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Conflitto di interessi, definizione giuridica ed esempi

Il conflitto di interessi è un tema molto sentito in politica e in altri ambiti della vita sociale di un paese. La gestione del potere nei confronti della cosa pubblica è forse l’aspetto che ci tocca più da vicino perché sono i cittadini a eleggere chi dovrà governarli, trasferendo nelle loro mani un enorme potere. Per questo, molti paesi hanno creato una sistema di controllo molto rigido per evitare che i vertici della società facciano i loro interessi, dimenticandosi di essere stati scelti per gestire la cosa pubblica. In Italia il dibattito sul conflitto di interessi è diventato centrale negli anni dei governi Berlusconi, senza però arrivare a una sua regolamentazione. L’elezione di Donald Trump sta sollevando le stesse domande anche negli Stati Uniti che pure hanno un sistema di controllo rigoroso. Cos’è il conflitto di interessi e perché è così importante?

La definizione giuridica del conflitto di interessi varia da nazione a nazione perché regolamentata dalle leggi di cui ciascun paese si è dotato per contrastarlo.

In termini generali, possiamo definire il conflitto di interessi come la situazione in cui chi riveste un ruolo importante con grandi poteri decisionali li usa per interessi personali e privati, andando contro il principio di imparzialità che regola la figura di ogni amministratore.

Il caso più lampante riguarda la politica, cioè personalità che governano o hanno la possibilità di fare leggi che favoriscano aziende, affari o situazioni private degli stessi. Il conflitto di interessi si può avere in ambiti economico e finanziario, nella sanità, nel lavoro e persino nel diritto, ma è in politica che ha conseguenze gravi.

Il conflitto di interessi in Italia

L’arrivo di Silvio Berlusconi sulla scena politica italiana ha portato alla ribalta il tema del conflitto di interessi anche perché l’Italia non si è mai dotata di un sistema di controllo . Certo la Costituzione indica gli standard di imparzialità che gli eletti in Senato e alla Camera devono avere (articolo 65 e 66), con riferimenti alle leggi che tracciano il quadro entro cui si deve muovere un rappresentante delle istituzioni. Tuttavia, spetta alle Camere di elezione definire se un suo eletto è compatibile o meno con il ruolo: fino a oggi, Berlusconi è stato sempre rieletto, sedendo per 4 volte in vent’anni a capo del governo, con l’assenso del Parlamento.

L’Italia scopre il conflitto di interessi con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e la sua elezione a Presidente del Consiglio nel 1994. Non che prima non ci fossero stati esempi, ma quello dell’ex Cavaliere è di tale portata che diventa un problema politico di portata nazionale e internazionale. Quando arriva all’apice del potere politico, Berlusconi è uno dei più importanti imprenditori italiani, ha un patrimonio enorme che lo rende uno dei più ricchi del paese, possiede titoli e immobili in Lombardia (e non solo), ha una squadra di calcio tra le più titolate al mondo ed è soprattutto titolare di un vero impero mediatico, oltre a possedere assicurazioni, finanziarie e banche.

Il conflitto di interesse è talmente palese che entra al primo posto dell’agenda politica ma, vuoi per errori politici, vuoi per incapacità o per scarsa volontà, il problema rimane irrisolto. Nel frattempo, Berlusconi cede la gestione delle varie società ai figli, al fratello e ai suoi collaboratori storici (uno su tutti Fedele Confalonieri), mantenendo tutto in famiglia, mentre lui si dedica all’attività politica. Le accuse di fare leggi ad personam sono una costante dei suoi governi: nel 2002 arriva anche l’ennesima bacchettata dal Parlamento Europeo con la risoluzione del 20 novembre 2002 in cui si parla della “situazione di concentrazione del potere mediatico nelle mani del Presidente del Consiglio, senza che sia stata adottata una normativa sul conflitto d’interessi”.

Nel 2004 è il suo terzo governo a mettere mano alla materia con la legge Frattini, (legge n. 215 del 2004), che dà la possibilità di eleggere persone di fiducia, compresi parenti, amici e collaboratori, per la gestione degli affari privati: la norma non fa altro che certificare la realtà italiana, dove un presidente del Consiglio ha ceduto la gestione delle sue aziende a familiari e persone di sua fiducia.

Nel febbraio 2016 si hanno i primi passi verso una legge sul conflitto di interessi ampia e completa, con l’approvazione alla Camera del nuovo testo di legge che, a oggi, è ancora fermo in Senato.

Il conflitto di interesse negli Stati Uniti

Al contrario dell’Italia, gli Stati Uniti hanno un sistema articolato e solido per il contenimento del conflitto di interessi. Questo non vuol dire che la politica americana ne sia esente, come dimostra tutta la questione delle lobby. Gli americani sanno che, una volta al potere, è difficile non cadere in tentazione e hanno deciso di usare senso pratico, scegliendo di basare le leggi sul conflitto di interesse sul ruolo del funzionario pubblico. Come spiega in un suo articolo Michael B. Salerno, professore aggiunto dell’Università della California, “il servizio pubblico è la responsabilità nei confronti della cosa pubblica“.

L’obiettivo a cui puntano le complesse leggi federali e di ogni Stato americano è impedire di usare il potere politico per il proprio interesse, indirizzandolo solo per il bene comune, ed è per questo che esistono leggi sull’etica e l’obbligo di trasparenza su tutto, a iniziare dagli interessi finanziari dei pubblici ufficiali.

Chi vuole rivestire un ruolo pubblico negli USA deve svelare ogni aspetto patrimoniale, senza dimenticare nulla (il che aiuta a spiegare l’avversione degli elettori americani per un politico che mente). In più, Camera e Senato hanno regole precise che ogni eletto deve rispettare, rendendo pubblico lo stipendio (che ha un limite), i redditi aggiuntivi (che sono regolamentati alla Camera dal “Code of Official Conduct”, il Codice di comportamento ufficiale), e ogni aspetto economico-finanziario.

A livello federale la legge sul conflitto di interesse è garantita dall’Ethics in Government Act, autorità indipendente che certifica il rispetto delle norme per tutti gli eletti e che ha poteri molto ampi, arrivando anche a impedire l’elezione.

Tutto questo però non riguarda il Presidente degli Stati Uniti e neppure il vice ed è per questo che l’elezione di Donald Trump inizia a far paura.

Il premier giapponese Shinzo Abe con Donald Trump e la figlia Ivanka

Il presidente eletto Donald Trump è un imprenditore multimiliardario, a capo di un impero economico e immobiliare con 111 aziende sparse in 18 Paesi del mondo (9 nell’odiata Cina, 13 negli Emirati Arabi, 8 in Arabia Saudita). I calcoli sono stati fatti dal Washington Post: il quotidiano si è chiesto quale sia la vera portata del potere economico del prossimo Commander in Chief anche perché, per la prima volta in quarant’anni, da candidato alla presidenza non ha presentato la dichiarazione dei redditi. A pubblicarla è stato il New York Times, svelando che per 20 anni non ha pagato le tasse, cosa che lui stesso ammise in uno dei confronti tv con Hillary Clinton dicendo che era stato il sistema americano a permetterglielo.

La stessa cosa sta accadendo al conflitto di interessi. Nella sua prima intervista da presidente eletto proprio con il New York Times, Trump ha ribadito il concetto: non c’è alcuna legge che lo obbliga a passare le sue fortune e i suoi affari a qualcun altro.

Per questo ha deciso di non fare come tutti i suoi predecessori, cioè rispettare le leggi etiche obbligatorie per i pubblici ufficiali, e di andare avanti per la sua strada, aggirando anche la richiesta di un blind trust (un gruppo di persone a lui sconosciute e senza alcun legame con la sua famiglia che dovrebbe gestire i suoi affari Trump farà a modo suo, con un “family trust“, avendo affidato il suo impero ai figli che saranno, tra l’altro, anche suoi consiglieri.

Per chiudere, Ivanka Trump, l’amata figlia del magnate presidente, è già finita nell’occhio del ciclone per aver partecipato a incontri ufficiali senza averne titolo (era presente con il marito Jared Kushner al faccia a faccia con il premier giapponese Shinzo Abe). Difficile non cogliere l’analogia con Berlusconi.

Il risultato? Mentre milioni di americani (e non solo) erano convinti che la Clinton fosse sponsorizzata dall’Arabia Saudita, Trump con la sua famiglia andrà avanti a costruire i suoi hotel di lusso, facendo affari da milioni di dollari anche con i sauditi. Non male come conflitto di interessi.

Lorena Cacace

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