Scrivere e raccontare le realtà periferiche d’Italia, non è mai stato facile e mai – temo – lo sarà. Io scrivo da una terra che amo, la terra delle mille contraddizioni, ma anche la terra più affascinante al mondo. Una terra che ne ha viste di tutti i colori, una terra che stenta a scrollarsi da alcune ataviche problematiche.
Eppure in questa terra, la Sicilia, sono nati grandi uomini, personalità invidiate dal mondo, veri esempi da emulare: eroi, nel vero senso della parola.
Così, con questo spirito, ho iniziato ad appassionarmi al giornalismo, in particolare al giornalismo di inchiesta ed a quello sociale. La possibilità di dar voce a chi non ne ha, di raccontare gli ultimi, piuttosto che porre in risalto alcune questioni “scomode”.
Ed è proprio in questo contesto, con questo spirito che sono nate diverse inchieste che ho condotto. Fra queste, una delle ultime – e forse fra le più complesse -, è quella che ha al centro l’omicidio irrisolto di Ivano Inglese, un ragazzone di appena 32 anni (leggi la sua storia), totalmente incensurato e con i sogni e le speranze di tanti giovani come lui. Una bella fidanzata, una famiglia unita, tanti amici, due lavori part time ed un bagaglio di speranze e di vita, annientate con quei colpi di pistola, calibro 7,65, tristemente famosi nella sua e nostra Terra.
Così mi sono appassionato a questo caso, l’ho “fatto mio”, cercando di aiutare due genitori incolpevoli, ad avere quantomeno giustizia.
Ho parlato (e sono stato criticato per averlo fatto) di silenzi imbarazzanti, forme di omertà che conoscono tristi precedenti, nella nostra Terra. Ho detto (e lo ribadisco, se possibile con maggior forza, nonostante tutto) che l’omertà è fra le peggiori forme mafiose.
Con la madre di Ivano abbiamo raccontato l’accaduto che non trova risoluzione, dopo oltre un anno e mezzo, in diretta su Rai2, in occasione della trasmissione “I Fatti Vostri”. Da allora ho iniziato a ricevere telefonate anonime e tentativi di intimidazione.
Fino a quel maledetto mercoledì, di due settimane fa.
Quel giorno stavo andando a dare da mangiare al mio cane, in una villetta al centro della mia città. Quando all’improvviso, da dietro, due uomini prima mi hanno tappato la bocca, poi mi hanno girato il braccio destro dietro la schiena e hanno cominciato a darmi i primi calci. Sono caduto e, mentre ero a terra, hanno continuato a colpirmi. Il tutto sarà durato una ventina di secondi, che però sono stati interminabili.
I miei aggressori avevano il volto coperto e, andandosene, mi hanno ripetutamente invitato a “farmi i fatti miei”.
Oggi ho svariate lesioni alla spalla destra, una miriade di lividi sparsi in tutto il corpo, ma sono quelli morali i più duri da curare. Quelli derivati dall’aggressione, dalla violazione dei tuoi spazi, dal tentativo di intimidazione e dal silenzio assordante che le Istituzioni (Polizia a parte) mi hanno riservato.
Ma abbiamo un dovere, andare avanti. Perché questa è una terra che ha bisogno di ognuno di noi, ognuno con la propria piccola “voglia di fare”.
Bisogna avere coraggio e non chinare la testa, perché come diceva Paolo Borsellino: “Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola”.
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