Dopo tre giorni e tredici votazioni (al momento), i membri della Camera degli Stati Uniti non hanno ancora scelto il loro speaker, ovvero il loro presidente. A pesare, ancora, è la scelta di alcuni repubblicani – che dopo le elezioni di midterm possono contare su 222 membri, ovvero quattro voti in meno di quanti non servano per eleggere un leader – estremisti, che non vogliono dare la preferenza a Kevin McCarthy, ovvero il candidato designato, nonché speaker della minoranza negli anni precedenti.
Prima della penultima votazione, tra l’altro, lo stesso McCarthy aveva annunciato di aver trovato un accordo con uno dei “dissidenti” del Gop, il texano Chip Roy, e la bocciatura, in effetti, è stata meno dolorosa rispetto alla precedenti undici, in cui il candidato dei democratici, Hakeem Jeffries, aveva preso più voti di colui che, verosimilmente, riuscirà alla fine a spuntarla. Peccato, però, che da convincere ci siano ancora cinque deputati repubblicani, e che la situazione sia tutt’altro che semplice soprattutto all’interno del partito. Intanto, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha ricordato l’assalto al Congresso, avvenuto esattamente due anni fa, e ha assegnato 14 onorificenze ai cittadini, chiamati eroi.
Da 13 votazioni, la Camera degli Stati Uniti e i repubblicani non riescono a eleggere lo speaker
La telenovela, tra repubblicani statunitensi non è ancora finita. Anche alla tredicesima votazione – mai così tante dal 1859, 164 anni fa, quando ci vollero 44 tentativi per arrivare a una quadra ed eleggere William Pennington – non è arrivata la fumata bianca per lo speaker della Camera, meglio per Kevin McCarthy, il candidato ed ex leader della minoranza per il partito di Donald Trump.
Da tre giorni, nel Gop, la situazione che si sta vivendo ha quasi del paradossale perché, nei fatti, i 218 deputati che “basterebbero” (si fa per dire) a eleggere il nuovo presidente ci sarebbero eccome, anzi ce ne sarebbero anche quattro in più visto che le elezioni di midterm hanno visto vincere molti più candidati rispetto a quelli proposti dai democratici, che dal canto loro sono riusciti a tenere il controllo del Senato e non si è compiuta l’onda rossa tanto decantata dal tycoon.
Il problema è che una ventina di loro, anche dopo la sollecitazione da parte dell’ex presidente degli Stati Uniti di cambiare rotta, hanno deciso di mettere i bastoni tra le ruote a McCarthy che, poco prima della dodicesima votazione, era comunque riuscito a convincere Chip Roy, deputato texano leader degli ultranazionalisti, a non remare più contro.
Al momento, per chiudere la partita definitivamente, mancherebbero quattro voti, che non sono arrivati da cinque dei sette ribelli che ancora non si fidano delle posizioni del candidato, troppo incline al compromesso, dicono. E, in effetti, potrebbero non aver tutti considerato che, per arrivare a un accordo, pare abbia ceduto a delle richieste, come la garanzia di assegnare a loro posti in commissione chiave, la promessa di non ostacolare le loro campagne elettorali nei collegi sicuri, finanziando altri candidati, o la possibilità di sottoporre in futuro il proprio mandato a una mozione di sfiducia.
A pesare per Matt Gaetz, che ha confermato che non voterà per lui e ha candidato Jim Jordan e per Lauren Boebert che, invece, ha indicato Kevin Hern è anche il fatto che la volontà di McCarthy non coincidano con loro, ovvero quella di una Camera più orientata verso l’estrema destra, e quindi con un occhio anche alla Russia per contro di un’Ucraina per cui, invece, si vorrebbe mettere un freno per quanto riguarda gli aiuti.
Mentre si sta decidendo se procedere a un’ulteriore votazione in giornata, il repubblicano si è dato comunque ottimista ai microfoni della Cnn. “Avrò i voti“, ha detto, e magari la sua profezia si avvererà. C’è da capire, però, quanto la sua leadership sarà veramente solida e quanto il partito repubblicano non possa uscirne con le ossa rotte da questa lotta intestina, specialmente in vista delle prossime elezioni per la Casa Bianca in cui ci potrebbe essere un revival di quanto successo nel 2020, quando Trump perse proprio contro Biden, non prendendola affatto bene.
Biden: “Il 6 gennaio la nostra democrazia è stata attaccata”
A proposito di questo, il 6 gennaio è una data storica per gli Stati Uniti. Due anni fa, infatti, alcuni simpatizzanti del tycoon assaltarono il Congresso proprio perché non volevano accettare, esattamente come Trump, la sconfitta alle elezioni.
“Il 6 gennaio la nostra democrazia è stata attaccata. Due anni dopo, onoriamo con assoluto coraggio alcuni eroi, ufficiali e dipendenti pubblici, responsabili della salvaguardia della nostra democrazia“, ha scritto Biden che oggi ha assegnato le 14 onorificenze ad alcuni cittadini che ”difesero la democrazia” in quel frangente.
On January 6th, our democracy was attacked. Two years later, we honor a few heroes – officers and public servants alike – responsible for safeguarding our democracy with absolute courage.
Today, 14 of them receive the Presidential Citizens Medal. pic.twitter.com/o9oqtToFxA
— President Biden (@POTUS) January 6, 2023