Nel pomeriggio di domenica 8 marzo si sono verificati numerosi episodi di violenza con detenuti che hanno protestato in diverse carceri d’Italia contro i provvedimenti introdotti dal governo per arginare la diffusione del coronavirus. Provvedimenti che riguardano le modalità di colloquio nelle carceri tra detenuti e familiari e che hanno scatenato numerose da nord a sud, in tutta Italia.
Con le nuove disposizioni per contenere l’emergenza Coronavirus sono scoppiate le tensioni e le rivolte in carcere. A dare la notizia nell’immediatezza dei fatti è stata l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) per voce del segretario generale Leo Beneduci. E anche il Sappe, sindacato di polizia Pentenziaria, nella persona del segretario generale Donato Capece.
Coronavirus, proteste nelle carceri
Le prime proteste dei detenuti si sono verificate negli istituti penitenziari di Salerno, Napoli Poggioreale, Modena, Frosinone, Alessandria San Michele, Foggia e Vercelli. Nella serata di domenica 8 marzo circa 150 detenuti hanno dato il via alla sommossa nel carcere di Reggio Emilia, dove non ci sarebbero feriti. A Foggia alcuni detenuti sono riusciti a evadere dopo aver danneggiato e dato fuoco a parte della struttura, ma sono stati bloccati quasi subito dalle forze dell’ordine. Negli scontri un carcerato è rimasto ferito alla testa ed è stato portato via in barella mentre a Pavia i detenuti hanno preso in ostaggio due agenti della polizia penitenziaria. In seguito a ciò, alcuni agenti di rinforzo sono partiti dalle carceri milanesi di San Vittore e Opera.
Aperta un’inchiesta per i morti a Modena
A Modena alcuni detenuti hanno dato fuoco ai locali della struttura, provocando un incendio che si è esteso e hanno così provato a darsi alla fuga. In seguito alla morte di tre detenuti è stata aperta un’inchiesta dalla Procura di Modena sulla rivolta scoppiata in carcere. Al momento i reati ipotizzati sono resistenza a pubblico ufficiale e violenza privata. Secondo le prime informazioni, le cause della morte dei tre detenuti sarebbe dovuta al fatto che, durante la rivolta, hanno occupato l’infermeria e hanno assunto un’overdose di farmaci.
Nello specifico, un detenuto sarebbe morto per abuso di sostanze oppioidi, un altro a causa di overdose da benzodiazepine. Un terzo è stato rinvenuto cianotico e si attendono altri esami per capire i motivi. Oltre ai tre morti, altri 18 detenuti sono stati portati in ospedale. Sei sono considerati più gravi, quattro sono in prognosi riservata, ricoverati in terapia intensiva. Quasi tutti hanno avuto una diagnosi di intossicazione. Ferite lievi anche per tre guardie e sette sanitari.
Sempre per un’overdose da psicofarmaci sarebbero morti altri due detenuti degli Istituti penitenziari di Verona e Alessandria. Anche loro, secondo quanto riferito dal segretario del Sapp, Aldo Di Giacomo, avrebbero approfittato delle proteste nelle carceri per sottrarre psicofarmaci dall’infermeria.
Continuano le proteste nelle carceri
Anche all’Ucciardone di Palermo, nella mattinata del 9 marzo, alcuni detenuti, per protesta contro la stretta alle visite in carcere per l’emergenza coronavirus, hanno tentato di scavalcare la recinzione cercando di fuggire. Il tentativo è stato bloccato dalla polizia penitenziaria, e il carcere è stato circondato da carabinieri e poliziotti in tenuta antisommossa. Dalla mattina di lunedì, poi, la rivolta riguarda anche il carcere di San Vittore a Milano, dove alcuni detenuti per protesta sono saliti sul tetto. Sul posto sono arrivate le volanti di Polizia. I sindacato riferiscono anche di tensioni nella struttura penitenziaria di Lecce. “Siamo impegnati a contenere le proteste come polizia penitenziaria”, fa sapere il Sappe, spiegando che c’è massima attenzione e che gli agenti sono pronti a fronte del rischio che le proteste possano degenerare in modo più violento.
L’appello di Antigone
Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, interviene al proposito: “Il nuovo decreto legge del governo per rispondere all’emergenza coronavirus contiene, nella parte relativa alla gestione degli istituti penitenziari, l’apertura a delle misure che avevamo sollecitato nei giorni scorsi riguardante l’aumento della durata delle telefonate e l’incentivo ad adottare misure alternative e di detenzione domiciliare“.
“Ci appelliamo dunque – prosegue Gonnella – a tutti i direttori delle carceri e a tutti i magistrati di sorveglianza affinché assicurino un contatto telefonico quotidiano dei detenuti con i propri famigliari e affinché più gente possibile, che sta scontando una parte finale della propria pena, possa accedere alle suddette misure alternative alla detenzione. E’ un grande sforzo – sottolinea il presidente di Antigone – che va fatto immediatamente, anche per allentare la tensione che sta crescendo negli istituti di pena, oltre che per riconoscere i diritti fondamentali“.
“Gli strumenti normativi ci sono – ricorda Patrizio Gonnella -. I direttori hanno come strumento sia il consiglio di disciplina che può proporre come premio l’accesso alla misura alternativa, sia gruppi di osservazione e trattamento allargato che possano proporre cumulativamente, per tutti i detenuti che hanno le caratteristiche per usufruirne, queste misure“.
E conclude: “Ci rivolgiamo ancora poi a tutti i magistrati di sorveglianza, anche attraverso le loro rappresentanze, affinché capiscano la situazione drammatica di questo momento e facciano uno sforzo nella concessione di misure di questo genere. Evitiamo che le carceri diventino luoghi di tensione e di sofferenza estrema, facciamolo nel nome dei diritti dei detenuti, dei loro parenti, ma anche del personale penitenziario“.