L’Italia rischia una manovra correttiva di 14-15 miliardi all’anno, vale a dire lo 0,85% del Pil, per il risanamento dei conti pubblici
Secondo la previsione elaborata da alcuni esperti della Commissione europea, l’Italia dovrebbe porre in essere un piano correttivo da 14-15 miliardi l’anno, pari cioè allo 0,85% del Pil, per intraprendere con successo il percorso volto al risanamento dei conti pubblici.
I calcoli, secondo quanto riferito, sono stati condotti di tecnici in base ai parametri contenuti nella proposta di riforma del Patto di stabilità e crescita presentata quest’oggi. Gli esiti sono già stati resi noti ai singoli stati.
In merito alla proposta di riforma del Patto, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti ha dichiarato “È certamente un passo avanti ma noi avevamo chiesto con forza l’esclusione delle spese d’investimento, ivi incluse quelle tipiche del Pnrr digitale e green deal, dal calcolo delle spese obiettivo su cui si misura il rispetto dei parametri. Prendiamo atto che così non è”. Ancora ha continuato il ministro “Ogni spesa di investimento poiché è rilevante e produce debito per il nuovo patto deve essere valutata attentamente. Quindi occorre privilegiare solo la spesa che effettivamente produce un significativo impatto positivo sul Pil”.
La simulazione condotta dai tecnici della Commissione ha preso come riferimento i dati relativi ai rapporti tra deficit e Pil e tra debito pubblico e Pil in Italia. Dal momento che la proposta di riforma del Patto prevede un rientro minimo dello 0,50% per i Paesi per i quali non si rileva uno scostamento troppo significativo dai paramenti presi in considerazione (ossia il 3% per il rapporto deficit-Pil e il 60% per il rapporto deficit-Pil), per l’Italia si è giunti alla conclusione che il programma di recupero, se calibrato su quattro anni, dovrebbe prevedere una riduzione annuale dello 0,85%.
Qualora invece il nostro paese volesse, ed eventualmente gli fosse concesso, beneficiare di un’estensione temporale più ampia per il rientro dei conti pubblici, ossia sette anni, sarebbe sufficiente una correzione annua dello 0,45% del Pil.
Per la Francia dalla proiezione della Commissione emerge invece la necessità di un rientro pari allo 0,65 del Pil se calibrato su 4 anni che scenderebbe allo 0,35% se lo fosse su sette anni. Per la Spagna i due parametri di riferimento sarebbero lo 0,60 sull’arco temporale di 4 anni e lo 0,35 su sette.
In merito si è pronunciata anche la Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen che in un tweet ha scritto “Oggi proponiamo nuove regole di governance economica. Abbiamo bisogno di finanze pubbliche sane per costruire economie pulite e competitive e sostenere il nostro modello sociale. Ciò significa ridurre il debito pubblico con una migliore proprietà nazionale e una migliore applicazione. Attendiamo con ansia la loro rapida adozione».
Stando a fonti interne a Palazzo Chigi, la posizione del governo Meloni relativamente al Meccanismo europeo di stabilità resta invariata rispetto a quanto è stato più volte ribadito nel corso di queste ultime settimane. In particolare, venerdì scorso la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in occasione di un’intervista rilasciata a Il Foglio, ha manifestato l’opportunità di un aggiornamento del MES in modo da poterlo rendere un “veicolo per la crescita”.
I vertici Ue sollecitano l’adesione italiana al Meccanismo europeo mentre da quasi un mese in Italia, nella commissione Esteri della Camera, si attende l’esame di due proposte di legge volte alla ratifica del MES; proposte queste presentate dal Partito democratico (PD) e da Italia Viva (IV).
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