Dopo l’entusiasmo a caldo al momento dell’approvazione dell’accordo siglato alla Cop21 di Parigi, possiamo ora cercare di fare un’analisi più approfondita delle decisioni prese alla Conferenza delle parti da parte dei negoziatori. Si è trattato davvero di una ‘svolta storica’, come dichiarato a più riprese da Hollande e gli altri statisti presenti all’appuntamento, oppure c’è più fumo che arrosto nelle 31 pagine uscite dopo 10 giorni di serrate trattative? Gli ambientalisti sono spaccati, ma è indubbio che non manchino punti critici ed interrogativi rispetto a quanto emerso dal testo pubblicato.
Va premesso che il punto di partenza delle trattative era tutt’altro che scontato, e il fatto che si sia raggiunta una sintesi politica ed economica tra prospettive così divergenti è da considerare una vittoria, tenendo conto della posizioni dei Paesi emergenti, soprattutto l’India, che non erano disposti a cedere di un millimetro sul fronte dell’uso dei combustibili fossili inquinanti, e con i Paesi occidentali che, oltre a doversi accollare la responsabilità principale dei cambiamenti climatici conseguenti alle emissioni di CO2, dovevano mettere mano al portafogli per compensare i Paesi in via di sviluppo che devono attuare una nuova e più sostenibile politica energetica. Tuttavia troppi obiettivi del testo sono affidati al buon senso dei governanti, a partire dall’auspicio di non oltrepassare 1,5 gradi di innalzamento della temperatura globale, così come ai singoli Paesi è affidata autonomamente la rendicontazione dei risultati raggiunti per l’azzeramento del carbone.
E poi c’è la questione delle verifiche: la prima verifica formale è rimandata al 2023, e poi ogni 5 anni, ma tali controlli serviranno più che altro ad avvisare i singoli Stati, che dovranno procedere a correttivi senza vincoli particolari. Inoltre il testo glissa sul risarcimento dovuto dai grandi inquinatori, limitandosi ad auspicare una cooperazione internazionale in merito. Inevitabilmente il testo uscito è un compromesso che non soddisfa pienamente tutti i nodi più urgenti, ma forse date le premesse davvero era difficile ottenere di più: il rischio di un fallimento come a Copenaghen era più elevato di quanto è stato raccontato dai media in queste settimane. Inoltre va sottolineato come l’ambiente non sia più visto come un tema secondario, e gli stessi padroni della politica e dell’economia internazionale paiono essersi resi conto che non può essere disgiunto e relegato in un angolo quando di parla di crescita economica e benessere dei cittadini. Affinché l’accordo raggiunto alla Cop21 di Parigi venga rispettato da tutti, senza deroghe, sarà necessaria la stretta vigilanza dell’opinione pubblica, associazioni ambientaliste in testa, sentinelle di un Potere che proverà certamente a barare e a truccare le carte in nome del proprio egoismo. La sfida è appena iniziata.
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