È stato confermato l’ergastolo per Matteo Messina Denaro, ritenuto uno dei mandanti e degli esecutori delle stragi del 1992.
Fra queste è doveroso menzionare quella in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti della scorta, anche perché oggi ricorre il 31esimo anniversario da quell’evento che più di tutti viene ricordato come massimo esempio della ritorsione della mafia contro lo Stato, insieme a quello di pochi mesi prima verso Falcone, colui che introdusse il 41 bis. Proprio a questo tipo di regime carcerario, molto duro e di isolamento, è stato condannato Matteo Messina Denaro, arrestato il 16 gennaio scorso dopo una latitanza iniziata pochi mesi dopo quel periodo di stragi mafiose che contrassegnò l’Italia all’inizio degli anni Novanta.
La corte ha emesso oggi la sentenza verso Matteo Messina Denaro, condannandolo all’ergastolo per le stragi mafiose del 1992, fra cui l’apice sono state sicuramente quella di Capaci e via d’Amelio, le seconda fra l’altro ricorre proprio oggi. Era il 19 luglio del 1992 infatti quando un’auto imbottita di tritolo venne fatta saltare, causando la morte del giudice Borsellino e di alcuni agenti della scorta, pochi mesi dopo l’attentato analogo verso il collega Falcone.
Entrambi sono diventati il simbolo della lotta alla mafia e uno dei maggiori esponenti di Cosa Nostra, è stato condannato proprio in questo 31esimo anniversario, quale regalo migliore per onorare la memoria di chi ha dato tanto per assicurare gli esponenti della criminalità organizzata alla giustizia?
Accusato di essere uno dei mandanti delle due stragi, Messina Denaro è stato condannato dalla Corte d’Assise di Caltanissetta, presieduta dal giudice Maria Carmela Giannazzo. La richiesta avanzata dai procuratori è stata accolta in un’atmosfera silenziosa in cui l’imputato non è voluto intervenire in collegamento dal carcere, né per ascoltare né per commentare la decisione.
L’ultima primula rossa di Cosa Nostra non sembrava un tale criminale quando senza obiettare, si è fatto portare via da quella clinica palermitana dove era in cura per il cancro, sotto falso nome. Sembrava avere l’aria innocente proprio come in quella foto in bianco e nero sul comodino di sua madre, posizionata su un centrino come fanno le nostre nonne.
Difficile pensare che nessuno lo abbia riconosciuto, anche se in realtà le foto segnaletiche diramate dalle forze dell’ordine erano abbastanza diverse dal suo aspetto reale. Difficile anche pensare che quest’uomo abbia escogitato le peggiori stragi dei primi anni Novanta, invece è proprio così.
“Questo processo accerta che Messina Denaro come reggente di Trapani, ha partecipato alla stagione stragista degli anni Novanta, insieme a personalità di spicco come Riina e altri. Era personalmente coinvolto nelle stragi di Capaci e via d’Amelio ma ha fatto parte anche delle fila delle altre stragi in altre città come Roma” ha detto uno dei procuratori dopo la sentenza di condanna.
Non bisogna dimenticare i fatti del 1992, soprattutto in un giorno come questo, la cosa è stata confermata oggi da Giorgia Meloni e da Sergio Mattarella, ma anche da Elly Schlein, Carlo Nordio e nemmeno il procuratore ha mancato di sottolinearlo in aula, spiegando come oggi viviamo in una situazione più serena da questo punto di vista ma ricordare il clima di quegli anni, che potremmo definire quasi di guerra, ci può aiutare a migliorare.
Sicuramente la convalida di oggi è una vittoria per il nostro sistema giudiziario, che comunque è stato fortemente criticato perché la latitanza di Messina Denaro è durata 30 anni, sappiamo però che aveva una rete di complici che favorivano i suoi spostamenti, prestanome come il geometra Andrea Bonafede e familiari con cui comunicare e mandare messaggi.
Tanti coloro che sulla scia della sua cattura sono entrati nel mirino delle forze dell’ordine, rivelando una rete intricata e costruita con cura, nella quale il boss di Castelvetrano si sentiva al sicuro, tanto da girare tranquillamente per la città facendo compere mentre si parlava che invece si trovasse fuori dalla sua Sicilia o addirittura fuori dal Paese.
Matteo Messina Denaro ha compiuto atti riprovevoli, non ha risparmiato nemmeno il piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio di un pentito. Lo ha rapito, tenuto in stato di prigionia per due anni e poi lo ha strangolato e sciolto nell’acido. Una cosa disumana che mette i brividi solo a pensarci, tuttavia come era protetto durante la latitanza, Messina Denaro lo è anche all’interno della cella dove è in regime di carcere duro, quindi in stato di isolamento e non ci possono essere ritorsioni da parte di altri detenuti verso di lui, così come lui non può comunicare con nessuno.
Gli unici con cui scambia qualche parola sono i medici che lo seguono per il cancro al colon, la stessa malattia che ha portato alla sua cattura poiché aveva bisogno di curarsi e lo ha tutt’oggi. Poi ci sono i suoi legali, cambiati nel corso dei mesi e il personale carcerario che sicuramente prova un misto di rabbia e paura nell’avere davanti ogni giorno quello che è stato il latitante numero 1 d’Italia per anni, sulle orme del padre.
Anche lui, che era nei posti d’onore di Cosa Nostra prima di lui, era stato latitante per tanti anni e venne catturato solo da morto. Il suo ottimo rapporto con Bernardo Provenzano e Salvatore Riina venne tramandato al giovane e promettente figlio che già si stava facendo largo e si stava facendo apprezzare per il suo spirito d’iniziativa.
Tappare la bocca a chi parlava troppo o a chi cercava troppo, era la sua specialità e per farlo non aveva problemi a fare le cose peggiori, come appunto sciogliere un piccolo innocente nell’acido per togliere alla famiglia anche la possibilità di piangere su una tomba.
Per legami di sangue Matteo Messina Denaro era destinato a guidare il distaccamento trapanese di Cosa Nostra ma ha dimostrato negli anni anche una spiccata indole criminale, come se ogni giorno volesse scegliere quella vita. Ha sempre amato sparare, a 14 anni maneggiava tutte le armi e a 18 ha commesso il suo primo omicidio. La stessa passione si evince dagli elementi trovati dai carabinieri nei suoi covi, tutti riportano infatti al film del Padrino, questo d’altronde era il ruolo in cui veniva riconosciuto.
Fedele alleato dei corleonesi, molti dicono che sarebbe stato proprio lui a dare l’imput che fece scoppiare il tritolo in via d’Amelio e sembra che fosse anche presente all’incontro voluto da Riina nel 1992, in cui vennero pianificate le stragi dei due magistrati. Un ruolo importante lo ha avuto anche in quelle di Roma, Firenze e Milano.
Messina Denaro ha collezionato ergastoli e in effetti lui stesso ha confidato a un amico che con tutte le persone che ha ucciso si potrebbe creare un cimitero. Oltre all’ergastolo odierno, è stato condannato con la stessa pena per la vicenda di Giuseppe Di Matteo del 1996, ancora prima è stato riconosciuto colpevole di associazione mafiosa a partire dal 1989.
Altri ergastoli sono arrivati nell’ambito dei processi Omega e Arca che hanno fatto luce su alcuni omicidi di stampo mafioso avvenuti fra Alcamo, Castellammare e Marsala sempre nel lasso di tempo che va da fine anni Ottanta a inizio anni Novanta.
Per anni è stato un fantasma nonostante gestisse un potere immenso. Oggi il patriarca quasi si nasconde di nuovo dall’ennesima sentenza che lo riconosce colpevole anche se questa in realtà è la sua natura. Un tatuaggio, un’etichetta che gli resterà sempre addosso, tanto che l’unica figlia ha rinnegato quel cognome pesante, poiché non ha voluto mai legarsi a questo ambiente né essere associata a lui nonostante nelle sue vene scorra lo stesso sangue.
Nei più gravi fatti criminali degli ultimi 30 anni è stata riconosciuta la sua mano però con il suo operato non è riuscito a pieno a ricostruire Cosa Nostra dopo i duri colpi degli arresti dei superboss Provenzano e Riina e la struttura rimane tutt’ora fortemente intaccata da vari arresti e da un processo di frammentazione, in contrapposizione con l’immenso potere dell’organizzazione ai tempi di Falcone e Borsellino.
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