Varie sono le leggi che regolano i contributi pubblici all’editoria. Diverse sono anche le posizioni sulla loro legittimità o sul fatto che alcuni vorrebbero abolirli o almeno ripensarli secondo diverse strategie. Chi è d’accordo pensa che debbano essere lasciati nella difesa della pluralità dell’informazione, per tutelare i giornali più piccoli e per eliminare una disparità che spesso può derivare dagli investimenti pubblicitari. Chi li vuole abolire, invece, pensa che sia un costo eccessivo per lo Stato. Inoltre molti sono convinti che i finanziamenti non rendano libera l’informazione, ma, invece, possano condizionarla.
Vediamo come funziona la situazione in Italia. In generale ricordiamo che esistono due tipi di finanziamenti nel nostro Paese: i contributi diretti e quelli indiretti, a cui possono avere accesso tutte le testate, purché siano cartacee.
Come funziona in Italia
In forma diretta i finanziamenti riguardano soltanto alcuni tipi di giornali: quelli organi dei partiti politici, quelli delle cooperative di giornalisti e quelli delle minoranze linguistiche, oltre a quelli destinati alle comunità italiane all’estero. Esiste un apposito elenco consultabile sul sito del Governo, in cui vengono riassunti tutti i contributi andati alle varie imprese editoriali. Mentre i contributi diretti sono quantificabili, per quanto riguarda il loro importo, molto più difficile è quantificare quelli indiretti.
Per alcune tipologie di quotidiani e periodici, classificati nella categoria dei prodotti stampabili, è previsto un regime fiscale agevolato del 4%, che va applicato al 20% delle copie stampate. Fino al 2010 i contributi indiretti potevano essere comprensivi anche delle agevolazioni postali per la spedizione degli abbonamenti. A regolare questa norma era un decreto legge del 2003. Queste agevolazioni, tuttavia, sono state sospese.
A quanto ammontano i contributi
Per stabilire a quanto ammontano i contributi previsti per l’editoria, bisogna ricordare che una parte è fissa e una parte è variabile. La prima può arrivare anche fino al 50% dei costi sostenuti. Possono essere finanziati, secondo ciò che è stabilito dal decreto dell’8 marzo 2013, molte spese: l’acquisto della carta, il costo per la stampa, la distribuzione, le spese per i dipendenti, il costo per l’acquisto di servizi da agenzie di stampa.
La parte variabile, invece, che è diversa per i quotidiani nazionali, per quelli locali e per i periodici, viene fissata in base alle copie vendute. Si tratta di fino a 0,25 euro a copia per i quotidiani nazionali, fino a 0,20 euro per i locali e fino a 0,40 euro per i periodici. Ci sono dei limiti massimi ai valori complessivi, che riguardano sia la parte fissa che quella variabile. I quotidiani non possono superare un massimo di 3 milioni e 500mila euro, i periodici non possono andare oltre i 300.000 euro e i quotidiani locali non possono superare 1 milione e 500mila euro.
La proposta del Movimento 5 Stelle
Il Movimento 5 Stelle ha presentato una proposta di legge in Commissione Cultura alla Camera, in modo che venga abolito il finanziamento pubblico all’editoria. L’intento dei pentastellati, come ha sottolineato sul blog di Beppe Grillo l’ex capogruppo alla Camera Giuseppe Brescia, sarebbe quello di rinnovare l’informazione in Italia e di liberarla dal peso assunto dai partiti. I grillini sono convinti che l’informazione sia in mano a “pochi editori”, che ne detengono il controllo. Più che altro i rappresentanti del Movimento 5 Stelle sono interessati ad applicare una forma transitoria di finanziamento che, a detta loro, possa procurare una reale innovazione e possa essere a favore di un pluralismo reale.
I grillini hanno anche ricordato le cifre che sono state destinate a questi contributi: nel 2014 il dipartimento per l’editoria della Presidenza del Consiglio avrebbe avuto a disposizione circa 140 milioni di euro. La stessa cifra, secondo ciò che hanno riferito, sarebbe a disposizione anche per il 2015 e il 2016. Hanno fatto riferimento anche a quegli altri contributi che sono stati previsti dalla legge di stabilità: 50 milioni per il 2014, 40 milioni per il 2015 e 30 milioni per il 2016.
Negli altri Paesi
Vediamo adesso com’è la situazione negli altri Paesi. Facciamo un quadro generale di come funzionano i contributi per l’editoria nei Paesi europei. In Francia ci sono contributi diretti, agevolazioni per il trasporto, per la teletrasmissione in base al numero di copie stampate, per la modernizzazione della rete di vendita e per la distribuzione della stampa all’estero. Anche i giornali online possono usufruire di agevolazioni: si tratta di prestiti agevolati fino a 300.000 euro. Poi ci sono i contributi indiretti, che comprendono l’agevolazione delle tariffe postali, un’aliquota Iva agevolata, la stampa dei giornali e le notizie dalle agenzie di stampa. C’è un contributo anche per gli investimenti con deducibilità fino al 30% su tutte le pubblicazioni.
In Germania non ci sono contributi diretti alla stampa, però esistono quelli indiretti, che consistono in tariffe postali agevolate e in una riduzione dell’aliquota Iva al 7%. Nemmeno in Gran Bretagna ci sono aiuti diretti. Tutto viene lasciato alla libertà, che ha come scopo principale quello di garantire la libertà di espressione.
In Austria ci sono dei contributi introdotti nel 1975 e che sono stati poi modificati poi nel 1985 e nel 2004. Anche in Austria esiste una suddivisione fra finanziamenti diretti e indiretti. Per esempio, tra i primi c’è la tutela del pluralismo, con un contributo fisso di 500.000 euro e uno variabile per ogni copia venduta, fino ad un massimo di 25.000 euro. E’ aiutata anche la formazione dei giornalisti. Tra i contributi indiretti vi sono le aliquote ridotte e le tariffe postali agevolate. In Danimarca nel 1970 è stato creato l’istituto di finanziamento della stampa quotidiana. Ci sono dei contributi diretti, anche per la stampa, per l’acquisto della carta e per progetti specifici. Fra i contributi indiretti, l’aliquota Iva ridotta e le agevolazioni per le tariffe postali.
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