Il contributo di solidarietà, una strategia spesso utilizzata dai governi per finanziare le riforme ma sempre discussa dal punto di vista costituzionale. Il premier Matteo Renzi, per non essere da meno rispetto ad illustri predecessori, ha stabilito nel Documento di Economia e Finanza (DEF 2014) l’istituzione di un contributo di solidarietà da applicare alle pensioni più elevate, che superano i 90mila euro, al fine di reperire le risorse utili a finanziare interventi a favore dei lavoratori più svantaggiati (gli esodati, ad esempio). I soldi ricavati, di regola, devono sempre restare all’interno del sistema previdenziale. Una regola spesso disattesa ma che il governo Renzi vuole rispettare. Cerchiamo, allora, di capire meglio cos’è il contributo di solidarietà e come funziona.
In termini tecnici si definisce contributo di solidarietà quella quota di pensione richiesta dallo stesso ente previdenziale (l’Inps nel caso specifico) per finanziare la gestione del servizio in situazioni di disavanzo, dovuto ad esempio a un debito pensionistico. Di fatto il contributo serve a finanziare il patrimonio netto dell’ente e non ad accantonare cifre a garanzia di prestazioni future. L’utilizzo di questo strumento nasce, quindi, da necessità contingenti e non è mai visto di buon occhio perché fa ricadere l’onere solo su una piccola percentuale di pensionati (e infatti è stato già in passato criticato e bocciato dalla Corte Costituzionale). Prima di Renzi, l’ultimo a fare affidamento sul contributo di solidarietà è stato Mario Monti, nell’ambito della discussa riforma del lavoro Fornero. Anche lì i soldi prelevati dalle pensioni cosiddette d’oro erano stati poi stanziati per coprire il fondo a favore degli esodati.
Esodati che sono in cima ai pensieri anche di Renzi, perché il problema (creato proprio dalla riforma delle pensioni del ministro Fornero) è tutt’altro che risolto. Nel Documento di Economia e Finanza 2014, che è poi la strategia dell’esecutivo nel medio periodo, si legge infatti che “in materia previdenziale, è stato istituito un contributo di solidarietà sulle pensioni superiori a 90.000 euro, crescente all’aumentare degli importi percepiti. I fondi derivanti dal contributo restano, al contrario di quanto avvenuto nel passato, all’interno del sistema previdenziale, andando a finanziare anche interventi per gli esodati“. I temi urgenti sul tavolo del governo sono tanti, così come sono tanti i soldi necessari ad affrontarli: esodati, ammortizzatori sociali, scivolo verso il prepensionamento dei dipendenti pubblici. In parte saranno i pensionati più ricchi a pagare tutto questo, grazie proprio al contributo di solidarietà.
Proprio nelle ultime ore l’Inps ha chiarito, dopo alcuni giorni di polemiche e tensioni politiche, il funzionamento del contributo di solidarietà (messaggio n. 4294 del 28 aprile 2014), indicando le modalità operative e le istruzioni contabili. Nella lettera si legge che “l’articolo 1, commi 486 e 487, della legge 27 dicembre 2013 n. 147, istituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2014 e fino al 31 dicembre 2016, un contributo di solidarietà sui trattamenti pensionistici corrisposti esclusivamente da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie e sui vitalizi previsti per coloro che hanno ricoperto funzioni pubbliche elettive erogati dagli organi costituzionali, dalle Regioni e dalle province autonome di Trento e Bolzano. Il contributo si applica ai trattamenti lordi complessivamente superiori a quattordici volte il trattamento minimo, per la parte eccedente i limiti previsti, ed è previsto, per il 2014, un importo minimo mensile di € 501,38 che è pari a € 6.517,94 annui“. Restiamo in attesa della vibrante protesta dei diretti interessati.