La lunga lettera che Giorgia Meloni ha pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera sul 25 aprile e il 25 aprile sono una risposta, forse un pelino tardiva, della prima presidente del Consiglio donna della storia della Repubblica italiana, alle critiche di questi giorni al suo partito, Fratelli d’Italia, a uno dei suoi co-fondatori, che è anche la terza carica dello Stato, Ignazio La Russa.
Nelle tante parole che la premier ha utilizzato per ribadire quello che già Gianfranco Fini, domenica, aveva detto, ovvero che i valori della Resistenza, quindi la libertà, l’uguaglianza e la democrazia, sono valori anche della destra italiana, in cui lei stessa si rispecchia e si è rispecchiata nel momento in cui Alleanza nazionale, a Fiuggi, ha consegnato il fascismo alla storia, la premier ha sottolineato dei concetti, contrattaccando, che forse poco si sposano con il ruolo che ora ricopre. Perché utilizzare l’arma delle opposizioni è utile quando si è, appunto, all’opposizione non quando si governa un Paese. È finito il tempo in cui erano gli altri a sbagliare e a finire sulla graticola, è arrivato il momento, invece, di cercare di dare delle risposte concrete a quei problemi.
Ma limitiamo, ancora per un attimo, al discorso. In quel fiume di righe, Meloni si è dimenticata, ancora una volta, di parlare di “antifascismo“. Come nella Costituzione, come hanno ribadito alcuni dei suoi esponenti di partito, tra cui, appunto, la seconda carica dello Stato, nel lungo discorso della leader di Fratelli d’Italia non viene mai menzionata la parola, eppure l’ultimo presidente del Movimento sociale italiano, l’Msi di Giorgio Almirante di cui Fini è stato (o doveva essere) l’erede, aveva detto a Lucia Annunziata che non ci dovevano essere più ritrosie.
Ritrosie che, per altro, hanno scatenato un’ennesima polemica, perché dal Partito democratico di Elly Schlein, ancora non direttamente dalla segretaria, ma da chi le sta molto vicino come il presidente dei senatori dem, Francesco Boccia, o Sandro Ruotolo, il politico scelto dall’italo americana come responsabile della Cultura in direzione, in una sorta di governo ombra, questo passaggio non è sfuggito. E quindi è come se si fosse perso quel passaggio, come se la lettera non fosse bastata nei fatti a tacere le polemiche, anche in un giorno in cui Meloni, così come La Russa e anche l’altro co fondatore dello schieramento che guida, il ministro della Difesa, Guido Crosetto, e anche il presidente della Camera, Lorenzo Fontana (l’unico esponente della Lega presente) hanno affiancato il capo dello Stato, Sergio Mattarella, all’Altare della patria, a Roma.
La linea di Azione, con il leader Carlo Calenda, è stata un po’ diversa. A margine di una manifestazione in piazza del Pantheon a sostegno del popolo ucraino in occasione del 25 aprile, l’ex alleato di Matteo Renzi ha sottolineato come la premier potesse usare parole diverse, “ma io credo che oggi tutti ci riconosciamo nella libertà ottenuta con la sconfitta del nazifascismo a opera della Resistenza. Va fatto uno sforzo da parte di tutti, invece di sottolineare le divisioni, per cercare di rimetterle insieme“. Il focus del senatore romano piuttosto si è sposata nel criticare, ancora una volta, il presidente del Senato, e un po’ anche la sinistra, specie nel ricordare l’importanza di quello che si sta vivendo in Ucraina, appunto.
Questo passaggio, per altro, non è sfuggito neanche a Meloni, che ha ribadito l’importanza del sostegno al Paese di Volodymyr Zelensky, soprattutto contro una Russia post-comunista che però ancora si contrappone al gruppo della Nato, a cui l’Italia appartiene. Ma il tema dell’altro grande totalitarismo del Novecento, seppur mai esplicitato, è tornato frequente nella lettera al quotidiano della premier.
Assieme alla lotta e alla morte (di alcuni) dei partigiani, di tutte le confessioni, anche quelli monarchici e laici cattolici come la “patriota” come Paola Del Din, che è stata la prima donna paracadutista militare italiana e l’unica ad aver compiuto un lancio di guerra durante la Seconda Guerra Mondiale, Meloni ha ricordato anche chi ha perso la vita nelle foibe, a Istria, Fiume e Dalmazia, a opera di un comandante comunista come Tito, e ha tenuto a precisare anche che il fascismo non deve essere lo spauracchio da sventolare quando non si hanno argomenti.
Più concreta di lei, in fondo, è stato il presidente della Repubblica, che assieme a Crosetto (ancora) e al capo di Stato maggiore della Difesa, Giuseppe Cavo Dragone, a Cuneo, la città italiana che più si è spesa per la causa della Resistenza e lo dimostrano le medaglie al valore ricevute, ha saputo spiegare cosa significhi davvero il 25 aprile, la festa della Liberazione, un po’ la festa degli italiani, sicuramente di quelli che si rispecchiano nei valori che hanno fatto in modo che Benito Mussolini cadesse del tutto, e con lui il fascismo, e il nazismo, la privazione di ogni libertà, una festa per ricordare chi lo ha fatto senza contrapposizioni e senza doppiopesismo. Una festa di democrazia, e di antifascismo, che lei si è dimenticata di citare, con ritrosia, e forse anche con reticenza, come hanno detto dal Pd.
E allora lo diciamo noi, al posto di Meloni, che l’Italia lo è per definizione antifascista, lo è la Repubblica che lei ha avuto il compito di rappresentare in veste di presidente del Consiglio, lo è la Costituzione, su cui lei, e il suo governo, hanno giurato nel momento in cui hanno assunto i galloni di premier, ministri e sottosegretari vari, lo è lei, soprattutto. Nonostante prima di Fiuggi l’ombra non fosse stata levata, e quella fiamma di almirantiana memoria sia ancora parte integrante del simbolo del suo partito.
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