Ne sentiamo parlare ogni anno: qualche turista cerca di portarsi a casa un souvenir, qualche pietra o un po’ di sabbia di un luogo paradisiaco. Qualcuno addirittura tenta di nascondere sui voli di ritorno dei piccoli animali. Sembra un gesto ingenuo, ma così non è: questi pezzi di natura, che con ogni probabilità prenderanno polvere su qualche scaffale, o questi esemplari rapiti dal loro habitat fanno spesso parte di specie protette. Dalla loro “casa biologica” quindi non dovrebbero andarsene, per non compromettere l’equilibrio di un delicato ecosistema che autorità internazionali hanno stabilito essere a rischio estinzione.
Lo sanno bene i sardi, che ogni estate devono fare i conti con chi cerca di raccogliere qualche pietra dalla preziosa spiaggia di quarzo rosa Is Arutas, sulla costa del Sinis (l’ultimo caso noto è quello di una famiglia tedesca fermata dalle autorità con le mani nel sacco). Il fenomeno non riguarda solo la nostra Penisola; basti pensare al commercio d’avorio in Africa, perpetrato dai bracconieri, o quello, sicuramente meno noto, dei cavallucci di mare, uccisi per essere utilizzati dalla medicina tradizionale cinese oppure trasportati in qualche lussuoso acquario. Ma è solo leggendo i numeri, consultando le numerose leggi e facendo caso alle forze impiegate per la tutela che si può comprendere la portata della minaccia per il nostro Pianeta.
Per proteggere flora e fauna selvatiche che potrebbero scomparire esiste il CITES, ovvero la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, firmata a Washington nel 1973, che ad oggi vede ben 182 aderenti. Il trattato regolamenta il commercio di esemplari vivi o morti, o solo parti di organismi: dal corno di rinoceronte ai pezzi delle barriere coralline, fino ai tappeti di tigri e alle zanne di squalo. Il riferimento in Italia è la legge 150 del 1992. A livello operativo il compito di gestire il CITES era del Corpo Forestale dello Stato, ma con la sua soppressione nel 2017 è passato al Comando Carabinieri per la tutela della biodiversità e dei parchi. Alla Guardia di Finanza spetta invece il controllo doganale sugli esemplari tutelati dalla Convenzione di Washington. Il commercio illegale comprende non solo gioielli con materiali provenienti da animali protetti ma anche pelli appartenenti a specie tutelate, come il pitone reticolato, coralli vivi, insieme a pesci tropicali e squali, solo per citarne alcuni.
A marzo del 2018 le maggiori società di hi-tech, social media ed e-commerce hanno unito le forze con Google e il WWF per rendere piattaforme ed app inutilizzabili per i trafficanti: portano avanti un commercio stimato intorno ai 20 miliardi di dollari l’anno. Ogni 365 giorni circa, 20.000 elefanti vengono uccisi per le loro zanne e quasi 3 rinoceronti al giorno muoiono per il loro corno, così come un pangolino ogni cinque minuti viene strappato via dal suo habitat per le sue scaglie, usate nella medicina tradizionale cinese. Secondo l’associazione The Seahorse Trust, impegnata nella sensibilizzazione sulla salvaguardia dei cavallucci marini, in un anno circa 150 milioni di questi esemplari vengono catturati e utilizzati per preparati “medici” in Oriente oppure venduti per abbellire acquari privati. Per monitorare la situazione su questa tratta è nato Traffic (Trade Records Analysis of Flora and Fauna in Commerce), un network internazionale che “ha il compito, in accordo con i princìpi delle Strategie Mondiali di Conservazione, di effettuare il monitoraggio del commercio internazionale delle specie di flora e fauna selvatica e di studiare, allo stesso tempo, le forme di utilizzazione sostenibile per garantire un corretto utilizzo di queste specie selvatiche”.
Chi compra in questo mercato alimenta un commercio che minaccia ogni giorno l’equilibrio del nostro fragile pianeta per possedere qualcosa che avrebbe potuto vivere e alimentare la biodiversità della Terra. Non sarebbe stato meglio fermarsi per un secondo, ammirare la natura e conservarne il ricordo?
Foto di John_Walker/Shutterstock.com
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