Il pubblico impiego cambia con l’approvazione della riforma Madia ma non in tutto. L’articolo 18 infatti rimane valido per la Pubblica Amministrazione così come previsto dal vecchio Statuto dei Lavoratori, con il reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa per i lavoratori del settore pubblico. La differenza tra il mondo della Pubblica Amministrazione e dei privati si mantiene intatta, almeno sotto questo profilo: se per i dipendenti di aziende private vale il Jobs Act (e quindi il risarcimento senza reintegro) e neanche non per tutti (scatta solo per i nuovi assunti dal 2015), per il pubblico impiego il problema non si pone.
In linea generale possiamo dire che la riforma Madia e il Testo Unico del Pubblico Impiego mette mano a una materia intricata e ricca di trappole per la politica che deve fronteggiare due situazioni. Da un lato c’è la necessità di modernizzare il settore chiave per la vita dell’intero Paese, troppo spesso stritolato dalla macchina della burocrazia che colpisce gli utenti finali (cioè tutti i cittadini) e gli stessi dipendenti, presi di mira come capri espiatori di un intero sistema che fa acqua.
Dall’altra c’è invece la problematica del confronto con i sindacati che hanno nel pubblico impiego spesso la loro ragione d’essere (almeno dal punto di vista di tessere e numeri): la concertazione sindacale su ogni singolo aspetto della Pubblica Amministrazione si trasforma regolarmente in un braccio di ferro interminabile tra le necessità governative e le tutele dei lavoratori.
Fin qui non abbiamo mai usato la parola “privilegi” anche se è la prima che corre online e nei social quando si parla di impiegati della pubblica amministrazione: gli statali sono visti come una categoria di privilegiati, sicuri di non essere licenziati praticamente mai, di avere un posto di lavoro fino alla fine della loro vita lavorativa e di avere una pensione dignitosa. Tutte certezze che l’ultima crisi ha tolto a molti lavoratori del settore privato, lasciati a casa dalle aziende che chiudevano, magari nel bel mezzo dell’età lavorativa, troppo anziani per ricominciare o continuare e troppo giovani per smettere.
La guerra tra poveri non ha mai funzionato e gettare benzina sul fuoco delle polemiche di certo non aiuta. Il mantenimento dell’articolo 18 per il pubblico impiego è però uno di quei temi che rischia di far esplodere la tensione. Con la riforma Madia la questione dei licenziamenti senza giusta causa viene divisa in tre: l’art. 18 dello statuto dei Lavoratori per la PA, con il reintegro, la Legge Fornero per i privati assunti prima del 7 marzo 2015 con il reintegro difficile ma possibile, e il Jobs Act per i privati assunti dopo il 7 marzo 2015 senza il reintegro e solo con il risarcimento.
Il mantenimento dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori per il pubblico impiego sembra il perfetto contraltare per le nuove norme in merito ai licenziamenti per i furbetti del cartellino. I decreti Madia bis mettono mano a un problema che affligge da tempo la PA e di cui abbiamo avuto tantissimi esempi, compreso quello eclatante di Sanremo con il vigile che timbrava in mutande.
La novità della riforma prevede licenziamenti più rapidi per chi viene beccato con le mani nel sacco con l’aggiunta di nuove cause di licenziamento: da ora si può essere licenziati per gravi o reiterate violazioni dei codici di comportamento, per insufficiente rendimento rilevato nell’ultimo triennio, la reiterata violazione di obblighi concernenti la prestazione che abbia comportato la sospensione per un anno in un biennio.
Per chi timbra e non si presenta al lavoro, commettendo false attestazioni della presenza in servizio o chi giustifica assenze con certificati medici falsi, viene confermato l’iter del licenziamento rapido: sospensione entro 48 ore e il licenziamento dopo un procedimento disciplinare della massima di 30 giorni, con contestazione scritta entro 30 giorni e convocazioni dell’interessato con un preavviso di 20 giorni per un massimo di 90 giorni.
Ora bisognerà vedere come si attuerà il testo Madia nella realtà e se, nelle pieghe del testo legislativo, non ci siano degli appigli per cui anche un furbetto del cartellino possa richiedere l’applicazione dell’articolo 18, costringendo lo Stato a subire il danno e la beffa.
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