La Corte dei Conti lancia un allarme sul cuneo fiscale in Italia, dieci punti superiore alla media europea. Il dato è emerso nel Rapporto 2017 sul coordinamento della finanza pubblica, presentato a Roma dal presidente Arturo Martucci di Scarfizzi, in cui la Corte dei Conti indica l’eccessivo peso fiscale come uno dei maggiori problemi per l’economia italiana, in particolare nella lotta all’evasione fiscale e al contrasto all’economia sommersa. Tasse troppo alte, dunque, come certificano i magistrati contabili, per i lavoratori come per gli imprenditori, in un quadro economico dove il risanamento finanziario è reso “più faticoso” a causa di una dinamica del prodotto interno lordo meno pronunciata degli altri Paesi dell’area euro, ma comunque “necessario“, in particolare “considerando il maggior livello del debito“.
Il Rapporto 2017 certifica una situazione che i lavoratori e le imprese vedono tutti i giorni: in Italia le tasse sul lavoro sono troppo alte, ben al di sopra dei livelli europei. Come scrive la Corte dei Conti, infatti, “il cuneo fiscale, riferito alla situazione media di un dipendente dell’industria, colloca al livello più alto la differenza fra il costo del lavoro a carico dell’imprenditore e il reddito netto che rimane in busta paga al lavoratore: il 49% prelevato a titolo di contributi (su entrambi) e di imposte (a carico del lavoratore) eccede di ben 10 punti l’onere che si registra mediamente nel resto d’Europa“.
Se il peso fiscale sul singolo lavoratore è del 49%, per il medio imprenditore italiano il dato sale: secondo i magistrati contabili, si parla di “269 ore lavorative, il 55% in più di quanto richiesto al suo competitore europeo” per i soli “costi di adempimento degli obblighi tributari“.
La situazione peggiore è quella delle PMI, cuore dell’economia italiana e le più colpite dalla tassazione. “Il total tax rate stimato per un’impresa di medie dimensioni, testimonia di un carico fiscale complessivo (societario, contributivo, per tasse e imposte indirette) che penalizza l’operatore italiano in misura (64,8%) eccedente quasi 25 punti” rispetto alla media delle imprese europee.
Per di più, l’Italia si trova ad affrontare un percorso di risanamento economico più difficoltoso rispetto gli altri Paesi, ma costante, con una riduzione del debito progressivo, il che porta a un sollievo (seppur limitato) per le casse dello Stato. “La riduzione degli oneri per interessi ne compensa gli effetti sull’indebitamento, che rimane in prossimità del 3% del prodotto, la soglia fissata nel Trattato di Maastricht“, chiarisce la Corte dei Conti.
Il rispetto dei parametri però è stato particolarmente oneroso, visto che si inserisce in un contesto “di bassa crescita” e “di un’inflazione ben al di sotto degli obiettivi delle Autorità monetarie“: tutto ciò, “unito ad un costo medio che si mantiene comunque vicino al 3%“, ha portato a “un ulteriore aumento del debito che, a fine 2016, arriva al 132,6% del Pil“.
La ripresa comunque c’è, anche se ancora lenta e non sufficiente. “Nonostante le incertezze iniziali, l’andamento dell’economia italiana sembra aver segnato un’inversione di marcia verso un’espansione meno fragile e più qualitativa“, conclude il rapporto.
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