Benché il 60% degli italiani riconosca che l’Isis (o Da’esh, come forse sarebbe più giusto definirlo) rappresenti un pericolo per l’Italia e circa il 21% ritenga che il pericolo attentati nella penisola sia molto elevato, sono molti di più (69%) gli italiani consapevoli di come il vero pericolo per l’Italia sia la criminalità organizzata di tipo mafioso e, quindi, non terroristico.
È quanto emerge da un’indagine svolta dall’Istituto di ricerca SWG, insieme a Voices from the Blogs, con il contributo della British American Tobacco Italia. Sì, perché fra le principali fonti di finanziamento delle organizzazioni criminali, siano esse di tipo mafioso o di tipo terroristico, oltre al al traffico di stupefacenti e di opere d’arte e alla tratta di esseri umani, c’è anche il contrabbando di sigarette.
La criminalità organizzata transnazionale genera ogni anno profitti per una cifra stimata intorno agli 870 miliardi di dollari, circa l’1,5% del PIL mondiale, e i traffici illeciti, compreso il contrabbando di sigarette, sono una delle più grandi fonti di reddito delle organizzazioni criminali. Se nel 2015 il contrabbando in Italia è tornato a livelli “standard” (intorno al 7% del mercato di tabacchi lavorati), non è infatti successo lo stesso in altri Paesi europei, come la Gran Bretagna (21,5%) o la Grecia (19,8%), solo per citare alcuni esempi. E, nonostante questa percentuale risulti “positiva” se paragonata a quella di altri Paesi, soltanto nel nostro Paese – secondo il Rapporto annuale della Guardia di Finanza – nel 2015, in oltre 8.411 interventi realizzati contro le frodi doganali, sono state sequestrate più di 274 tonnellate di tabacchi lavorati esteri e 549 mezzi terrestri e navali usati per il trasporto e l’occultamento delle merce, con la denuncia di 5.885 persone, di cui 226 arrestate.
Se, però, il 19% degli italiani coinvolti nella ricerca dichiara di essere consapevole che il contrabbando di sigarette rientra fra le attività che finanziano la mafia, solo il 4% sa che il traffico illecito di tabacchi lavorati finanzia anche l’Isis: non tanto lo Stato islamico, che – secondo le stime dell’IHS Jane’s – trae l’80% dei suoi finanziamenti dal sistema di confisca e tassazione nei territori occupati e dalla vendita di petrolio, quanto le cellule locali sparse in tutto il mondo. Ovvero quei combattenti che organizzano attentati in Occidente.
E, alla domanda se – secondo loro – «Il terrorismo si finanzia anche attraverso il contrabbando di sigarette», soltanto il 35% degli intervistati dichiara di essere d’accordo con questa affermazione, mentre il 38% preferisce dichiararsi «né d’accordo né in disaccordo», dimostrando quindi di
non avere precisa cognizione dei rischi del contrabbando di sigarette.
Al contrario, un ulteriore riscontro del rapporto diretto fra contrabbando di sigarette e presenza di cellule terroristiche, e quindi di pericolo di attentati, risulta confrontando i tweet “pro Da’esh” registrati sul web, il numero stimato di combattenti pro Isis e gli attentati effettivamente messi in atto con gli indicatori relativi ai volumi di contrabbando. Da quest’analisi, risulta che alla crescita dei volumi di contrabbando di sigarette segua, in quello stesso luogo, sia l’aumento di combattenti stranieri pro Isis e del sentiment “pro Da’esh” (con un arco di tempo di circa 3 mesi), sia il momento di esecuzione degli attentati veri e propri (con arco temporale più lungo, di circa sei mesi).
Dalla ricerca emerge, quindi, chiaramente come la percezione degli italiani sia profondamente sbagliata circa i metodi di finanziamento dell’Isis, che tradizionalmente, e forse volutamente, vengono fatti coincidere principalmente con la tratta di migranti, nonostante il Procuratore Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Franco Roberti, abbia chiarito – proprio durante la Conferenza internazionale dal titolo “Le rotte dei traffici illeciti in Europa e nel Mediterraneo”, organizzata dall’Associazione Priorità Cultura e dall’Istituto Affari Internazionali con il contributo di BAT Italia e tenutasi in Senato il 13 aprile – che «non ci sono riscontri investigativi che conducano alla conclusione che lo Stato islamico controlli direttamente i traffici di migranti».
Una percezione sbagliata pericolosa, perché porta a riconoscere colpe in fenomeni, come quello dell’immigrazione, che in realtà potrebbero non averne e a sottovalutare, invece, nostri comportamenti profondamente pericolosi come quello di acquistare sigarette di contrabbando.
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