Gli occhi del mondo intero sono puntati sulla Cop 21 a Parigi, in cui i principali Paesi del globo si sono riuniti per trovare delle soluzioni, si spera definitive, per contrastare i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Particolarmente delicato e strategico sarà il ruolo della Cina, primo al mondo per emissioni di CO2 e gas responsabili del surriscaldamento che ha cambiato drasticamente il clima negli ultimi 20 anni: nel corso di questo 2015 ci sono state numerose tappe di avvicinamento che fanno ritenere il gigante asiatico maggiormente aperto ad un ruolo di primo piano nella riduzione dell’inquinamento, come ad esempio l’accordo bilaterale con gli Usa. Proviamo a capire tra luci ed ombre quale sia l’attuale situazione della Cina e quali prospettive si affaccino all’orizzonte, tra promesse e dati certi.
La notizia bomba che ha sparigliato le carte alla vigilia della Conferenza parigina è che la Cina avrebbe sottostimato i propri consumi di carbone, secondo un report diffuso dallo stesso governo di Pechino di cui ha dato notizia il New York Times: in base a quanto riportato dal quotidiano statunitense, le stime sarebbero state ritoccate dall’Ufficio Nazionale di Statistica di circa il 17 per cento in più rispetto ai dati rilasciati negli ultimi anni, a causa della difficoltà di reperire i dati delle piccole aziende locali. Ad esempio nel solo 2012 la Cina avrebbe bruciato 600 milioni di tonnellate di carbone in più rispetto a quanto precedentemente dichiarato: parliamo di oltre un miliardo di tonnellate di CO2 all’anno, il 3 per cento delle emissioni mondiali, che fanno del Paese asiatico tra i capofila degli inquinatori di tutto il mondo.
Riuscirà la Cina a raggiungere gli obiettivi?
Sebbene i dati siano stati ritoccati in alto, secondo gli esperti la Cina non dovrebbe avere maggiori difficoltà a raggiungere gli obiettivi prefissati in vista della Cop 21, poiché si tratta di obiettivi a lungo termine come la riduzione del rapporto tra CO2 e Pil, oppure raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030. Per il governo di Pechino sarà probabilmente maggiore lo sforzo per portare, entro lo stesso anno, il contributo delle fonti ‘non-fossili’ al 20 per cento. Tutto dipende dalla volontà della Cina di fare sul serio dal punto di vista ambientale, e pare proprio che l’intenzione ci sia tutta, giacché l’inquinamento atmosferico sta causando danni impressionati all’economia locale, il 12 per cento del Pil secondo una stima dell’Oms.
Cina: risultati ed obiettivi
I dati ci vengono in aiuto per capire ad esempio i risultati raggiunti dalla Cina negli ultimi dieci anni, come dimostra la relazione diffusa dal governo cinese che anticipa la Cop 21, in particolare ci soffermiamo sui miglioramenti ottenuti dal 2005 al 2014:
– Riduzione delle emissioni di CO2 per unità di Pil del 33,8 per cento rispetto al livello del 2005
– Quota di combustibili non fossili nel consumo di energia primaria pari al 11,2 per cento
– Potenza installata di energia idroelettrica di 300 Gigawatt, 2,57 volte di quella del 2005
– Potenza installata di energia eolica di 95,81 Gigawatt, 90 volte quella del 2005
– Potenza installata di energia solare di 28,05 Gigawatt, 400 volte di quella del 2005
– Potenza installata di energia nucleare di 19,88 Gigawatt, 2,9 volte di quella del 2005
Questi invece sono i 4 impegni volontari che la Cina si è incaricata di raggiungere
– Raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030, possibilmente anche in anticipo
– Ridurre le emissioni di CO2 per unità di Pil tra il 60 e il 65 per cento entro il 2030 rispetto ai livelli del 2005
– Aumentare la quota di energia non fossile nel mix energetico ad almeno il 20 per cento entro il 2030
– Aumentare il volume del legname nelle proprie foreste di almeno 4,5 miliardi di metri cubi rispetto ai livelli del 2005
Criticità dell’azione cinese
Se la Cina dunque fa sul serio per la riduzione delle emissioni, visti anche i danni economici conseguenti all’inquinamento, non mancano criticità da sottolineare nell’azione del governo di Pechino: in particolare essendo l’impegno alla riduzione delle emissioni non assoluto ma relativo alla crescita del Pil, potrebbe non essere sufficiente a spingere altri Paesi come Usa, l’intera Europa, ma anche governi restii alla riduzione come l’India, a compiere passi ancora più ambiziosi e che necessiterebbero essere messi in campo per scongiurare un fosco futuro del pianeta. Se la crescita economica nei prossimi 15 anni porterà ad una crescita del PIl inferiore a quella esplosiva registrata negli ultimi anni, le emissioni nel 2030 potrebbero essere anche del 20-30 per cento superiori a quelle attuali: da qui si deduce quanto sia spinoso il ruolo della Cina alla Cop 21, e l’importanza della partita politica che si giocherà dal prossimo 30 novembre in quel di Parigi.