Il tribunale civile ha respinto il ricorso sul contratto di Virginia Raggi con il Movimento 5 Stelle. La tanto attesa sentenza, arrivata nel tardo pomeriggio di martedì, non provocherà quindi alcun terremoto in Campidoglio: la sindaca di Roma secondo il giudice era eleggibile, per cui potrà restare al suo posto. Rigettato dunque il ricorso presentato lo scorso 23 maggio dall’avvocato romano Venerando Monello, secondo cui il contratto sarebbe illegittimo, in quanto anticostituzionale.
Stiamo parlando del famoso contratto firmato dai candidati del Movimento 5 Stelle con la Casaleggio & associati, alla vigilia delle elezioni comunali. Tra le firme quella della Raggi (ma non di colei che sarebbe diventata sindaca di Torino, Chiara Appendino). Nel contratto, chiamato “Codice di comportamento per i candidati del MoVimento 5 Stelle”, gli eletti si impegnavano a rispettare le direttive di Beppe Grillo e del suo staff per amministrare la città, nonché i principi etici e le regole del movimento. L’aspetto che aveva suscitato più scalpore e lasciato tutti di stucco era la punizione prevista per chi sgarra e viola i principi “etici e giuridici fondamentali e inderogabili del M5S”: 150mila euro di multa da versare al Movimento. Più che una punizione, una potenziale condanna al lastrico.
Cosa c’è scritto nel contratto Raggi-M5S
Questi i punti del contratto contestati da Monello. Le proposte di “atti di alta amministrazione e le questioni giuridicamente complesse verranno preventivamente sottoposte a parere tecnico-legale a cura dello staff coordinato dai garanti del Movimento 5 stelle”. Inoltre “il sindaco, gli assessori e i consiglieri del M5S dovranno operare in sintonia con i principi del M5S, con gli obiettivi sintetizzati nel programma del M5S per Roma Capitale, con le indicazioni date dallo staff coordinato dai garanti del Movimento 5 stelle al fine di garantire che l’azione amministrativa degli eletti M5S avvenga nel rispetto di prassi amministrative omogenee”.
Il ricorso dell’avvocato Monello
L’avvocato Monello, tesserato Pd (e questo, come vedremo, ha provocato polemiche politiche con i pentastellati) ha presentato ricorso perché ritiene che il contratto violi diversi articoli della Costituzione, del Codice Civile e del regolamento del Comune di Roma. Ciò che a suo parere dovrebbe rendere nullo il contratto (e quindi far decadere la Raggi) è il fatto che la sindaca non sarebbe libera di amministrare autonomamente la città, dovendo sottostare ai pareri e alle decisioni di Beppe Grillo e del suo staff, a cui di fatto spetterebbe la decisione finale su ogni cosa. Secondo l’avvocato, inoltre, il contratto sarebbe in contrasto anche con l’articolo 1 della legge 17/1982 che rende incostituzionali le associazioni segrete.
Monica Cirinnà aveva pubblicato il contratto
Accanto a Monello era partita all’attacco dei 5 Stelle anche Monica Cirinnà, che a dicembre aveva pubblicato il contratto: “Ho preteso il deposito dell’originale di quel contratto che, come si può vedere, è ben diverso da quello diffuso dal blog di Grillo”. La senatrice del Pd aveva incalzato: “L’originale è differente da quello pubblicato in rete nella parte che contiene l’accettazione espressa da parte di Raggi di alcune clausole vessatorie, tra le quali la penale da 150mila euro. Altro che impegno di natura etica e non giuridica come si sono affrettati a definirlo le difese. Sussistono, quindi, a nostro parere, tutti gli elementi per dichiarare nullo il contratto e ineleggibile la sindaca. Farebbe meglio a lasciare la poltrona volontariamente, prima che a costringerla sia una sentenza”.
La strategia difensiva della Raggi
Ervin Rupnik, l’avvocato della Raggi, aveva polemizzato sull’appartenenza politica di Monello: “Sonoramente sconfitti alle urne, i dem cercano di rivalersi con un ricorso fondato su argomentazioni politiche e non giuridiche. I fatti eccepiti risultano fantasiosi e sprovvisti di ogni fondamento giuridico. Il codice di comportamento M5S è ben lungi dall’essere l’accordo di un’associazione segreta, come romanzescamente asserito dal ricorrente”.
Secondo la sua strategia difensiva, Virginia Raggi dovrebbe rimanere al suo posto anche nel caso in cui il contratto venisse giudicato nullo: “In virtù del noto principio vigente nel nostro ordinamento secondo cui ‘quod nullum est nullum producit effectum’ (quel che è nullo non produce alcun effetto, ndr), l’eventuale dichiarazione di nullità del codice di comportamento comporterebbe automaticamente l’inesistenza di qualunque obbligo per la Raggi al codice di comportamento interno al M5S”.
La sentenza del tribunale
La Raggi ha vissuto settimane nell’ansia, e non solo per questo ricorso. A turbare la sindaca anche il crollo di consensi tra i romani. Fino al sospiro di sollievo, con la sentenza che ha respinto il ricorso per cui “i ricorrenti chiedevano la nullità del contratto stesso”. Il tribunale “rigetta la domanda diretta ad ottenere la dichiarazione di ineleggibilità di Virginia Raggi; dichiara l’inammissibilità della domanda di nullità del Codice di comportamento per i candidati ed eletti del Movimento 5 Stelle alle elezioni amministrative di Roma 2016 nelle liste del Movimento 5 stelle”. Il giudice condanna inoltre i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Raggi: “Dopo la batosta elettorale, il Pd ne subisce un’altra in tribunale”
Questo il commento della sindaca, che ha scritto sul blog dei 5 Stelle: “Tanto rumore per nulla. Dopo la batosta elettorale a Roma, il Pd ne subisce un’altra in tribunale. Il giudice non ha accolto la richiesta con la quale i dem cercavano di ribaltare il risultato delle urne che ha visto il M5S vincere. Speravano di rendere nulla la nostra vittoria, paragonando la stipula del Codice di comportamento del M5S ad un accordo di una associazione segreta. Non sanno più cosa inventare. Il problema è che non riescono ad accettare la sconfitta ed il fatto che stiamo riportando la legalità. Quando abbiamo vinto le elezioni, abbiamo assicurato che avremmo rispettato gli impegni con i cittadini. Questo è lo spirito del M5S. L’impegno l’abbiamo preso con voi e lo rispetteremo sempre”.