Un gruppo di ricercatori dell’Università di Washington, in collaborazione con l’Ospedale Sacco di Milano – con il Virologo Massimo Galli, Agostino Riva e Arianna Gabrieli – ha individuato due “super anticorpi” che potrebbero bloccare l’ingresso del Coronavirus nelle cellule.
Gli anticorpi agiscono con meccanismi diversi tra di loro e, se somministrati a piccole dosi, riuscirebbero a prevenire l’infezione del virus: lo studio è stato pubblicato su Science Magazine.
Per Massimo Galli, responsabile del reparto di malattie infettive dell’Ospedale Sacco di Milano, i nuovi anticorpi, denominati S2E12 e S2M11, sono “molto promettenti per i futuri sviluppi nella cura per il Coronavirus“.
I ricercatori sono riusciti a isolarli dopo aver analizzato circa 800 anticorpi su 12 pazienti guariti dall’infezione: il loro modo di agire è stato studiato a livello molecolare con un microscopio crioelettronico, che ha ricevuto il Premio Nobel per la Chimica nel 2017.
Grazie a questo sofisticatissimo macchinario è stato riscontrato che entrambi gli anticorpi sarebbero in grado di impedire al virus di legarsi al recettore Ace-2 delle cellule: l’anticorpo S2M11 sarebbe in grado di fermare la proteina Spike, usata dal virus per intaccare le cellule.
Oltre che a bloccare il virus, questi potenti anticorpi favoriscono la formazione di cellule immunitarie, fondamentali per contrastare il Coronavirus.
“Pensiamo che sfruttare meccanismi d’azione multipli, diversi e complementari permetta di avere più benefici nelle applicazioni cliniche. I nostri risultati aprono la strada al perfezionamento di anticorpi per la profilassi o la terapia, che potrebbero presentare il vantaggio di evitare o limitare la comparsa di virus“, hanno dichiarato gli autori dello studio.
L’infettivologo Galli ha aggiunto: “Sono stati isolati due anticorpi derivanti da altrettanti donatori. Ce ne sono almeno altri due al mondo, ma questi sono due in più e visto il loro potenziale terapeutico potrebbero essere riprodotti su larga scala“.
E ancora: “Se gli anticorpi funzionassero sarebbero un’evoluzione della terapia del plasma perché ne userebbero il principio attivo come cura. Il vaccino sarebbe preventivo ed è sempre meglio prevenire che curare“, ha sottolineato Galli. Che poi si è detto preoccupato per l’arrivo dell’influenza stagionale: “È un grande problema. Bisogna stare attenti e aumentare la capacità di fare tamponi“.
In base ai risultati ottenuti dallo studio, gli anticorpi monoclonali, rispetto ai vaccini, sarebbero più vantaggiosi: la loro efficacia permetterebbe di avere risultati immediati mentre la risposta immunitaria al vaccino potrebbe richiedere più tempo e un’eventuale richiamo dopo la prima somministrazione.
Per quanto riguarda la produzione degli anticorpi ne servirebbero dosi in quantità minore: l’elemento negativo, rispetto al vaccino, però, è il costo maggioritario e un’efficacia limitata nel tempo – alcune settimane contro i mesi o qualche anno del vaccino.
L’azienda Moderna ha pubblicato i dati della sperimentazione del suo vaccino sul New England Journal of Medicine – somministrato a volontari sopra i 55 anni – dimostrando che la risposta immunitaria è uguale a quella dei più giovani, con conseguenze quali l’indolenzimento e qualche linea di febbre. Negli Stati Uniti la situazione è cauta, in attesa di ulteriori informazioni dalla casa farmaceutica AstraZeneca, produttrice del vaccino di Oxford.
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