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Contraffazione in Italia: dati sempre più allarmanti

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Cos’hanno in comune una pastiglia per il mal di testa e un orologio? La contraffazione. Sì, perché il mercato delle merci contraffate non conosce limiti e anzi fa registrare numeri impressionanti, oltre a fare da sottofondo a un sistema di criminalità organizzata transazionale. Come ogni anno, la conferma arriva dall’ultimo rapporto della Direzione Generale Lotta alla Contraffazione-Uibm del Ministero dello Sviluppo Economico, in collaborazione con il Censis ed edito dal Mef: l’aggiornamento dell’impatto economico sul tessuto nazionale al 2012 è di oltre 6,5 miliardi di euro. Altro dato da tener presente è la provenienza delle merci contraffatte: oltre il 60% dei prodotti contraffatti arriva dalla Cina.

Si tratta in ogni caso di dati indicativi, ottenuti in base ai sequestri effettuati dalla Guardia di Finanza e dall’Agenzia delle Dogane. Molto probabilmente, le cifre reali sono più elevate: l’industria della contraffazione non tiene registri o partecipa a studi “di settore”. L’attività spesso si confonde in un sottobosco di malaffare che unisce la criminalità estera con quella nazionale, andando così a ingrossare i conti delle organizzazioni malavitose. Il risultato è una miscela dannosa per l’economia sana che fatica a tenere il passo anche a causa di una crisi economia perdurante.

I numeri della contraffazione in Italia

Partendo dai dati dei sequestri, riuniti dell’Iperico, database nazionale delle operazioni anti-contraffazione, il Rapporto 2014 sulla contraffazione in Italia dà una visione globale del fenomeno e della percezione stessa nei consumatori, in particolare nei giovani.

Secondo lo studio, nel 2012 in Italia sono state acquistate merci per un valore complessivo di 6 miliardi e 535 milioni di euro. I settori più colpiti sono:
– abbigliamento e accessori (con un fatturato che nel 2012 supera i 2 miliardi e 243 milioni di euro, pari al 34,3% del totale)
– Cd, Dvd e software (oltre 1,786 miliardi di euro, pari il 27,3%)
– prodotti alimentari, il cosiddetto “italian sounding” (poco più di un miliardo di euro, pari al
15,8%).

Rispetto all’ultimo aggiornamento, il fatturato è però sceso dai 7,32 miliardi del 2010 e dai 7,68 miliardi del 2008. Merito o colpa, evidenzia il Rapporto, anche della crisi economica che ha portato a una generale diminuzione della domanda anche da parte delle fasce medio-alte e della deflazione dei prezzi. In pratica, anche l’economia della contraffazione ha risentito dei problemi di quella sana, ma ha saputo ammortizzare meglio e con più guadagni. Il settore che ha visto la crescita maggiore è stato quello dei medicinali che rispetto al 2010 è cresciuto dello 0,5%.

Per capire l’impatto economico che questa economia malata ha su quella sana, il Rapporto evidenzia che, se si fossero venduti gli stessi prodotti del mercato legale, ci sarebbero stato “17,7 miliardi di euro di valore di produzione aggiuntiva, con conseguenti 6,4 miliardi circa di valore aggiunto (corrispondente allo 0,45% dell’intero PIL)”.

Inoltre, ci sarebbe stato un valore nelle importazioni di materie prime e/o servizi di 5,6 miliardi, ma soprattutto ci sarebbero stati 105mila posti di lavoro a tempo pieno, lo 0,44% dell’occupazione nazionale.

Non solo. Nel rapporto si calcola il peso della contraffazione sulle finanze pubbliche. Le stesse merci provenienti dal mercato legale avrebbero portato a un gettito aggiuntivo di 1,52 miliardi di euro. Senza contare l’indotto che avrebbe potuto essere pari a 3,76 miliardi: il gettito totale sarebbe stato di oltre 5 miliardi.

Da dove arrivano i falsi: il problema della Cina

Altro dato utile è l’origine dei prodotti contraffatti. In questo caso è “Report on EU customs enforcement of intellectual property rights” a venirci in soccorso. Il rapporto della Commissione Europea evidenzia come in tutta l’Unione è la Cina il maggior esportatore di merci contraffatte con il 66,12%, seguita da Hong Kong (13,31%) e dalla Grecia (5,83%). Anche a livello di valore di merci, è sempre il gigante asiatico a fare la parte del leone con il 72,43%, seguita sempre da Hong Kong (7,72%) e dalla Turchia (7,42%).

Dalla Cina arrivano in particolare abbigliamento e accessori (17%), materiale per il packaging (11%), giocattoli (11%), ma anche sigarette (9%), medicine (7%), gioielli, occhiali da sole scarpe e prodotti per l’igiene e la bellezza (3% per ogni voce). A dare maggiori guadagni però sono i falsi orologi (24%) e questo nonostante si sia registrano un calo del 20% rispetto al biennio passato.

Come spiegare la forza della Cina in questo settore? Con la globalizzazione. Grazie alle tecnologie e alla rete è sempre più facile accedere ai modelli dei grandi marchi, studiarne i cataloghi e averne un’idea chiara con pochi clic. Crescono poi le aziende grandi e piccoli che scelgono di delocalizzare parte o tutta la produzione, portando in quei Paesi fabbriche e quindi competenze, facile preda di un mercato sempre aperto.

Il web ha poi reso tutto più facile. Oggi sempre più persone acquistano merci contraffatte online, pur nella consapevolezza di comprare qualcosa di falso. Le informazioni viaggiano più velocemente, la platea dei potenziali clienti si è allargata ed è sempre più facile entrare in contatto con i consumatori anche se si è dall’altra parte del mondo. Da qui la necessità di controlli che siano non solo più attenti ma globali, come è il fenomeno che si cerca di fermare.

Lorena Cacace

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