La concussione cerebrale è un argomento molto discusso in ambito sportivo. La medicina dello sport a livello internazionale è alla ricerca di un approccio diagnostico affidabile sia per effettuare la diagnosi della concussione, sia per determinare il pieno recupero della funzionalità cerebrale per un ritorno privo di rischi all’attività sportiva. A fare il punto della situazione ci hanno pensato i maggiori esperti del settore a livello mondiale, durante un workshop internazionale che si è tenuto in Italia, a Chianciano Terme.
“Qualsiasi tipo di concussione cerebrale – spiega Giovanni Vizzini direttore attività cliniche Upmc Italy, professore di medicina Università di Pittsburgh – può rappresentare un problema medico molto serio tale da richiedere un’assistenza immediata da parte di un professionista sanitario, adeguatamente formato nella gestione delle concussioni cerebrali. Per evitare il ripetersi delle lesioni è fondamentale gestire la concussione fino al completo recupero“.
Ricordiamo che i sintomi caratteristici della concussione, oltre un breve transitorio deterioramento neurologico a risoluzione spontanea, possono essere diversi: perdita di coscienza, cefalea, nausea/vomito, visione annebbiata, problemi di equilibrio, problemi di concentrazione e attenzione, amnesia. A questi si aggiungono una serie di segni visibili: stordimento, sguardo assente, confusione, perdita di coscienza, cambiamenti umorali, stato di confusione.
“Vi sono diversi tipi di concussione cerebrale distinti per gravità – sottolinea Roberto Vagnozzi, professore associato di neurochirurgia dell’Università Tor Vergata di Roma – i cui effetti possono essere poco significativi o, nelle situazioni più severe, giungere fino al pericolo di vita. Generalmente la concussione si presenta sotto 2 forme: semplice o complessa. Nel primo caso la commozione si risolve nel 70-80% degli episodi con un periodo di riposo. La seconda è caratterizzata dalla perdita di coscienza, e/o presenza di specifiche complicanze, e/o deficit cognitivo prolungato per più di 7-10 giorni, e persistenza di sintomi post-concussivi. La gestione del trauma cranico concussivo negli atleti dovrà quindi prevedere una valutazione medico-specialistica attenta sia nell’immediato che a distanza di giorni dall’accaduto, che preveda sia indagini cliniche che strumentali multidisciplinari. La risposta di vista ed esami deve essere alla base della decisione di una ripresa piena dell’attività agonistica per non far correre rischi allo sportivo”.
Chuck Bogosta, vice presidente esecutivo Upmc e presidente Upmc International, ha illustrato lo sviluppo di un programma ad hoc su questa patologia (Upmc Sports Medicine Concussion Program), tramite la divisione di medicina dello sport. Il tutto per elaborare trattamenti personalizzati in base alle esigenze specifiche e agli obiettivi di recupero per ciascun paziente. Perché la decisione del ritorno in campo degli atleti deve essere basata su più approcci: occorre valutare il loro quadro clinico, eseguire test neuropsicologici, sottoporli a risonanza magnetica spettroscopica, fare anche il test dell’equilibrio.
Non dimentichiamo che ogni anno in Europa si stimano circa 1.700.000 persone che hanno un trauma alla testa; oltre 130mila in Italia (di cui oltre 90mila con conseguenze) e circa 300.000 casi negli Stati Uniti. Traumi che sono correlati soprattutto alla pratica sportiva (boxe, rugby, basket, calcio, karate, sci, kick boxing) e il cui numero, secondo gli esperti, sarebbe ampiamente sottostimato. “Tutti coloro che sono coinvolti in sport di contatto devono sempre tenere presente il rischio di una concussione cerebrale ed impegnarsi nel prevenirla – aggiunge Giuseppe Lazzarino professore di biochimica all’Università di Catania – bisogna sempre tener presente che la complicanza più grave di un trauma cranico lieve è il non riconoscerlo. Nel dubbio, ricordarsi sempre che è meglio perdere un incontro che pregiudicare una stagione“.
“La concussione – precisa Michael Collins, direttore esecutivo programma concussione cerebrale medicina dello sport Upmc – è di solito associata alla negatività degli esami tradizionali di neuroimmagine. Siamo quindi consapevoli di trovarci di fronte ad un tipo di danno biochimicamente ben definito, ma visibile solo grazie all’individuazione tramite test neuropsicologici per misurare la funzione cognitiva, che possono essere effettuati da giorni o settimane dopo l’evento traumatico, o in tempi diversi per dimostrare il decorso. Noi abbiamo elaborato un approccio multiplo attraverso uno screening completo neurocognitivo per poter accertare l’esistenza o meno della concussione cerebrale”.
Resta fondamentale la diagnosi precoce ed il rapido inquadramento della concussione per decidere se l’atleta è in grado di proseguire la gara. Recenti studi hanno mostrato che se la concussione è diagnosticata precocemente su atleti giovani (10-19 anni), e trattata, “questi possono proseguire la propria attività sportiva senza ripercussioni”, come ha precisato Anthony Kontos, direttore della ricerca sulla concussione cerebrale medicina dello sport di Upmc.
In collaborazione con AdnKronos
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