrocampo non ha proprio funzionato e anche l’attacco ha tanto da farsi dire alle spalle. Laurientè sembra aver perso quella forma smagliante di qualche tempo fa e ora le sue discese sono controllate con più facilità dagli avversari. È anche vero che il Sassuolo è una delle squadre che ha maturato più punti nel 2023 e, quindi, le prospettive sono comunque buone. Soprattutto, quando la rosa tornerà al completo, arriverà anche qualche altra soddisfazione.
LAZIO-TORINO 0-1 – I biancocelesti di Maurizio Sarri, gli unici tra le prime sei a non aver avuto impegni infrasettimanali in coppa a causa dell’uscita anticipata dalla Conference League, hanno ospitato i granata di Ivan Juric, non certamente gli amici giurati del tecnico toscano, e non sicuramente il miglior allenatore con cui si poteva scontrare la Lazio per guadagnare tre punti che avrebbero avuto un peso importante in zona Champions League, ma soprattutto in ottica primo posto.
Con la stessa formazione di sempre, a esclusione di Danilo Cataldi, squalificato, di Nicolò Casale, un po’ acciaccato, e di Ciro Immobile, il capitano, reduce da un incidente di cui ha parlato tutta Italia, gli undici di casa si sono presentati ai nostri di partenza con le migliori intenzioni, ma è stato il Torino a capire subito da che parte andava la partita, chiudendo le linee di passaggio e imbrigliando il gioco dei biancocelesti, soprattutto passando per Mathias Vecino, non tra i migliori in campo.
La Lazio è comunque salita di giri, non trovando mai però l’occasione giusta per andare in gol, un gol che è poi arrivato dagli ospiti che, complice la prima svista (forse) da inizio anno di Ivan Provedel, hanno colpito la squadra di Sarri al 43esimo con Ivan Ilic, ovvero il giocatore che lo stesso tecnico della Lazio stava chiedendo alla società da qualche finestra di calciomercato.
La partita si è conclusa così, con i padroni di casa che ci hanno provato fino alla fine, ma non sono mai riusciti a colpire per davvero, soprattutto da quando è entrato il numero 17, che di fatto non ha mai toccato un pallone. Certo, c’è da dire che l’arbitraggio di Davide Ghersini che è stato criticato sia dal tecnico, sia dal presidente Claudio Lotito, e che potrebbe addirittura essere fermato per un turno dal designatore arbitrale, perché c’era sicuramente un’espulsione per i granata, quella per Stephane Scingo, più volte graziato dal direttore di gara dal secondo giallo, e un rigore su Elseid Hysaj, che forse avrebbe permesso alla Lazio di guadagnare almeno un punto.
Sicuramente non si tratta di uno stop facile da assorbire per i padroni di casa, proprio nel momento in cui la squadra di Sarri sembrava essere quella più in forma nella corsa al secondo posto e arrivava da diverse vittorie consecutive. Più che l’assenza di Immobile dal primo minuto al centro dell’attacco, però, sono altri i motivi che hanno portato al ko. Sembrano più giustificazioni che altro, ma alcuni errori compiuti dal direttore di gara hanno avuto peso nell’andazzo complessivo della gara. In più, il Torino è una squadra tremendamente difficile da affrontare per le big, per come Juric disegna il suo gruppo in campo e le tattiche che mette in evidenza nel corso della partita.
La strategia per bloccare la Lazio è stata ben precisa e si è composta con varie vie di gioco che hanno bloccato le trame della manovra di Sarri. In primis, i granata hanno messo in evidenza un pressing non troppo elevato, lasciando il possesso ai calciatori che potevano fare meno male, ma tenendo grande densità in mezzo al campo e con puntuali raddoppi sugli esterni per bloccare i principali protagonisti avversari. Allo stesso tempo, i difensori di Juric hanno preferito tenere spesso il pallone con un possesso basso lento e asfissiante che non ha permesso ai padroni di casa di mantenere il ritmo di gioco auspicato, anche a causa del caldo che ha iniziato a fiondarsi sullo stadio Olimpico a quell’ora.
Insomma, chi l’ha dura la vince e stavolta, anche un po’ a sorpresa, la bussola ha indicato il Torino. Con una beffa su tutte: quel calciatore completo e di qualità, ci riferiamo a Ilic, che la Lazio ha messo sulla sua lista degli acquisti e ha trattato a lungo, ora è stato decisivo proprio sul più bello e in una fase cruciale del campionato. Non tutti i mali, però, vengono per nuocere per i biancocelesti che tra qualche giorno avranno l’occasione di blindare il posto in Champions League facendo punti contro l’Inter a San Siro e dopo che i nerazzurri saranno particolarmente stanchi dopo le fatiche di Coppa Italia e dovranno ricorrere a un turnover ragionato, ma massiccio, prima della semifinale contro il Milan. Sicuramente è presto per anticipare il destino, ma potrebbe essere anche la partita che regalerebbe ufficialmente lo scudetto al Napoli. Anche se lì ormai è solo una questione di tempo.
SAMPDORIA-SPEZIA 1-1 – Dopo la caduta a sorpresa della Lazio, il sabato si conclude con uno scontro caldissimo per la salvezza e che è avvenuto in casa di una Sampdoria in piena contestazione, con la Serie B a un passo e i problemi societari nel loro culmine. Lo Spezia, però, ora inizia a sentire la pressione del Verona alle spalle e ha bisogno di vincere per restare avvinghiata alla Serie A. In realtà, le cose si mettono subito male perché a metà del primo tempo Bruno Amione raccoglie l’assist di Tommaso Augello e trova la rete del vantaggio. Sembra andare tutto bene per i blucerchiati, ma poi lo Spezia reagisce e trova il pareggio. Ci pensa Daniele Verde nella ripresa, raccogliendo l’assist di Simone Bastoni, a firmare l’1-1 e questa volta di testa. Il risultato non cambia più e purtroppo non serve a nessuna delle due per la corsa salvezza.
La sensazione è che la Sampdoria abbia perso un’altra grande occasione per fare centro e tentare di riscattare una stagione che, fino a questo momento, ha avuto veramente poco da dire di positivo per i blucerchiati. I problemi maggiori per la squadra di Stankovic, oltre a quelli in società che sicuramente hanno pesato di più nella costruzione della squadra, restano comunque in attacco. Se la difesa riesce a compattarsi e a chiudere ogni spazio per fare la differenza, non si può dire lo stesso di una fase offensiva che ancora resta molto altalenante e con pochi acuti. Finora le principali affermazioni, in tal senso, sono arrivate nelle giornate migliori di Manolo Gabbiadini, ma il talento e il fiuto di un calciatore che ha vestito anche la maglia della Nazionale italiana ormai è relegato solo ad alcuni sprazzi e non può essere continuo come lo era qualche tempo fa.
L’addio di Francesco Caputo e la diretta sostituzione con Sam Lammers non hanno cambiato drasticamente l’impalcatura della squadra e il coinvolgimento dei calciatori offensivi nelle azioni da gol. In molti stanno iniziando a prendersela anche con l’operato di Stankovic, ma ci sembra abbastanza ingeneroso per un uomo straordinario e un bravo allenatore che ha tenuto in piedi la baracca fino a questo momento e nonostante tutto ciò che gli accadeva attorno.
Contro lo Spezia, però, è successo l’esatto contrario: la squadra è riuscita a fare la partita e ad andare in vantaggio, soprattutto con la spinta ritrovata dai laterali che sono la nota più positiva fino a questo momento della stagione dei blucerchiati, a partire da Tommaso Augello, ancora autore di un ottimo assist. Stavolta, però, a cedere è stata la difesa che ha comunque concesso il gol del pareggio agli avversari e si tratta, in ogni caso, di una battaglia persa. E di jolly da calare ormai ne restano ben pochi.
In un certo senso, anche se con sfumature decisamente diverse, lo stesso discorso può valere anche per lo Spezia. I bianconeri hanno provato anche a vincere la partita, ma andarci vicino nel calcio non conta e, in questa fase della stagione, i liguri hanno assoluta necessità di tornare a macinare vittorie per blindare una salvezza che a un certo punto sembrava a un passo. Nzola dovrà tornare a segnare con continuità, in generale la squadra dovrà tornare ad avere solidità e a enfatizzare la spinta sulle fasce che, in questo momento, sta un po’ svanendo. Non c’è molto tempo per risolvere i problemi, non a questo punto dell’anno, con le altre che corrono, mettono pressione e spaventano. Una carta nella manica, però, resta ancora: il calendario sembra un po’ più semplice rispetto a quello delle altre pretendenti e con qualche vittoria in cascina il distacco potrebbe tornare a essere molto importante. Ma questo lo dirà solo il campo e dovrà essere comunque un verdetto sudato e meritato, di certo non scontato.
EMPOLI-INTER 0-3 – Ci sono partite che non si possono sbagliare, ma anche quelle che segnano un’intera stagione. La bella vittoria dell’Inter contro l’Empoli potrebbe essere proprio uno di quei match. I nerazzurri, infatti, dopo aver eliminato il Benfica e aver raggiunto la semifinale di Champions League, ha un momento molto complicato in campionato e assoluta necessità di centrare i tre punti. Stavolta la squadra di Simone Inzaghi non ha certezze, non nel primo tempo, ma nella ripresa va in gol con i suoi attaccanti e la più bella notizia è la prestazione di Romelu Lukaku. Il bomber belga sblocca la partita, in mezzo alle maglie dell’Empoli, con un gran destro incrociato che non lascia scampo a Perisan. Poi, va in assolo e scarta un avversario con tutta la sua potenza fisica, per poi scaricare un bolide di mancino sul secondo palo che non lascia scampo al portiere. C’è anche tempo per una rete di Lautaro Martinez, ancora su assist di uno scatenato Lukaku, che inchioda il risultato sullo 0-3. A proposito di rinascita, il belga sembra essere finalmente tornato nella sua versione migliore.
La squadra di Inzaghi, quindi, torna a ruggire anche in Serie A e nel momento fondamentale dell’intera annata. Il tecnico, sì quello finito nel mirino delle critiche per tutta la stagione e più volte accostato all’esonero (comunque vada, eh), ha la grande occasione di giocarsi una semifinale di Champions League storica contro il Milan, è allo stesso punto in Coppa Italia e, dopo questa giornata, torna anche pesantemente in lizza per il quarto posto. Qualcuno dovrebbe esprimersi, ma probabilmente anche scusarsi con l’ex Lazio che questa partita l’ha sentita particolarmente e l’ha preparata come fosse una vera e propria finale. I più attenti avranno sentito anche dalla televisione le urla incessanti del mister, uno che anche sul doppio e poi triplo vantaggio non ha mai permesso ai suoi ragazzi di non avere la testa nella partita e loro hanno risposto di conseguenza, da gruppo vero.
È inutile, però, girare tanto attorno sul concetto principale che ci ha regalato il match tra Empoli e Inter: l’importanza dell’attacco per vincere le partite nell’attuale Serie A. Proprio nella giornata in cui Lukaku è tornato a splendere e Lautaro Martinez ha confermato di essersi sbloccato, le cose sono diventate molto più facili per i nerazzurri, capaci di farne tre (e uno più bello degli altri) ai diretti avversari. Se fosse successo ogni settimana, a che punto sarebbe la Beneamata in Serie A? Nessuno può rispondere, ma il belga di proprietà del Chelsea sta dimostrando partita dopo partita di rispondere al meglio dal punto di vista fisico e di avere fame di gol e di aver bisogno di ritrovare la confidenza con la rete per cercare di lasciare un altro segno nella storia dei nerazzurri. Era il momento giusto per far capire al mondo che non c’è un Lukaku vecchio o uno nuovo, c’è solo un campione che non ha dimenticato come si gioca a calcio, ma che ha patito un infortunio molto grave e con tutte le difficoltà del caso nel recuperare.
Per l’Empoli, non possono che esserci degli elogi, invece. Se fossimo nei panni dei tifosi toscani, rivedremmo il primo tempo per riscrivere una storia di fiducia e ben diversa da quello che è stato il risultato finale. Dopo il successo a San Siro dell’andata, i padroni di casa stavolta sono riusciti a bloccare tante delle trame di gioco dei nerazzurri, e non ci sono riusciti in tanti quest’anno. Baldanzi, inoltre, pur segnare lasciare il marchio sulla partita con gol o assist, ha comunque mostrato una tecnica e un talento che sono assolutamente da tenere d’occhio per il prossimo futuro. E anche l’Inter lo sa. In quel caso, la storia è sicuramente tutta da scrivere e il destino è ai piedi di un trequartista che ha ancora moltissimo da dare, ma può solo farlo crescendo e con la spensieratezza che ti dà una piazza come Empoli. Poco male, quindi, anche perché la salvezza pare blindata e il gioco non manca: è da lì che si parte per scrivere i successi.
MONZA-FIORENTINA 3-2 – Non mancano i gol, il bel gioco e anche qualche errore difensivo nella partita allo stadio U-Power Stadium. La Fiorentina parte decisamente meglio e sblocca il risultato con un colpo di testa di Christian Kouame, bravo a raccogliere l’assist di Cristiano Biraghi. Passano solo cinque minuti e stavolta è l’attaccante a rendere il favore, ma a Riccardo Saponara, bravo a battere Michele Di Gregorio e con uno dei pezzi forti del suo repertorio: il tiro all’angolino. La Fiorentina, però, anche per stanchezza e nonostante le rotazioni, cala mentalmente e fisicamente, ma esce anche un Monza che non ha mai smesso di fare la partita. Al 26esimo, la distanza si accorcia grazie a un autogol di Cristiano Biraghi e a fine primo tempo Dany Mota si invola verso Terracciano e lo batte direttamente da un rilancio di Di Gregorio. Un minuto dopo, Pessina trova anche il gol della rimonta, ma l’arbitro annulla al Var per un tocco di mano. Poco male, perché il centrocampista trova il gol partita nel secondo tempo su calcio di rigore. Il match termina 3-2 nonostante l’ingresso di Luka Jovic, anche in questo caso impalpabile.
Onestamente, si è trattato della partita più spettacolare dell’intero turno di Serie A e ha visto contrapporsi due squadre con due filosofie piuttosto diverse, a partire dal modulo utilizzato, ma sicuramente con una posizione di classifica, senza più grossi obiettivi da poter raggiungere, che incide sullo stile e gli intenti con cui entrambe sono scese in campo. La Fiorentina, e gliene va dato atto, è una di quelle squadre che, appena assume il possesso del pallone, si è costruita con il tempo la capacità di dominare le partite e cercando sempre di abbassare il più possibile gli avversari e restando con la difesa alta.
Il Monza, però, non è da meno, tranne che in alcune uscite come quella contro l’Inter. La caratteristica letale della squadra di Palladino è sicuramente la capacità di innescare i suoi trequartisti e il finto nove, tutti capaci di puntare dritto l’avversario e poi di andare al tiro o all’assist. In Serie A solo Bologna e Napoli, ma con singoli diversi, hanno questo tipo di possibilità e sicuramente nell’attuale contesto del nostro campionato sta pagando. Il tutto va mixato con la spinta degli esterni, a partire da Carlos Augusto, che si fanno trovare puntualmente nell’area di rigore avversaria a chiudere l’azione o sulla fascia a servire assist.
La differenza nel match dell’U-Power Stadium l’ha fatto di certo la volontà, la cattiveria, l’orgoglio, ma anche l’energia di vincere la partita e non è stato affatto banale il segnale che i brianzoli sono riusciti a dare nelle ultime due settimane all’intero campionato. Loro se la giocheranno con tutti e non tireranno il freno davanti a nessuno, anche se davanti hanno avversari che partono da possibilità economiche e tecniche maggiori, ma soprattutto se le cose si mettono male. È uno spirito che non è da tutti e Palladino deve esserne orgoglioso. Come Italiano deve essere soddisfatto del percorso dei suoi, che non saranno tra le primissime della Serie A, ma hanno due semifinali prestigiose da giocarsi e in pochi l’avrebbero detto a inizio anno.
UDINESE-CREMONESE 3-0 – La Cremonese ha bisogno di punti d’oro per continuare a sperare nella corsa salvezza, ma le giornate rimaste sono pochi e le vittorie da mettere a segno tante. L’Udinese con la pancia piena dopo un campionato soddisfacente, ma non straordinario, però, fa la sua partita e con un centrocampo dominante batte gli avversari lombardi e senza tante attenuanti. Già al secondo minuto, Lazar Samardzic raccoglie l’assist di Sandi Lovric e trova il gol del vantaggio con un mancino esterno bellissimo sul secondo palo. Non passa molto tempo e arriva anche il raddoppio, stavolta con Nahuel Perez e su assist dello stesso Samardzic. Il sigillo sulla partita arriva in contropiede, con Success bravo a campo aperto ad aprire il piattone e chiudere il match. Si tratta di uno stop importante per gli ospiti e con la salvezza che si fa sempre più lontana, ma anche la finale di Coppa Italia.
I friulani, quindi, hanno dominato in lungo e in largo, senza girarci tanto attorno. Il tris con cui ben presto ha chiuso i discorsi contro la Cremonese, riporta la squadra di Sottil in una dimensione diversa, in cui a dominare è il gioco, l’intensità e il ritmo, ma anche in cui la qualità riesce a essere al primo posto. In un contesto del genere, si esaltano talenti come Lovric e Samardzic, ancor di più si enfatizzano attaccanti dalla grande esplosività e potenza fisica come Beto e Success. Stavolta in gol è andato il secondo, prima di essere costretto a uscire dal campo, ma anche il primo per molte volte è stato a un passo dal gonfiare la rete. Proprio per queste ragioni, è importante sottolineare come il progetto di Sottil e della società stia finalmente dando i suoi frutti sotto il profilo del gioco e delle prestazioni, e nonostante alcune assenze che hanno inciso pesantemente sul percorso in questa stagione.
La mancanza di Gerard Deulofeu si è fatta sentire e non poco nel momento decisivo dell’anno e con lo spagnolo che era riuscito ancora una volta a dare il suo contributo dal punto di vista degli assist e anche con qualche gol pesante, prima dell’infortunio. Insomma, la macchina quasi perfetta è tornata a girare e, nonostante gli obiettivi non siano così tanti fino a fine stagione, c’è comunque l’ambizione di restare lì a dar fastidio a tutti.
Per la Cremonese il discorso, ma anche il morale, è completamente diverso. Contro l’Udinese serviva trovare la continuità tanto attesa e per tutta la stagione, ma è arrivato un nuovo stop pesante e che ha mosso seri dubbi sul gioco e sulla fase difensiva dei grigiorossi. Partita dopo partita, restare in Serie A diventa sempre più difficile e anche raggiungere una finale di Coppa Italia che sarebbe a dir poco storica per il club. Però, come sta cercando di fare Ballardini dal suo arrivo in panchina, bisogna restare umili e pensare partita dopo partita senza pensare all’orizzonte, con la necessità di macinare, ma senza l’ossessione di essere i migliori. Una pretesa che non c’è mai stata nella società lombarda e che proprio non ci può essere per andare avanti. Neanche per chi vorrà risorgere dalle sue stesse ceneri, nel caso.
MILAN-LECCE 2-0 – Tra le prime quattro d’Europa, assieme all’Inter, il Milan di Stefano Pioli si presenta a San Siro, tra la sua gente, per festeggiare un traguardo che a inizio sarebbe stato un sogno, e invece adesso è una realtà, e potrebbe diventare anche più bella di così. C’è il Lecce, però, ad aspettarli i campioni d’Italia, un Lecce che già all’andata aveva fatto male ai rossoneri, un Lecce che, però, non è lo stesso, e deve iniziare a guardarsi le spalle da chi c’è dietro, soprattutto dall’Hellas Verona e dallo Spezia, tutte e due piuttosto sicure di voler rimanere in Serie A.
Non era solo una festa, però, per il Diavolo, era un modo per ribadire che quello che è successo in Europa, quando è stato battuto (e poco importa il pareggio del Diego Armando Maradona) il Napoli primo della classe in campionato, non era una rondine che non fa primavera, piuttosto un segnale che anche l’anno prossimo, a fare la voce grossa in Champions League, ci vogliono essere anche loro, anche se c’è statisticamente una probabilità su quattro che l’arrivo tra le prime quattro potrebbe non servire perché basterebbe alzare al cielo la coppa dalle grandi orecchie. E quindi Rafael Leao, che è tornato quello dell’anno scorso, e che con le sue accelerate ha garantito due gol fondamentali e partita per vivere con un attimo in più di speranza le due gare che mancano, quella della Juventus contro i partenopei, e quella della Roma, contro una diretta concorrente. Indemoniati.
E le cose, dunque, si mettono bene anche in campionato, anche se non benissimo, in mezzo a una Champions League che potrebbe ancora regalare le soddisfazioni più grandi per i rossoneri. Il percorso nella maggiore competizione europea è sicuramente ragguardevole, diverso da tutti gli altri, e simile solo a quello dell’Inter, ma il livello spesso è venuto a cadere in campionato, quasi come se fosse una condizione essenziale per lasciarsi il meglio dopo, quando forse conta un po’ di più per la storia. Questa settimana, però, i jolly erano finiti e quando gira l’attacco è più facile far girare tutta la squadra.
Il gioco non è stato superiore a quello di tante altre partite andate male per i rossoneri, anzi. Eppure il 2-0 con cui si è concluso il match era esattamente quello che serviva, senza manie di spettacolarismo, per smuovere la classifica e farlo con il bottino pieno. Dov’è stata la differenza, proprio nella partita in cui Olivier Giroud non era neanche in panchina? Sicuramente nell’uomo che la partita l’ha deciso e l’ha fatto con le sue giocate accerchianti e avvolgenti, ma anche con un fiuto del gol riconquistato: ovviamente, stiamo parlando di Rafael Leao. Il portoghese ha fatto malissimo con un inserimento aereo, ed è una caratteristica che può diventare letale nella sua crescita, poi l’ha fatto anche con le sue discese nello spazio, quelle che hanno fatto impazzire anche il Napoli.
I margini per lui sono infiniti (e questo lo sappiamo da tempo), ma l’ex Lille sta diventando quel calciatore in grado di caricarsi sulle spalle il peso dell’intera squadra, anche dal punto di vista realizzativo. Peccato che, anche in questo caso, ci sia una grande contraddizione: il suo rinnovo è sul tavolo di Paolo Maldini e dei suoi collaboratori da mesi, un dossier che ancora non ha visto la sua fumata bianca e che non sembra esserci vicino. Le ultime volte non è andata bene per la società, ma Leao non sembra essere sfiorato da altro che non sia il campo. E probabilmente è anche giusto così in un calcio iper moderno e in cui bandiere non ce ne sono proprio più. Triste, ma crudo, come il business e come le vittorie. No, quelle no e non è un caso.
Soprattutto, andatelo a dire al Lecce che le vittorie sono triste, ora che qualcosa si è inceppato (e dopo un ottimo inizio di stagione l’avrebbero detto in pochi) e la macchina non riesce più a ripartire. L’attacco è timido, la difesa è diventata improvvisamente perforabile e con regolarità. In pochi restano a galla e la classifica piange, fin troppo per essere accettabile. Così non va bene, ma c’è anche una nota positiva: c’è ancora tempo per recuperare e non diventare il Venezia di quest’anno. Cioè una squadra che stupisce, lascia il bello negli occhi, ma poi crolla nelle sue incertezze. Oltre le contestazione che comunque sono ingiuste per chi ama il calcio, quello vero.
JUVENTUS-NAPOLI 0-1 – La Juventus non può più permettersi errori, nonostante abbia recuperato in settimana 15 punti in classifica, solo momentaneamente, e quindi anche il secondo posto in classifica. Il Napoli, invece, deve reagire dopo l’eliminazione dalla Champions League per mano del Milan, e vuole mettere al più presto in bacheca il terzo scudetto della sua storia. La partita va a folate, ma i partenopei non sempre riescono a imporre la loro qualità al palleggio, dando vita a un match tra due identità diverse, ma comunque molto equilibrato. La fanno da padrone le polemiche arbitrali: nel secondo tempo, infatti, Arkadiusz Milik recupera un pallone su Stanislav Lobotka e da lì parte un contropiede devastante di Angel Di Maria che non sbaglia e batte Alex Meret.
L’arbitro, però, dopo revisione al Var segnala il fallo del centravanti polacco, facendo imbestialire i tifosi di casa e i suoi tifosi. Pochi minuti dopo, il Napoli trova il gol partita: Eljif Elmas crossa sul secondo palo e serve Giovanni Raspadori che con il mancino al volo batte Wojciech Szczesny segnando quello che potrebbe essere considerato il gol scudetto. Con una vittoria nel prossimo turno e sperando che l’Inter fermi la Lazio, i partenopei potrebbero già laurearsi campioni d’Italia e con tanti turni d’anticipo.
Sicuramente era il match di cartello, quello da non perdere, da sintonizzarsi qualche decina di minuti prima davanti al televisori per godersi anche l’avvicinamento e le sensazioni del prima, per poi annegare nel durante tra endorfine e tensione, soprattutto per i tifosi. Juventus-Napoli, invece, e non ce ne vogliano le due squadre, è stato uno di quei big match che non brillano per il gioco, le prestazioni dei singoli, ma per l’equilibrio. Non ha meritato il Napoli, non l’ha fatto la Vecchia Signora, che ancora di fatto non ha festeggiato il recupero momentaneo dei 15 punti in classifica, ma alla fine ha vinto la capolista. La calamita che quest’anno tra le mura della Serie A riesce ad attrarre solo cose belle, anche quando probabilmente non lo merita.
Lo scudetto ora è talmente vicino da abbattere anche la proverbiale scaramanzia, da staccare le mani sudate per la primavera dei caldi a intermittenza da peperoncini, cornetti e qualsiasi rimedio della nonna che non fa rima con la scienza del lavoro e va oltre, nel mito. Il mito è quello di un Napoli che questo traguardo se l’è meritato, a prescindere dalle feste smodate, pericolose e irriverenti per chi sprezza il pericolo per la gioia incontenibile. A prescindere anche dagli eventuali slittamenti della partita contro la Salernitana, che la prudenza non è mai troppa e stavolta l’attesa potrebbe portare a un boato che rovinerebbe tutto.
No, non rovinatela quella magia, quella storia che è meritata. Non rovinate l’esultanza di un Giacomo Raspadori spesso terzo nelle gerarchie, spesso dimenticato e sicuramente sottovalutato, nonostante sia ormai una presenza certa e inossidabile nell’attacco di Roberto Mancini. Eppure, è stata l’ennesima prova della profondità della rosa di Spalletti, capace di inserire un calciatore del genere, e ben pagato nei finali di gara e di trarne massimo beneficio sia nell’assist contro il Milan, sia soprattutto per il gol decisivo contro la Juventus. La rete al volo sembra quasi facile per come l’ha resa l’ex Sassuolo, ma richiede una coordinazione perfetta, una qualità fuori dal comune, addirittura con il piede debole. Poi, sì, c’è anche l’errore macroscopico della difesa della Juventus, ma probabilmente si nota più chi attacco che chi difende.
Nonostante la vittoria, sarebbe ingiusto notare solo i pregi, le cose andate a buon fine nel Napoli. I partenopei, infatti, rispetto alla forma straordinaria di qualche settimana fa, hanno dovuto cedere il passo e calare un po’ il ritmo e l’intensità, anche perché sono calati i tramite di centrocampo e attacco. Khvicha Kvaratskhelia si è riscoperto un po’ cupo e un po’ testardo, ma meno efficace: ci sta in un percorso di crescita che lo sta portando a essere uno dei migliori esterni d’attacco d’Europa, ma in futuro dovrà gestire meglio i momenti della partita, il diverso modo di contenerlo degli avversari ed essere più cinico se riesce a vincere i duelli. Per i campioni funziona anche così e lo sta imparando per poi non ricascarci più. Giusto, appunto.
Ora manca l’ultimo passetto, quello della matematica e con largo anticipo rispetto alle interrogazioni finali. Già contro la Salernitana potrebbe arrivare, se le cose si mettessero a posto anche nella partita tra Inter e Lazio, che forse sarà in concomitanza, ma c’è già una città in fibrillazione, in preparazione e anche in estasi. Quelle emozioni che sono il calcio e la passione sanno regalare e vuol dire anche bellezza.
La Juventus, invece, ha cercato di dare quella spinta sugli esterni, di far arrivare i giusti rifornimenti alle punte, di mettere Di Maria nelle condizioni di essere quel fenomeno che tutti conoscono e da cui la maggior parte si aspetta solo magie. La cosa è riuscita, ma, errori arbitrali o presunti tale a parte, solo a sprazzi e senza delle trame di gioco talmente strutturali da far sì che quella luce splenda con continuità. E poi Vlahovic: quell’attaccante fenomenale, dalle qualità tecniche e fisiche splendide per prospettive e mix, ora sembra sempre più impalpabile e ha giocato talmente poco da non poter essere neanche valutabile. Il gol manca, ma soprattutto il gioco alle spalle: Allegri dovrà rifletterci come da mesi gli chiedono di riflettere sull’atteggiamento della squadra, ma sarà davvero capace di uscirne, a questo punto? Intanto si gode un Gatti che è come lo vuole lui, ma anche un Rabiot finalmente sbocciato. Basterà per entrare in Champions League e in attesa delle penalizzazioni? Domande a cui ora non abbiamo una risposta, ma perché di certezza con una squadra così non possono essercene.
ATALANTA-ROMA 3-1 – L’ultima partita di un’altra full immersion, la ciliegina sulla torta di una 31esima giornata che ha regalato più di qualche capitombolo – della Lazio e della Juventus, per esempio, ma anche della Fiorentina, vi abbiamo raccontato – è stata Atalanta-Roma di lunedì alle 20:45. Gli uomini di Gian Piero Gasperini decisamente più freschi rispetto a quelli un po’ stanchi di José Mourinho, ma non sicuramente più brillanti, e non solo perché vincere aiuta a vincere, una gara bloccata, com’era normale che fosse, che ci sono voluti 39 minuti prima che uno spunto, un tiro in porta arrivasse. È stato di Mario Pasalic, che imbeccato da Duvan Zapata, l’ha sfruttato al meglio portando, nei fatti, i bergamaschi negli spogliatoi in vantaggio.
Ce ne sono voluti poco meno di venti, però, nel secondo tempo, per ribadire che non era serata, e quindi Rafael Toloi ha firmato il 2-0, nato un po’ anche per demeriti dei giallorossi, che poi sono riusciti a riaprire la partita con il capitano Lorenzo Pellegrini. Neanche il tempo di gioire, in effetti, che a chiudere definitivamente i conti di ha pensato Teun Koopmeiners. I minuti finali, più che una gioia, sono un’agonia, per Diego Llorente, chiamato a prendersi il posto di un Chris Smalling infortunato, che potrebbe aver concluso la stagione con quest’uscita, ma anche Paulo Dybala, subentrato ma anche sfortunato in occasione di un’entrata dell’Atalanta. E c’è pure l’Europa League a cui pensare.
Il posticipo di giornata, infatti, ha sviscerato alcuni temi caldi e da cui la squadra di Mourinho non riesce proprio a staccarsi. Il leitmotiv degli ultimi giorni, infatti, si è visto anche sul campo e ha lasciato una domanda senza risposte precise: riusciranno i giallorossi ad avere la condizione fisica giusta fino a fine stagione? Per come gioca e per gli avversari che ha incontrato, lo Special One deve fare i conti con una serie di contrasti duri, corse e fatiche che prima o poi rendono il conto e non è semplice da pagare.
Tra i vari Dybala, Smalling e Wijnaldum che ora sono costretti a fermarsi, o a farlo parzialmente, ora Lorenzo Pellegrini, superato un momento di crisi tecnica e mentale, è riuscito ancora ad andare in gol e a dimostrare come la tecnica, la sua visione e anche i suoi inserimenti possano essere l’arma impropria che poi permettono di decidere le partite. E non è banale se queste partite sono quelle decisive per un’intera stagione. Insomma, non c’è da drammatizzare per una sconfitta che su un campo così difficile ci può anche stare, quanto per quello che potrebbero essere se le pedine del gioco di Mourinho dovessero continuare a cadere e con dei sostituti che non sono proprio la stessa cosa.
Non è un caso che l’Atalanta sia andata a nozze con una difesa priva del suo interprete principale e neanche che questi tre gol siano arrivati nel momento di rinascita di Zapata. Il colombiano ha sfornato un assist e ha lavorato tanto per la squadra, dimostrando di meritarsi quel posto che i tanti infortuni e l’esplosione di Hojlund e Lookman gli avevano fatto perdere. Ora l’ex Everton dovrebbe tornare, ma la sensazione è che il fedelissimo dell’attacco di Gasperini non uscirà comunque dal campo. Ora gli manca solo il gol e qualche sprint in più per tornare se stesso, ma la via è quella giusta e si vede. Lo stesso discorso vale, per forza di cose, per Mario Pasalic, i cui numeri sono tanto diversi da quelli di un anno fa, ma che non ha perso il fiuto di far male quando c’è da decidere le partite.
I bergamaschi, insomma, ripartono dall’usato sicuro di Bergamo e ora rivedono avvicinarsi una Champions League che andrebbero ben oltre i programmi societari. La bagarre è pronta a entrare nel vivo, ma i nerazzurri hanno comunque un grosso vantaggio: non hanno coppe che tolgono energie e il calendario non è così difficile. Non dimentichiamocela per la corsa che porta alle prime quattro, mi raccomando.
Nel racconto della classifica, non si può che partire da un Napoli che ora è veramente a un passo dal terzo scudetto della sua storia e a +17 dalla Lazio. La Juventus resta bloccata a 59 punti, con il Milan che aggancia la Roma e si porta a -3. Accorcia anche l’Inter, ora ancora fuori dal novero delle prime quattro ma a sole due lunghezze dai cugini e dall’ex Mourinho, a -5 dalla Juventus. Importante balzo in avanti per il Monza che sale a 41 punti e della Salernitana che è a 33 e molto più vicina alla salvezza. Il Verona è a solo un punto dallo Spezia, ma anche il Lecce è nei guai e a sole due lunghezze dal terz’ultimo posto. Di seguito la classifica al completo dopo la 32esima giornata.
NAPOLI 78
LAZIO 61
JUVENTUS 59
MILAN, ROMA 56
INTER 54
ATALANTA 52
BOLOGNA 44
UDINESE, FIORENTINA, TORINO 42
MONZA 41
SASSUOLO 40
SALERNITANA 33
EMPOLI 32
LECCE 28
SPEZIA 27
HELLAS VERONA 26
CREMONESE 19
SAMPDORIA 17
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