Le ultime quattro partite di andata degli ottavi di finale di Champions League si sono concluse oggi, a San Siro e alla Red Bull Arena di Lipsia, con la vittoria dell’Inter e il pareggio del Manchester City. Questi due giorni di coppa dalle grandi orecchie, però, ci hanno regalato anche tante altre emozioni, specialmente ad Anfield dove il Real Madrid, in svantaggio di due gol, ha rimontato, e con gli interessi, il Liverpool di Jurgen Klopp. Ma c’è stato anche il Napoli di Luciano Spalletti a tenerci compagnia, con uno 0-2 ai danni dell’Eintracht Francoforte che, in realtà, è un po’ bugiardo per la mole di occasioni create dai partenopei, ma comunque soddisfacente per gli azzurri.
Udite, udite: la Champions League torna a parlare italiano. Dopo l’importante affermazione del Milan contro il Tottenham, infatti, vincono anche Inter e Napoli e sono vittorie pesanti (una più definitiva dell’altra) per il percorso nella massima competizione europea delle nostre big. Tornando alle partite di oggi, gli uomini di Simone Inzaghi sono riusciti nel finale a vincere contro un Porto ben arroccato in difesa grazie al ritorno al gol su azione di Romelu Lukaku. Alla squadra di Pep Guardiola, invece, non basta la rete di Riyad Mahrez, perché nel secondo tempo pareggia i conti per il Lipsia, nella Red Bull Arena, Josko Gvardiol.
Questa settimana di Champions League, ma in realtà anche la scorsa, sorride alle italiane e lo ripetiamo, considerate tutte le volte che la nostra Serie A viene ridimensionata, relegata a campionato di secondo piano e declassata rispetto al nostro grande passato in Europa. Dopo il Milan di Stefano Pioli, passato per 1-0 a San Siro contro il Tottenham di Antonio Conte un martedì fa, ieri il Napoli, oggi l’Inter hanno vinto contro i loro avversari nell’andata degli ottavi di finale, la prima parte della fase a eliminazione diretta. A rendere ancora più magica, però, questa giornata è sicuramente stata la partita tra il Liverpool e il Real Madrid, le finaliste della passata stagione. Anche in quest’occasione, le due squadre, pur con tante differenze rispetto all’ultima edizione, soprattutto tra i Reds, lo spettacolo non è assolutamente mancato, tanto che il match in questione potrebbe risultare già un manifesto della coppa dalle grandi orecchie, versione 2022/23. Da non sottovalutare anche la prestazione del Manchester City di Pep Guardiola, che quest’anno punta soprattutto al trionfo europeo, ma con un po’ di discontinuità in più, come è emerso anche in campionato. Vediamo insieme come sono andate tutte e quattro le partite.
EINTRACHT FRANCOFORTE-NAPOLI 0-2 – Lo stesso sito di scommesse che aveva pronosticato, a inizio anno, che la squadra di Luciano Spalletti sarebbe arrivata a dominare il campionato, prima dell’inizio della fase a eliminazione diretta della Champions League, ha detto che anche per la coppa dalle grandi orecchie i partenopei partono da favoriti, anzi ha detto proprio che la vinceranno. Evidentemente i numeri degli azzurri sono talmente stupefacenti da convincere anche tipster, robot, statistiche e soprattutto gli addetti ai lavori e per ora hanno anche ragione. Scongiuri del caso fatti, il modo in cui si presenta il Napoli a Francoforte, alla Deutsche Bank Park dell’Eintracht, ci mostra che a questa coppa, così come alla Serie A, gli azzurri ci tengono parecchio. Sarebbe un controsenso, in effetti, perché quello che ci fanno vedere non è altro che quello che sanno fare meglio: dominare tutto e tutti, in Italia e all’estero.
Non serviva neanche questa ennesima prova del nove per capire che gli undici che mette in campo il tecnico toscano (e vanno bene mixati come si vuole, eh) quest’anno sembrano proprio di un’altra categoria. Lo sembra soprattutto Victor Osimhen, fermo ai box per qualche tempo a inizio campionato, ma assolutamente devastante da quando è tornato a disposizione e al massimo della forma. Il nigeriano non è un profilo così facile da trovare per qualità tecnica e potenza fisica: fa salire la squadra, è agile, attacca la profondità, è velocissimo e ha delle leve molto lunghe che spesso utilizza per battere sul tempo gli avversari e anticiparli in una frazione di secondo. Stasera il bomber ex Lille stupisce ancora e zittisce chi è tra gli scettici della sua meraviglia. Semplicemente offre la stessa prestazione totale che siamo abituati a immortalare in campionato anche in Champions League mettendo in crisi costante i difensori avversari.
È lui, con l’ennesimo scatto e lo strapotere fisico tipico del suo repertorio, a procurarsi il rigore che potrebbe sbloccare la partita già al 36esimo. Dal dischetto, contro Kevin Trapp, si presenta il suo compagno (altrettanto) inarrestabile: Khvicha Kvaratskhelia, che però fallisce, un po’ per demerito suo, un po’ per merito del portiere tedesco ex PSG. Forse più la seconda che la prima, ma guai a ridimensionare la prestazione del georgiano. Punta gli avversari, li scarti, serve assist e trova sempre la via per andare al tiro. Insomma, non è affatto facile contenere un attaccante con queste caratteristiche e con quella velocità di gambe e di pensiero, anche se l’Eintracht (almeno per il momento) non è entrata nella lista delle sue vittime.
È il momento di perdersi d’animo? Assolutamente no, e infatti ci pensa il numero nove, esattamente quattro minuti dopo, a sbloccare per davvero la partita. Su assist di Hirving Lozano, il nigeriano prende la mira e porta avanti il Napoli. Un gol che mostra ancora una volta tutta la sua cattiveria sotto porta e l’istinto che è una componente essenziale del suo gioco. Quasi preveggente per quanto riguarda i palloni che arrivano in area di rigore: rivive i momenti della partita e li squarta come solo i grandi dell’area di rigore fanno. E poi ha un’umiltà e una continuità nella prestazione pazzeschi, tanto da continuare a macinare occasioni, assist, chilometri, prima e dopo essere andati negli spogliatoi. Al rientro, dopo quasi un’ora di gioco, un’entrata con il piede a martello su Zambo Anguissa fa finire sotto la doccia prima del tempo Randal Kolo Muani. Arriviamo, a questo punto, a un altro argomento cruciale del prepartita: la sfida nella sfida tra i bomber delle due squadre.
L’attaccante dell’Eintracht, infatti, è considerato uno dei migliori nel suo ruolo in Europa. Ha a disposizione caratteristiche simili a quelle di Osimhen, ma probabilmente con meno potenza nell’impatto con i difensori avversari e con uno stile più votato al dribbling o all’assist per i compagni rispetto alla realizzazione in sé e per sé, che poi è l’area che il centravanti ex Lille respira quotidianamente. L’intervento su Anguissa è sembrato abbastanza inutile, probabilmente figlio della prestazione dei suoi e di quella del Napoli, sicuramente una cosa non da lui, che ama invece ama spaccarle le partite con le sue giocate travolgenti. Il Napoli di sicuro, fino a quel momento, chiude bene tutti gli spazi, domina soprattutto il possesso del pallone (come ama fare Spalletti) e poi crea gioco dal centro verso gli esterni. L’espulsione di Kolo Muani, infatti, non è per niente l’unico evento che cambia la partita, ma la indirizza ulteriormente dalle parti della Campania.
Infatti, arriva anche il momento in cui Giovanni Di Lorenzo decide di mettere la firma sul match grazie al passaggio decisivo di Kvaratskhelia, non il più brillante del primo tempo, ma sicuramente uno dei migliori nel secondo. Il terzino destro e capitano del Napoli imprime il suo marchio tecnico e spirituale su una delle partite più importanti della storia recente dei partenopei sfruttando un meraviglioso assist di tacco del georgiano che sfrutta la sovrapposizione del laterale basso italiano. Una volta ricevuto il pallone in posizione utile, non ci pensa due volte e scarica un mancino a giro precisissimo che non lascia scampo a Trapp. Bello, bellissimo, come la corsa di Di Lorenzo e dei compagni per un gol pesantissimo in chiave qualificazione. Sono i titoli di coda, per quanto riguarda il risultato, non lo sono per lo spettacolo con un possesso palla perfetto e una macchina che gira alla perfezione. Tanto che il Napoli, nella gestione della partita, potrebbe aumentare il passivo per i tedeschi, costretti a vincere e con almeno due gol di scarto fra tre settimane al Diego Armando Maradona.
Che non sarà semplice è presto detto, ma non lo sarà neanche per i tifosi. La nota stonata, infatti, di questa partita è quello che è successo prima e dopo che iniziasse per le vie di Francoforte, in cui c’è stato un agguato tra i due gruppi di supporter, organizzato dai tedeschi, che prima avevano anche appiccicato degli adesivi contro i napoletani. E a proposito di loro, ci sono stati degli scontri anche all’interno del settore ospiti, perché alcuni tifosi sono entrati senza avere il biglietto. Una brutta pagina che il Napoli può archiviare, almeno per il momento, e pensare unicamente al campo. Quell’habitat sportivo e ricco di emozioni, in cui i partenopei continuano a mietere vittime.
LIVERPOOL-REAL MADRID 2-5 – La storia del calcio europeo e della Champions League si scrive per l’ennesima volta ad Anfield, in quello stadio magico e colorato dai Reds. E sì, forse è anche inutile specificarlo, è stata ancora una volta epica. Magari non lo spot perfetto di quello che dovrebbe essere il calcio a tutti gli effetti, soprattutto per gli errori grossolani dei due portieri, sicuramente una bellezza per gli occhi, ma in maniera diversa rispetto a quanto fatto vedere dal Napoli. Ma poi come farebbe a essere il gioco più bello del mondo senza svarioni difensivi, la cupidigia della crisi e lo splendore della rinascita? Il Real, tra il suo sfarzo e le sue meraviglie tecniche, l’ha mostrato fin troppe volte già l’anno scorso che sa emozionare e non ha fatto eccezione neppure questo scontro con gli inglesi di Jurgen Klopp.
I marziani scesi in campo, sia quelli del Liverpool, che pure non stanno vivendo un periodo semplice dal punto di vista dei risultati, soprattutto in Premier League, in cui sono noni, sia quelli del Real Madrid, hanno dimostrato ancora una volta che sono così famelici per cui non ti puoi permettere neanche un errore, se non vuoi essere mangiato. E questa è soprattutto la filosofia dei Blancos, una squadra costruita a immagine e somiglianza di Carlo Ancelotti, che batte ogni anno record su record, molti dei quali erano già suoi.
I primi errori, però, sono proprio i loro. Darwin Nunez, al quarto minuto, infatti, si concede un gol di tacco su assist di Mohammed Salah, lo stesso attaccante che dieci minuti dopo approfitta di una svista con i piedi di Thibaut Courtois e segna il 2-0, che qualsiasi squadra avrebbe accusato, non lo fa sicuramente quella degli ospiti. Per l’attaccante ex Benfica è un evento che ha il sapore di una rinascita dopo un ambientamento difficile in Inghilterra. Pochi gol, il suo killer instinct annichilito dalla fisicità che domina in Premier League e un ritmo troppo alto per pensare di abituarsi immediatamente. Contro il Real Madrid arriva un squillo che sa di risorgimento o forse solo di crescita, quella che tutti si aspettano ancora da lui.
La partita, però, va avanti e con lei anche i suoi ribaltoni. Proprio in una serata che sembra più storta delle altre per i campioni in carica, arriva l’ennesima reazione in una competizione a eliminazione diretta. A sbranare per primo è Vinicius Junior con un gol splendido dal limite dell’area, una perla rara che dimostra ancora una volta come il brasiliano possa essere davvero il trascinatore del presente e del futuro per Ancelotti. E, infatti, un quarto d’ora dopo, è sempre lui a gonfiare la rete: stavolta si trova al posto giusto al momento sbagliato, per lo meno per Alisson, che rinvia proprio addosso all’esterno d’attacco e si fa un autogol clamoroso, perché sì, in questo caso, va proprio dato il demerito al portiere brasiliano ex Roma. Come prima era stato attribuito a Courtois.
In 45 minuti, in pratica, succede di tutto. E succede il calcio, fatto anche di errori, dicevamo. Gli stessi errori che fanno sbagliare sotto porta gli inglesi, ma che non commette più la squadra dell’emiliano, cinica, ma anche fatta di campioni. Due minuti dopo il rientro dagli spogliatoi, a ribaltare tutto, e definitivamente stavolta, è Eder Militao, che mette la testa prima di tutti su azione da calcio di punizione.
E in una serata come questa non poteva non mancare la firma del Pallone d’oro, l’uomo che ha esaudito più di un sogno, l’anno scorso, per i tifosi del Real: Karim ‘TheDreeam’ Benzema. Il centravanti prende palla al centro dell’area e, complice una deviazione, spiazza ancora l’estremo difensore del Liverpool di Klopp. Non è ancora la fine, dove state andando? Perché la fame vien mangiando e il francese, ovviamente, non poteva rimanere solo a una rete segnata.
Quindi, su assist di Vinicius, insacca la palla del 2-5, praticamente la fine delle speranze dei Reds di recuperare al ritorno, perché al Bernabeu è sempre difficile giocare, figuriamoci nella coppa dalle grandi orecchie, figuriamoci contro questi marziani. Loro sì che si sono concessi pochi errori, o almeno non più di quelli a cui non avrebbero potuto rimediare. Un anno così ci sta, dopo tutto è il settimo del tedesco sulla panchina degli inglesi, e si sa che le cose spesso si ripetono, magari stavolta con un epilogo diverso. Ma c’è ancora una stagione da concludere e un progetto da portare avanti, anche se stavolta la puzza è quella di un anno zero che sa di rivoluzione. Un restyling che non dovrebbe comunque riguardare proprio Klopp. Lui resta e con l’onore e l’onere di stravolgere.
INTER-PORTO 1-0 – La sfida tra l’Inter di Simone Inzaghi e il Porto di Sergio Conceiçao non è un classico, ma non è neanche una rimpatriata tra vecchi amici, meglio compagni di squadra che con la Lazio, nel 2000, hanno vinto uno scudetto. È una sfida, quella di San Siro di oggi alle 21, vera e propria, fatta di tattica e di colpi, di intelligenza e di furbizia, perché entrambi l’hanno studiata in maniera maniacale e senza stravolgersi troppo.
Il mister piacentino decide di schierare Edin Dzeko accanto a Lautaro Martinez in attacco, anche perché, nonostante il gol di domenica su rigore, Romelu Lukaku sta ancora cercando la sua forma migliore. Matteo Darmian, uno di quelli che invece sta performando alla grande in campionato, viene preferito sulla corsia destra a Denzel Dumfries, tornando non al meglio dal Mondiale e condizionato dalle continue voci di calciomercato. A comandare la difesa, poi, al posto di Stefan de Vrij, Inzaghi affianca Francesco Acerbi ad Alessandro Bastoni e Milan Skriniar. Per il resto è la stessa Inter di sempre, con André Onana tra i pali, Hakan Çalhanoğlu regista, Henrikh Mkhitaryan e Nicolò Barella ai lati, e sulla fascia sinistra Federico Dimarco.
“Meu amigo” risponde con Diogo Costa tra i pali, sulla fascia sinistra il giovane Joao Mario, che niente ha a che vedere con l’ex nerazzurro che invece gioca nel Benfica, il sempreverde Pepe e Ivan Marcano a guidare la difesa, e Zaidu sulla fascia opposto. Più avanti Otavio, Mateus Uribe, Marko Grujic e Galeno. Le due punte del 4-4-2 di italiana memoria ci sono Mehdi Taremi e Pepè.
il peso di San Siro in un match che vuol dire tanto, tantissimo per le ambizioni dell’Inter in questa stagione con lo scudetto che è già sfuggito di mano e una Supercoppa italiana già messa da parte. La partita inizia come gli addetti ai lavori se l’aspettavano: è chiusa, ci sono pochi varchi, soprattutto nell’area dei os Dragões, un po’ di più in quella dell’Inter, in cui serve sempre il lavoro dei difensori, ma soprattutto Darmian, a mettere una pezza.
Il copione è un po’ quello che ci si aspettava da una partita come questa: gli uomini di Conceicao restano ben abbottonati nella loro metà campo, ma cercando di non abbassarsi troppo per non concedere il totale dominio del gioco all’Inter e crearsi gli spazi in contropiede. Gli uomini di Inzaghi, invece, ci mettono soprattutto la qualità, quella con cui i centrocampisti nerazzurri gestiscono la sfera e cercano gli spazi giusti per andare a dama, con alterne fortune. Il primo tempo, quindi, scorre via con il risultato di 0-0 e qualche rimpianto per l’Inter per le occasioni create e non sfruttate, ma anche con la consapevolezza di aver tirato diversi sospiri di sollievo per quelle avversarie.
Nel secondo tempo, la musica cambia con la Beneamata che subisce meno, lavorando alla grande sulle marcature preventive, e cerca anche di essere più pericolosa in attacco e serrare la pressione sugli avversari. Robin Gosens entra al posto dell’ex Verona, il belga viene inserito per l’ex Roma nell’Inter, Conceiçao mette Evanilson per Galeno. Poi è il turno anche di Marcelo Brozovic. L’ingresso di Lukaku fa tanto, in questo caso, per i padroni di casa. Il belga serve prima un assist al bacio, ma Lautaro Martinez non arriva per questione di centimetri sul pallone. Poi arriva anche il gol.
L’episodio che cambia la partita è l’espulsione di Otavio: il centrocampista offensivo, importantissimo per Conceicao e che ha dato tanto fastidio all’Inter, viene espulso. Con l’uomo in più e con il Porto senza punte, l’Inter ci prova con più insistenza, costruisce, crea ma non riesce negli ultimi metri, per lo meno questo fino all’86 in cui Lukaku, BigRom, prima prende il palo di testa sul cross del sardo, con cui c’erano stati dei presunti problemi (solo roba di campo) qualche settimana fa, poi fa un gol bellissimo, che potrebbe essere quello della rinascita, che sicuramente fa dormire sonni più tranquilli ai tifosi nerazzurri. L’ex Chelsea, poi, ci tenta ancora ma stavolta è Costa a negargli la gioia.
L’Inter serra i ranghi cercando di sfruttare la superiorità numerica e alla ricerca del raddoppio che sarebbe un macigno sulla qualificazione, ma il Porto resiste. Tutto è rimandato al ritorno in Portogallo, ma l’Inter intanto il suo l’ha fatto portando a casa una vittoria non scontata contro un avversario temibile e che potrebbe essere fondamentale per il cammino in Champions League.
LIPSIA-MANCHESTER CITY 1-1 – Lipsia e Manchester City si affrontano in una partita meno scontata di quanto pensino i più, un po’ per spirito di onnipotenza tecnica e tattica che si trascina dietro Pep Guardiola, un po’ perché comunque i tedeschi non sono avversari da sottovalutare e hanno anche delle perle di indubbio valore in una collana estremamente concreta. Sì, perché negli ultimi anni non saranno arrivati tanti trofei a impreziosire la bacheca, ma la storia non si scrive solo con quelli e neanche i progetti di un club in continua crescita nelle ultime stagione.
In ogni caso, i Citizens arrivano alla partita di Champions League un po’ incerottati. Non tanto perché manchino gli uomini decisivi nella concretizzazione del progetto dell’ex allenatore del Barcellona, anzi, piuttosto perché la schiacciasassi della Premier League quest’anno ha cambiato un po’ ruolo. Paradossalmente proprio nel momento in cui il tecnico ha avuto il finalizzatore seriale che cercava da anni: Erling Braut Haaland, uno che ha più gol nel pallottoliere che partite giocate quest’anno.
Sono tanti anche i significati tattici che guidano la partita. I trequartisti del Manchester City, oltre a quello lì davanti, sono sicuramente gli osservati speciali. E ovviamente anche gli uomini più attesi. Sono le pedine dello scacchiere un po’ blaugrana (o quello che fu) e un po’ inglese che hanno scandito il Pep pensiero. Semplicemente, danno fastidio e lo fanno a furia di dribbling, posizioni, creando dei problemi nelle zone calde e per puntare dritti alla porta avversaria.
Il Lipsia lo sa bene e scandisce il suo modo di interpretare la gara su questi principi, ma senza rinunciare a quel calcio che li ha portati fin lì, tra le prime sedici squadre d’Europa. Chi si aspettava una carneficina in piena regola è rimasto sicuramente deluso. È vero, i Citizens tengono in mano le regole e ritmi della partita, ma i tedeschi evidenziano un’ottima evoluzione della loro fase difensiva, guidata da un Josko Gvardiol che si sta imponendo tra i migliori difensori al mondo, tanto da attirare le attenzioni delle big di Premier League e del Real Madrid, che per lui potrebbe spendere cifre record in estate. Il Mondiale ha aiutato, ma alla prova della continuità il croato quasi mai ha fallito in un ruolo in cui si fallisce appena si incontra un attaccante più bravo o brillante del suo diretto marcatore.
Dopo diversi minuti all’insegna del possesso palla e senza eventi indimenticabili, a sbloccare la partita ci pensa il talento crudo e puro, quello di Riyad Mahrez. E’ proprio l’algerino, ex Leicester dei miracoli, a ricevere il preciso assist di Ilkay Gundogan e scaricare all’angolino un mancino incrociato imparabile: 0-1 dunque e la sensazione di tanti che il passivo potrebbe presto aumentare esponenzialmente. In realtà, non è affatto così. Il Lipsia non si abbatte, resiste al momento difficile e rientra in partita. Svelando un’aggressività e una cattiveria agonistica che è l’unica arma letale per questo Manchester City, difficilmente imbrigliabile nei duelli uno contro uno e nelle sfide tattiche.
Nel secondo tempo i tedeschi entrano in campo come coloro che non hanno nulla da perdere e lo mostrano alzando il loro baricentro e cercando di metterla sul piano dell’orgoglio e della mentalità dell’irrinunciabile. E come farlo? Tramite la fisicità e l’abilità nella gestione dei calci piazzati. E’ proprio quello che succede al 70esimo quando Marcel Halstenberg fa partire una palla d’oro, di quelle da non sbagliare e trova la testa di uno scatenato Gvardiol che salta più di tutti e mette a segno il gol del pareggio. Uno a uno, e chi ci avrebbe scommesso a fine primo tempo? Sicuramente i tifosi del Lipsia, ennesima prova di amore incondizionato per la propria squadra, che sia vittoria che sia sconfitta. Anche il presagio di un calcio caldo, che ci piace, un po’ tedesco ma con quel sapore latino e passionale che è anche un po’ tipico di quello italiano.
Tutto, dunque, è rinviato a un ritorno che promette ancora emozioni (e d’altronde si tratta di un ottavo di finale di Champions League), ma in cui il Lipsia cercherà ancora di dare fastidio. I Citizens, poi, dovranno porsi qualche domanda su come sta andando la loro stagione. Nonostante tutti i mezzi a disposizione, i soldi spesi, l’esperienza sotto il profilo tattico (anche emotivo) e di gestione della partita, la squadra sembra ancora lontana da quel livello di gioco e di prestazioni che permetterebbe di ambire a determinati traguardi. Poi, per carità, è sempre difficile predire a febbraio come finirà un’annata e magari i ragazzi di Guardiola arriveranno a maggio in corsa e al massimo della forma per centrare tutti gli obiettivi. Oggi nulla è deciso, ma intanto molto passa dal ritorno contro il Lipsia: un appuntamento che stavolta non si può proprio rischiare di fallire per non dover accumulare rimpianti.
Le gare di ritorno degli ottavi di finale di Champions League non si giocheranno la prossima settimana, ma quella dopo ancora, e a scendere in campo saranno le squadre che per prime si sono riaffacciate nel palcoscenico più importante del calcio europeo. Martedì 7 marzo alle 21 si affronteranno sia Benfica e Club Brugge, in Portogallo, con le Aguias avanti di due gol, sia Chelsea e Borussia Dortmund, a Stamford Bridge, con i padroni di casa che dovranno ribaltare la vittoria di misura dell’andata dei gialloneri.
Il giorno successivo, mercoledì 8, quindi, nello stadio degli Spurs ci sarà il secondo round della gara tra il Milan e il Tottenham, appunto, con i rossoneri chiamati a ribadire (almeno) il risultato dell’andata, ma ci sarà anche la supersfida tra Paris Saint-Germain e Bayern Monaco, con il secondo atto che si giocherà all’Allianz Arena, in Germania, in cui saranno gli uomini di Christophe Galtier a dover dimostrare di più di quelli di Julian Nagelsmann, pena la fuoriuscita prima del tempo dalla coppa dalle grandi orecchie, diventata quasi un sogno proibito per i francesi.
L’Inter, poi, farà visita al Porto, esattamente come il Manchester City ospiterà i tedeschi del Lipsia martedì 14 marzo. La seconda parte dello scontro a eliminazione diretta del Napoli contro l’Eintracht, poi, andrà in scena mercoledì 15 al Diego Armando Maradona, mentre al Santiago Bernabeu ci sarà il ritorno tra i Reds e i padroni di casa (e un po’ anche della Champions League) di Ancelotti.
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