Si torna ad affrontare il tema del commercio dei pesci tropicali, un business molto fiorente ancorché poco raccontato sui media, che conosce periodicamente delle impennate anche per fattori esterni che rendono di moda queste creature marine: era già successo ai tempi del film Nemo della Disney Pixar, che portò ad un boom del pesce pagliaccio amatissimo dai bimbi di tutto il mondo, ed è ragionevole ritenere che accadrà lo stesso con il sequel Alla ricerca di Dory, già salutato da un notevole successo di pubblico in patria e prossimamente in uscita anche in Europa. Per questo molti ambientalisti si dicono preoccupati per l’impatto ambientale che potrebbe avere una tratta indiscriminata dei pesci tropicali, soprattutto per ecosistemi fragili e delicati come quello della barriera corallina: l’idea è quello di dare vita a luoghi appositi per allevare in cattività i pesci tropicali.
La maggior parte delle specie di pesci nel commercio marino attualmente provengono dal loro ambiente naturale: in tutto il mondo, questo business fattura un volume di affari stimato tra i 200 e i 300 milioni di dollari, secondo un rapporto delle Nazioni Unite risalente al 2003. È stato calcolato che soltanto negli Usa 1,3 milioni di famiglie possiedono acquari marini che ospitano 9,3 milioni di pesci, in base ad un sondaggio svolto nel 2014 dalla American Pet Products Association, in cui sono stati riscontrati circa 11 milioni di pesci tropicali, per lo più selvatici, ma alcuni allevati anche in cattività. È proprio questo settore che si vorrebbe sviluppare maggiormente per attenuare l’impatto del commercio di pesci tropicali sui loro habitat naturali: negli Usa 1800 specie circa sono importate ogni anno, e molti vengono prelevati dalle Hawaii e dalla Florida, allevati anche a livello nazionale.
Attualmente circa 300 specie, pari al 17 per cento delle specie marine presenti negli acquari, vengono allevati in cattività, secondo i dati riportati dal CORAL Magazine, che pubblica ogni anno un elenco delle specie allevate in questa modalità. Rappresentano circa il 6 per cento dei soli pesci tropicali disponibili in commercio, ma ogni anno l’elenco si allunga: i progressi del settore sono andati di pari passo con la crescente consapevolezza della necessità di proteggere le barriere coralline e i pesci ospitati minacciati dai danneggiamenti del corallo e dalla riduzione delle popolazioni delle biodiversità ospitate. Questa situazione molto precaria ha incoraggiato maggiori investimenti nel settore del pesce allevato in cattività, che presenta inoltre l’indubbio vantaggio di avere creature abituate agli alimenti da acquario, e per questo con meno probabilità di essere esposte a malattie nel corso del lungo processo di spedizione. La vera domanda è se questo delicato equilibrio sarà in grado di resistere alla nuova ondata di popolarità che colpirà soprattutto il pesce chirurgo blu, come la Dory protagonista del film: troppo difficile far capire ai genitori che i pesci non sono giocattoli da regalare ai loro figli, e che questa ‘moda’ rischia di avere ripercussioni molto gravi per tutto l’habitat marino di provenienza. Basterà allevare in cattività i pesci tropicali per salvarli dall’egoismo e la superficialità dell’uomo?