Nel complesso scenario della lotta all’Isis emerge sempre più con chiarezza il ruolo del PKK, stretto tra i miliziani dell’auto proclamato califfato e le bombe di Recep Tayyp Erdogan. La Turchia ha usato la guerra al terrorismo come scudo per bombardare le basi del PKK che, ancora oggi, è considerata un’organizzazione terroristica da Ankara, Stati Uniti e Unione Europea. Per Erdogan dunque, la lotta contro gli storici avversari politici è più importante di quella all’Isis. Sono i curdi il vero obiettivo del governo turco che non esita a usare armi e uomini per colpire i guerriglieri del PKK e delle altre formazioni curde (come i peshmerga e i combattenti dell’YPG) piuttosto che concentrare gli sforzi contro gli uomini di Abu Bakr al-Baghdadi. Ma cos’è il PKK e che ruolo ha nella lotta all’Isis?
Il PKK è l’acronimo del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (in curdo Partiya Karkerén Kurdistan) ed è una formazione di estrema sinistra che ha scelto la lotta armata per l’indipendenza del Kurdistan. Il contesto è quello della questione curda che rappresenta il vero problema per la Turchia di Erdogan e non solo per le mire indipendentiste.
Come altre formazioni legate alla lotta del Kurdistan, il PKK si presenta come un partito sì di sinistra ma con idee moderne aperte al femminismo e all’ecologia e basato oggi più sul municipalismo libertario di Murray Bookchin (la cosiddetta democrazia diretta tramite assemblee popolari in villaggi, paesi, quartieri e città, federate in una confederazione di municipalità libertarie) più che ai principi del marxismo-leninismo. Non è solo una questione territoriale: è soprattutto la visione politica così aperta a preoccupare l’attuale presidente turco, fautore della recente islamizzazione del paese.
Un guerrigliero del PKK accanto a un ritratto di Ocalan
Il PKK nasce da un’organizzazione maoista che si era opposta al golpe del 1971, ma è solo nel 1978, sotto la guida di Abdullah Ocalan, all’epoca studente di scienze politiche ad Ankara, e di suo fratello Osman, che diventa un partito a tutti gli effetti. L’ispirazione iniziale si rifà ai principi marxisti-leninisti che si uniscono alla lotta per la creazione di un Kurdistan indipendente.
La svolta arriva dopo il golpe dei militari del 1980 quando Ankara arriva a vietare l’uso della lingua curda, sia scritta che orale, oltre alla diffusione della stessa cultura curda. La violenza dei militari si accanisce contro i curdi e i partiti di sinistra: in tre anni vengono eseguite 89 condanne a morte, centinaia di militanti vengono arrestati e migliaia vennero indagati per una presunta “cospirazione” contro lo stato turco.
Il regime militare viene sconfitto nel 1984 ma il ritorno alla democratica sembra esserci solo sulla carta, con la presenza costante dell’esercito nei ruoli chiave dei partiti: mentre le altre formazioni curde (il PDK e l’UPK) si allineano alle decisione del governo centrale, il PKK decide di imbracciare la lotta armata con il solo obiettivo di un Kurdistan indipendente.
Nel 1993 raggiunge un accordo con gli altri due partiti indipendentisti curdi per una tregua in cambio di un negoziato di pace che preveda l’indipendenza dei curdi: il governo turco non solo non accetta ma continua l’opera di repressione con sempre più violenza.
La tomba di un giovane guerrigliero del PKK
C’è poi la vicenda di Ocalan, lo storico leader che arriva in Italia nel 1998 per fuggire alla cattura da parte del governo turco, chiedendo asilo politico: in Turchia c’è ancora la pena capitale ed esponenti dell’allora Rifondazione Comunista si fanno portavoce della sua richiesta. Ad assisterlo come legale c’è l’ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, ma il governo D’Alema non riesce a prendere posizione e, mentre sta ancora valutando la richiesta d’asilo, lo rimanda ad Ankara dove viene condannato a morte il 29 giugno 1999 per attività separatista armata, pena commutata all’ergastolo nel 2002 con l’abolizione della pena capitale nel paese.
Nonostante l’arresto del leader e l’oppressione continua da parte del governo turco (condannato tra l’altro nel 2004 dalla Corte europea per i diritti dell’uomo per il trattamento disumano riservato in carcere a Ocalan), il PKK non ha mai smesso di lottare per l’indipendenza del Kurdistan, imbracciando le armi contro i miliziani dell’Isis che hanno esteso il loro controllo ai territori curdi.
Come i peshmerga (combattenti del governo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, quindi sotto il controllo di Baghdad) e l’YPG (gruppo militare del Rojava, regione a nord della Siria dove si concentrano i curdi siriani), i combattenti del PKK sono il primo e spesso unico avamposto militare sul terreno, la vera opposizione all’avanzata dei terroristi, che respingono dai territori di quello che dovrebbe essere il loro Kurdistan indipendente e autonomo.