L’ultimo bollettino epidemiologico dell’Oms ha messo in evidenza come stanno le cose, in relazione al Covid, in tutto il mondo. Per alcuni Paesi si registra un peggioramento netto, soprattutto per gli Stati Uniti, seguiti a ruota dal Giappone e dalla Corea. Se si osserva l’andamento globale, però, i numeri sono decisamente migliori e soprattutto in controtendenza rispetto a una settimana prima, in cui la percentuale di aumento dei contagi era decisamente alta. Da tenere in considerazione è anche l’andamento della Francia che ha riportato un alto numero di nuovi casi. Il tutto alle porte di un Natale che – anche se in misura minore rispetto a un anno fa – potrebbe portare come regalo indesiderato un numero sempre più alto di contagi.
L’andamento attuale, evidenziato dal bollettino dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, della pandemia da Covid si può definire stabile. Il periodo preso in considerazione è quello dal 5 all’11 dicembre e registra un deciso rallentamento rispetto alla settimana precedente. Una buona notizia che viene controbilanciata dai numeri allarmanti dell’influenza australiana, sempre più in crescita, di giorno in giorno e come non si vedeva da tempo. Alle porte del periodo natalizio, la guardia non può comunque essere abbassata, perché – senza allarmismi – i casi potrebbero tornare a salire e costringerci a letto anche per le feste. Un dato di fatto che, a prescindere dalle maglie larghe che ci ha concesso la politica, non può essere ignorato.
I dati del Covid nel mondo vedono gli Stati Uniti ancora in netta difficoltà
Covid sembra una parola quasi semplice, banale. E, invece, per molto tempo è stata una sentenza e soprattutto ha celato dentro di sé molto di più, tra ricadute mediche e sociali. La paura, prima di tutto, il dolore, la perdita, ma anche l’isolamento, la tristezza e in alcuni casi anche odio e povertà. Una triste realtà a cui abituarsi era scorretto e con cui nessuno avrebbe voluto davvero convivere. Una convivenza che, invece, è obbligata con il virus in sé per sé, che quello non può essere cancellato e soprattutto non all’improvviso.
Ora, invece, siamo di fronte a una situazione completamente diversa. Siamo tornati a dare molto più importanza alla libertà personale, al lavoro, alla vita di tutti i giorni e mettendo in secondo piano un eventuale contagio. Sia perché la maggior parte della popolazione è vaccinata, sia anche perché molti di noi ci sono già passati, e gran parte – per fortuna – senza sintomi gravi. Insomma, questo Natale arriva con uno spirito diverso, più simile ai tempi in cui la pandemia poteva essere solo una sceneggiatura di un film dell’orrore. Ora abbiamo imparato a conoscerla e anche a combatterla.
Però, non si possono ignorare ancora gli eventuali sintomi più consistenti portati dalla malattia, così come non è auspicabile pensare che l‘influenza non influisca sul destino del Covid, aggravando la pressione sul sistema sanitario. Soprattutto se il nuovo Coronavirus dovesse tornare pesantemente ancora per la fine dell’anno e l’inizio dell’anno. I dati, a livello mondiale, avevano allarmato nella precedente settimana presa a riferimento, ma questa volta è evidente un rallentamento netto, con degli estremi rappresentati dagli Stati Uniti e dall’Africa.
Ma ora bando alle ciance e analizziamo i dati che sono stati riferiti dal bollettino settimanale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per la settimana dal 5 all’11 dicembre. I numeri hanno evidenziato un piccolo incremento del 2% che in confronto al bollettino precedente è nettamente migliore. Entrando più nello specifico, nelle cinque delle sei regioni dell’Oms i dati sono scesi o comunque sono rimasti pressoché uguali. La regione africana, infatti, ha fatto registrare un valore più basso, corrispondente al -73%. La regione del Sud-Est asiatico è al -33%. Scendiamo anche in Europa, dove il dato è più basso dell’11%. Ora passiamo alle zone dove i dati non si sono discostati più di tanto rispetto a una settimana: la regione del Mediterraneo Orientale scende del 2%, mentre la regione del Pacifico Occidentale sale del 3%. La crescita più preoccupante è quella della regione delle Americhe che arriva al +27%. Il dato, però, è inficiato soprattutto dalla situazione degli Stati Uniti, arrivata a +50%.
Inoltre, c’è una specifica importante da fare rispetto alla situazione della regione africana, dove va considerata la segnalazione tardiva del Sudafrica. La rilevazione relativa i dati nazionali ci aiutano, però, a fotografare la situazione in maniera più precisa. A mostrare i dati più preoccupanti sono il Giappone con un +13%, gli Stati Uniti che, come vi abbiamo detto, sono arrivati addirittura al +50%. E poi ancora la Repubblica Ceca con il +13%. Particolare la situazione della Francia che scende del 5%, ma presenta un numero alto di nuovi casi, corrispondente a 366.699, mentre il Brasile sale del 3%. Ad aggravare ulteriormente la situazione è il numero di nuovi decessi che negli Stati Uniti ha toccato quota 2934. Il dato dell’Italia, in tal senso, non va sottovalutato. Sono 475 i morti settimanali, ma una corposa diminuzione del 29%. Anche al Giappone non è andata bene, dato che la crescita si attesta al +28%.
Restringendo ulteriormente il campo e passando alla sola regione europea, nella settimana presa a riferimento i nuovi casi sono 962mila, che sono in diminuzione dell’11% rispetto alla scorsa settimana. Solo il 15% dei paesi hanno fatto registrare un aumento dei casi superiore al 20%, il che è un dato rassicurante rispetto al trend della pandemia. Gli aumenti più importanti si sono verificate in Albania, con una crescita dell’88%, in Montenegro, con un dato in salita del 62% e in Danimarca si è sottolineato un +58%.
Se, invece si passa a considerare il numero di nuovi casi più alto, a vincere la classifica in negativo è la Francia con quasi 370 mila nuovi casi e sperando che il picco sia già stato raggiunto. A seguire c’è la Germania e poi l’Italia che, però, sembra già nella fase discendente della curva, visto che la diminuzione è del 32%. Per quanto riguarda i decessi in Europa, oltre alle già citate Francia e Italia, c’è la Federazione russa, il cui dato è sostanzialmente stabile rispetto alla settimana precedente. Numeri che ci lasciano pensare che il peggio sia già passato e che ormai il Covid stia andando nella direzione dell’endemia. In realtà, un contagio, pur avendo conseguenze meno gravi rispetto ai primi tempi di Wuhan, sarebbe comunque un peso importante e fastidioso da sostenere, soprattutto in tempo di feste.