I negoziatori sono stati in grado di raggiungere un accordo considerato storico nel corso della COP 15.
Si tratta proprio della conferenza delle Nazioni Unite sulle biodiversità che ha il compito di rappresentare lo sforzo più grande al fine di proteggere gli oceani e le terre del mondo offrendo dei finanziamenti utili per salvaguardare la biodiversità nei paesi in cui lo sviluppo procede a gonfie vele.
L’accordo raggiunto
La presidenza di questa conferenza è detenuta dalla Cina, lo stesso stato che, durante le prime ore della giornata, ha condiviso una nuova bozza che ha dato inizio ad alcuni colloqui utili per raggiungere un accordo.
La parte più importante dell’intesa è quella di proteggere il 30% diviso tra acqua e terre che vengono considerati importanti, un obiettivo che deve essere raggiunto entro non oltre il 2030.
Per il momento si tratta di una protezione che vede il 10% di aree marine e il 17% di aree terrestri.
All’interno della bozza, un documento che è stato già approvato dai governi dei Paesi che prendono parte a questa iniziativa, è presente una richiesta secondo la quale è prevista una raccolta di 200 miliardi di dollari entro il 2030.
In questo modo si andrà ad eliminare, poco alla volta tutti i sussidi e andando ad offrire altri 500 miliardi di dollari a favore della natura.
Inoltre, entro il 2025, il pacchetto di finanziamenti, secondo le richieste, verrà aumentato a 20 miliardi di dollari verso i paesi poveri.
Non sono mancati dei Paesi che hanno chiesto un impegno molto più grande.
Il direttore delle politiche globali e della finanza per la conservazione di The Nature Conservancy, Andrew Deutz, ha affermato che il testo non è altro che un’unione di diverse misure: al cui interno sono presenti dei segnali abbastanza forti sua sulla finanza che sulla biodiversità.
Nonostante ciò, il testo non riesce ad andare oltre gli obiettivi che si sono posti 10 anni fa ossia quei punti riguardo la perdita di biodiversità all’interno di alcuni settori decisamente produttivi tra cui la pesca, l’agricoltura e le infrastrutture.
I finanziamenti indirizzati ai paesi poveri
I funzionari e i ministri di 190 Paesi sono stati d’accordo sull’ affermare che la posizione della biodiversità è una priorità anche se molti hanno fatto un paragone con gli sforzi portati avanti da un’altra nazione.
Per due settimane infatti si sono impegnati alla ricerca di un accordo.
L’argomento su cui si è discusso più a lungo è stato il finanziamento al punto che, i delegati di 70 paesi africani insieme a quelli asiatici e sud americani si sono visti costretti ad abbandonare i negoziati già lo scorso mercoledì. Dopo alcune ore però hanno deciso di rientrare.
A parlare a nome di paesi in via sviluppo è stato il Brasile il quale ha affermato quanto sia importante utilizzare un nuovo meccanismo di finanziamento indirizzato alla biodiversità.
Lo Stato inoltre ha affermato che i Paesi sviluppati devono impegnarsi fornendo 100 miliardi di dollari all’anno indirizzati alla sovvenzioni delle varie economie emergenti.
L’Associated Press Pierre du Plessis ha affermato che al momento sono presenti tutti gli elementi per portare avanti un equilibrio poco soddisfacente, quello che è considerato il segreto per ottenere un accordo insieme agli organismi delle Nazioni Unite.
“Tutti hanno ottenuto un po’ di quello che volevano, non necessariamente tutto quello che volevano. Vediamo se c’è uno spirito di unità”.
Non è mancato invece qualcuno che ha sottolineato quanto sia positivo il fatto che all’interno del documento vengono riconosciuti anche i diritti delle comunità indigene.
Infatti, all’interno dei precedenti documenti, molto spesso sono stati ignorati proprio i diritti delle comunità indigene.
Nonostante ciò, la Wildlife Conservation Society, è preoccupata per il fatto che la bozza ha spinto, fino al 2050, l’obiettivo di cercare di prevenire l’estinzione delle specie e quindi allungando ancora di più i tempi per preservare l’integrità degli ecosistemi.
Spazio anche alle comunità indigene
196 sono stati i Paesi che si sono Uniti in occasione della COP 15, un’iniziativa nata per concordare diversi obiettivi che dovranno essere realizzate entro il 2030.
Antonio Guterres, il segretario generale dell’ONU, ha chiesto a gran voce di realizzare un “patto di pace con la natura” i quali obiettivi devono essere mirati e quantificati così che si possano affrontare le cause della distruzione analizzando anche i meccanismi di responsabilità.
Sono di sicuro consapevoli che per le comunità indigene del Brasile è stato fatto molto anche se i risultati raggiunti non sono ancora soddisfacenti al 100%.
Ed è per questo che è importante cercare di aumentare la soglia di tutela. E questo è ciò che le popolazioni hanno chiesto con diplomazia affermando che la legge dell’Unione Europea sulla deforestazione risulta essere un vero e proprio successo.
Un piccolo passo fatto verso la direzione giusta anche se la strada da fare è ancora molto lunga.
Infatti, prima di riuscire a salvaguardare tutti gli altri ecosistemi, è importante continuare in questa direzione.
La Dinamam Tuxam, il coordinatore esecutivo della delegazione dedicati ai popoli indigeni del Brasile, infatti ha affermato che tre quarti della biomassa del Cerrato non sono stati inseriti dall’obbligo di portare avanti la tracciabilità dei prodotti.
Una situazione che avrà un impatto su 110 comunità e popoli tradizionali che verranno colpiti da alcune lacune presenti nella norma.
L’Unione Europea ha scelto anche di fare la sua parte evitando di dare la possibilità di far entrare, all’interno del mercato europeo, tutti quei prodotti inerenti alla distruzione delle foreste.
E’ questo l’accordo storico che si è ottenuto, un negoziato inerente proprio alla legge europea sulla deforestazione.
E questo è il primo regolamento al mondo che va affrontare uno dei temi più delicati e che andrà a ridurre notevolmente l’impronta dell’Unione Europea sulla natura proprio come afferma il WWF all’interno di una sua nota.