Il terremoto verificatosi in Turchia è ad oggi uno dei più potenti della storia. Ma cosa sarebbe accaduto se si fosse verificato in Italia (oppure cosa accadrebbe se dovesse verificarsi qui, che dir si voglia)? A questa domanda ha provato a rispondere Guido Ventura, Primo Ricercatore dell’INGV e associato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che ha anche parlato di quali sono le zone più a rischio nel Belpaese.
Maxar Technologies ha appena condiviso sul suo account Twitter le immagini satellitari che ritraggono Islahiye – una città ed un distretto della provincia di Gaziantep situata nella parte sud-est della Turchia – prima e dopo il sisma. Non sono questi video “da social”, no, il loro tenore è decisamente troppo tetro. Sì, perché quello verificatosi nel Paese – che ha raggiunto anche la Siria – è stato un sisma di portata elevatissima. Parliamo di 7.9 di magnitudo, che significa praticamente distruzione. E infatti, mentre il bilancio delle vittime sale sempre di più, le brutte notizie non smettono di arrivare: pare, infatti, che la scossa sia stata talmente potente da far spostare il suolo di circa tre metri nelle aree colpite. Nel frattempo, però, Guido Ventura, Primo Ricercatore dell’INGV e associato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), parlando con FanPage.it, ha ipotizzato cosa sarebbe accaduto se un evento simile si fosse verificato in Italia e ha anche affermato senza mezzi termini quali sono le zone più a rischio qui.
Il terremoto in Turchia
Lunedì 6 febbraio. Siamo in Turchia, sono le 2:17 (ora italiana). La terra inizia a muoversi: è in corso un terremoto violentissimo, uno di quelli destinati a essere ricordati come i più potenti di sempre, con una magnitudo di ben 7.9, che significa che è stato almeno dieci volte più potente di quello che si verificò quasi sette anni fa ad Amatrice, che molti di voi ricorderanno (alcuni come se fosse ieri).
L’epicentro secondo alcuni – precisamente secondo il servizio di emergenza turco Afad – è a Pazarcik, nella provincia di Kahramanmaras, secondo altri la provincia di Gaziantep. Poco cambia, perché quello che è certo è che la violenza della scossa è stata tale da invadere gran parte della Turchia Meridionale, per poi arrivare in Siria settentrionale, dove si registrano danni ingentissimi. Il Mediterraneo sembra inizialmente essere a rischio tsunami, tutto il mondo è in allerta, soprattutto i Paesi che vi si affacciano sopra. Il pericolo pare scampato, ma non basta per definirsi al sicuro. Per quello ci vorrà tempo, ci sono le scosse di assestamento, che saranno in tutto circa 120 e misureranno circa 6.0 di magnitudo, alcune anche un po’ di più.
Dal 1939 ad oggi non si era mai (fortunatamente) verificato alcun terremoto di tale portata. Il mondo intero è in apprensione, perché tutti sanno che quando si verifica un evento del genere i danni possono essere tanti da emergere poco a poco, uno ad uno, piano piano. Ad oggi il bilancio è questo: ci sono circa 5.200 vittime e più di 5mila edifici sono crollati (fermo restando che ancora moltissimi non sono stati ispezionati a fondo), tra i dispersi c’è un italiano, Angelo Zen, il suolo dell’Anatolia si è spostato di tre metri (essendosi il sisma verificato nel punto d’incontro della placca Est anatolica, di quella Arabica e dell’Africana ed essendosi attivata una delle due grandi faglie che attraversano la Turchia, quella Sud-Est anatolica, lungo la quale i due lembi del suolo si sono spostati).
C’è però una domanda che aleggia attualmente sull’Italia: cosa sarebbe successo se lo stesso identico terremoto si fosse verificato qui? A questa domanda ha risposto Guido Ventura, Primo Ricercatore dell’INGV e associato del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR).
Ecco cosa accadrebbe se in Italia si verificasse un evento simile
Parlando con FanPage.it, Guido Ventura ha espressamente osservato cosa sarebbe accaduto in Italia se si fosse verificato un terremoto della stessa magnitudo. Le sue parole sono state molto chiare: “Un terremoto di quella portata noi l’abbiamo avuto a Messina, come voi sapete nel 1908. Oltre a produrre danni enormi, con distruzione molto avanzata – se non totale – delle città di Reggio Calabria e Messina, ha anche innescato delle frane sottomarine, uno tsunami. Questi sono essenzialmente gli effetti di un terremoto di questa magnitudo in una zona come l’Italia. E soprattutto l’Italia meridionale, che appunto nella sua storia sismica ha avuto scosse di magnitudo comparabile a quella del terremoto in Turchia. Quindi danni notevoli, non solo alle zone urbane, ma a tutte le infrastrutture. Strade, ponti, elettrodotti, metanodotti, comunicazioni e chi più ne ha più ne metta. Questo è il quadro che si evince”.
Ma esattamente quali sono le zone più a rischio nel nostro Paese? Fermo restando che rispetto alla Turchia e alla Siria noi “siamo messi meglio”, decisamente, il “problema è che abbiamo un patrimonio storico e una parte rilevante dell’edificato che non è costruito con criteri antisismici”. Questo è accaduto per un motivo molto semplice: la maggior parte delle costruzioni risale a un’epoca antecedente alle leggi introdotte negli anni che dettano i criteri di costruzione del rischio sismico. Se, ad esempio, malauguratamente lo stesso identico evento si verificasse con ipocentro Roma (oppure dintorni), potrebbe verosimilmente essere devastante (ma dobbiamo specificare che non è affatto alta la probabilità che questo avvenga, quindi gli abitanti della capitale possono dormire sonni tranquilli).
Un altro dato abbastanza certo è che, se un terremoto della portata di quello succitato di Messina dovesse presentarsi nuovamente, potrebbe colpire con maggiori probabilità il Sud Italia, che “è una delle nostre zone a più elevato rischio”, fermo restando che, ad oggi, tra le zone maggiormente “in pericolo” nel Belpaese rientrano anche il Friuli e tutti gli Appennini centrali e meridionali,
Ma dove farebbe più danni nel nostro Paese un sisma di questa portata? “Il problema dei danni è un problema di rapporto fra l’energia dell’evento dove avviene e l’esposizione. Cioè quanto quella zona è abitata, quali infrastrutture ci sono, etc etc. È un doppio binario. Un terremoto come quello in Turchia in Antartide avrebbe effetti nulli. È il valore esposto che dà di fatto la potenzialità del danno”.
Mettere gli edifici in sicurezza potrebbe essere una soluzione (anche logica, ammettiamolo), ma siamo sicuri che sia possibile e non eccessivamente complesso farlo qui in Italia? Il problema è questo: il dilemma è aperto attualmente, perché non è chiaro quale sia a questo proposito la responsabilità dello Stato e quale dei privati e non si sa chi di loro dovrebbe intervenire.
Partendo dall’assunto di base che il succitato terremoto del 1908 portò alla morte di 125mila persone, sarebbe interessante capire anche se esiste una stima (almeno orientativa) della periodicità con cui eventi di questa portata si verificano. Pare, infatti, che dovrebbero accadere episodi analoghi una volta ogni 100 anni (circa). Del resto, a conti fatti è quello che è accaduto più o meno, considerando sempre che parliamo di una stima relativa e che in ogni caso “le probabilità che avvengano non sono elevatissime”, anche perché il numero dei terremoti in un determinato lasso di tempo e l’energia rilasciata da ognuno di loro pare essere inversamente proporzionale, ecco spiegato anche perché quelli così violenti sono così rari. Basti pensare che nel Belpaese vi sono praticamente ogni giorno scosse di magnitudo 1 e 2.
C’è poi un capitolo a parte (ma connesso) da aprire: i vulcani sottomarini lungo le coste dell’Italia, che sono considerati da molti una grandissima minaccia. Quello che non è ancora chiarissimo è un’eventuale relazione con i terremoti. A quanto pare la verità è questa: i vulcani sottomarini sono pericolosi perché possono determinare l’avvento di uno tsunami, “innescati dalle eruzioni, dall’instabilità dei versati, dai terremoti che avvengono anche a terra”. Consideriamo però che i due più grandi dell’area tirrenica, il Palinuro e il Marsili, non hanno segni di grossi eventi franosi e questo fa ben sperare per il futuro, anche se, come in tutte le cose, mai dire mai nella vita. Ecco perché questi vanno comunque monitorati periodicamente, fermo restando che farlo sotto il livello del mare è decisamente molto costoso (una nave oceanografica da sola costa ben 15mila Euro e questo la dice lunga) e che comunque gli studi in questo senso sono probabilmente meno “precisi” rispetto a quelli dei vulcani ad alta pericolosità, come il Vesuvio e Campi Flegrei, l’Etna.
Un’altra parentesi poi va aperta rispetto alla previsione dei terremoti: resta anche da capire, infatti, quando questi possa essere prevedibili e quanto, invece, sia tutto da affidare al caso. Qui Ventura ha cercato di essere estremamente chiaro: “Il discorso della previsione vuol dire stabilire dove – cioè in che zona – e quanto energetico. E ovviamente fare una stima del valore esposto. Ora quello che noi non possiamo fare è prevedere quando accadrà. Questo ancora non lo possiamo fare. Però noi sappiamo che ormai è ufficializzata una carta di esposizione, di rischio essenzialmente. Sappiamo quali sono le zone dove le accelerazioni sono tali da poter produrre delle distruzioni sul territorio. C’è una zonazione del territorio nazionale che è basata su moltissimi fattori. Sullo studio dei terremoti storici, sullo studio della sismicità attuale, sullo studio delle faglie, cioè delle fratture che sono sulla crosta”.
Quindi, riassumendo e semplificando il più possibile, ad oggi nessuno è in grado di stabilire esattamente dove ci sarà un terremoto, ma gli studiosi sanno quali sono le aree a rischio e ne conoscono anche l’entità.