Da quando l’epidemia da Covid-19 ha investito l’intero pianeta, ci siamo chiesti più volte se la cosiddetta “immunità di gregge” possa rappresentare una valida soluzione.
Alcuni paesi, ad esempio la Svezia, hanno preferito nei mesi più difficili del contagio evitare il lockdown, puntando invece a raggiungere il più velocemente possibile una sorta di immunità tra l’intera popolazione, lasciando il virus libero di circolare. In merito alla questione si è espresso il virologo Roberto Burioni con un intervento pubblicato sul suo portale Medical Facts.
La prima domanda da porsi è: chi è guarito da Covid-19 è protetto da una successiva infezione? “È di ieri”, racconta Burioni, “la descrizione del primo caso certo di reinfezione negli Stati Uniti“. Un ragazzo di 25 anni del Nevada, senza alcun disturbo del sistema immune, si è reinfettato 28 giorni dopo la prima infezione.
“Possiamo essere ragionevolmente certi che si tratti di una nuova infezione e non di una mancata guarigione“, dal momento che le caratteristiche genetiche del primo e del secondo virus sono diverse. “L’elemento clinico degno di nota“, afferma Burioni, “è che la seconda infezione è stata molto più grave della prima, portando il paziente a un ricovero e alla necessità di ossigenoterapia“.
Secondo i dati riportati su Medical Facts, ad oggi sono circa 20 le reinfezioni ben documentate. “In un caso la paziente è deceduta in seguito al secondo contagio“, riferisce il virologo. Ma è anche importante evidenziare che si trattava “di una donna molta anziana e con gravissimi problemi di salute“, presenti prima dell’infezione virale.
Bisogna, inoltre, considerare che le reinfezioni asintomatiche potrebbero essere più frequenti e quindi “la protezione clinica fornita dalla prima infezione potrebbe essere molto più solida di quello che ci sembra“.
Difficile rispondere a questa domanda, dal momento che, come spiega Burioni, “bisogna quantificare il virus infettivo” e per farlo è necessario disporre di un laboratorio in cui poter lavorare in condizioni di massima sicurezza. “Ma almeno in qualche caso è ragionevole pensare che i reinfettati possano essere stati infettivi“, scrive il virologo su Medical Facts.
Secondo la rivista The Lancet, che Burioni cita alla fine del suo intervento, i casi di reinfezioni ci dicono una cosa molto chiara: “non possiamo affidarci all’immunità acquisita tramite l’infezione naturale per ottenere l’immunità di gregge“. Questa strategia non solo rischia di causare la morte di molte persone, ma potrebbe rivelarsi inefficace. “L’ottenimento dell’immunità di gregge richiede vaccini sicuri ed efficaci e una vaccinazione diffusa della popolazione“, conclude il virologo.
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