Il MoVimento 5 stelle e Giuseppe Conte, il presidente del partito, secondo quanto riferiscono da Repubblica, vorrebbero almeno 30mila euro, in pratica l’oltre 60%, del Tfr da parlamentare di Luigi Di Maio. In qualità di fuoriuscito, infatti, l’ex ministro degli Affari esteri dovrebbe versare ai pentastellati molto più di chi, invece, è rimasto dentro il movimento nonostante non sia più stato eletto, per la regola del doppio mandato o per il taglio dei parlamentari.
Nella stessa situazione di Di Maio, ci sono anche i parlamentari che, con lui, a giugno hanno salutato i Cinque stelle per formare un nuovo soggetto politico, non trovando però tutta la fortuna del 2013. A pesare per le casse del movimento, che è appunto in cerca di soldi, è soprattutto il fatto che in poco meno di dieci anni, i deputati e i senatori eletti sono dimezzati, se non addirittura ridotti di un terzo se si riferisce alla legislatura appena conclusa. E infatti ci sarebbero delle novità anche per quanto riguarda la restituzioni di parte dello stipendio.
Tra i tanti leit motiv che hanno spinto nel 2013, e in misura maggiore nel 2018, il MoVimento 5 stelle a imporsi come un partito più che accreditabile, ma soprattutto vincente c’era sicuramente quell’idea, poi diventata realtà, di restituire parte dei soldi ricevuti nello stipendio d’oro da parlamentare per rimetterli o nel movimento, o nella società civile attraverso donazioni.
Qualcosa nel meccanismo si è anche inceppato nel corso del tempo. Molti attivisti, così si chiamavano tra di loro deputati e senatori, sono stati espulsi perché non in regola con i pagamenti, meglio con le restituzioni, altri ancora si sono rifiutati di versare i propri soldi nelle casse dell’Associazione Rousseau, in cui dovevano confluire in parte anche per sovvenzionare la stessa piattaforma di Davide Casaleggio, il figlio del fondatore e guru Gianroberto. Altri ancora, molto più ligi alle regole, hanno continuato a restituire. E lo dovranno fare anche ora che nelle aule di Montecitorio e Palazzo Madama non bazzicano più, perché così vuole lo statuto del movimento.
Che potrebbe anche cambiare nella sostanza, ma non per quanto riguarda questo. Secondo quanto riporta Repubblica, in una bozza allo studio anche di Giuseppe Conte, chi è andato via sbattendo la porta deve rendere molto di più del suo assegno di solidarietà di quanto non debba fare chi è rimasto e non se n’è andato nonostante non potesse più essere candidato per la regola (tutta loro) del vincolo del doppio mandato, ma anche per il taglio dei parlamentari.
I fedelissimi come possono essere Paola Taverna, Alfonso Bonafede, Danilo Toninelli, giusto per citarne alcuni, per le carte che circolano dovrebbero restituire soltanto il 20% di quello che hanno ricevuto nel momento in cui hanno lasciato il Parlamento. E quindi, dei circa 45mila euro di fine mandato dovrebbero versare nelle case del MoVimento 5 stelle circa 9mila euro, una somma abbastanza accettabile considerato soprattutto il fatto che chi invece ha lasciato Conte “da solo” dovrà sottostare alle regole varate nell’aprile del 2021, sotto la reggenza di Vito Crimi.
Queste prevedono che il Tfr dei fuoriusciti sia diviso in tre parti, una rimane al “dissidente”, le altre due vanno all’ex partito di appartenenza. In pratica, quindi, 30mila euro sono per i pentastellati, 15mila rimangono ai vari Luigi Di Maio, Lucia Azzolina, Vincenzo Spadafora che, per esempio, a fine luglio hanno creato Impegno Civico, un partito che non ha avuto poi così tanta fortuna alle elezioni del 25 settembre e ha spedito a casa, del tutto, anche l’ex ministro degli Esteri del governo giallorosso e di quello di Mario Draghi.
E probabilmente non è un caso, dicono ancora da Repubblica. Perché nella bozza ci sono anche altri cambiamenti che riguardano anche i soldi che mensilmente deputati e senatori che sono stati eletti in questa legislatura dovranno decurtarsi dallo stipendio.
Non cambia, però, il totale, sempre di 2500 euro, cambierebbe piuttosto il modo in cui verrebbero ripartite le restituzioni. La bozza arrivata ai tre membri del Comitato di garanzia, ovvero l’ex presidente della Camera Roberto Fico, l’ex sindaca di Roma, Virginia Raggi, e l’ex senatrice Laura Bottici, molto vicina a Beppe Grillo, prevede che 2000 euro rimangano al partito (il doppio di prima) e gli altri 500 (un terzo di prima) vengano dati per associazioni no-profit e quant’altro. O anche, pare, per la scuola di formazione politica che era nei piani di Conte durante la campagna elettorale, in cui gli insegnati potrebbero essere gli stessi che sono rimasti, nonostante tutto.
Ma ci sarebbe anche un’altra novità: l’indennità di carica per chi assume vicepresidenze o presidenze di commissione, che al momento è vietata, stavolta dovrebbe essere permessa, anche se solo al 25%.
Le ragioni di tutti questi cambiamenti, però, sono più pratiche che ideologiche. Se all’inizio dell’esperienza parlamentare, infatti, i Cinque stelle potevano contare su oltre 160 attivisti, diventati nel 2018 più del doppio, ora il numero dei deputati e dei senatori pentastellati, sia per effetto delle elezioni, in cui il MoVimento 5 stelle ha raccolto intorno al 15%, sia per effetto di un altro dei loro leit motiv, il taglio dei parlamentari, appunto, sono 80, meno della metà del 2013, e meno di un quarto della passata legislatura.
Insomma: servono soldi, per pagare lo staff, gli esperti assunti dai gruppi, e per strutturare il movimento anche nelle regioni, con i gruppi territoriali che sono stati lanciati dall’Avvocato del popolo. Se, poi, a metterceli saranno gli stessi che sono andati via, tanto meglio: dopo tutto, non è quello che succede in quasi tutti i divorzi che finiscono male? Ecco.
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