Il Mondiale è alle porte, mentre la stagione per le squadre di club entra nel vivo. La necessità di comprimere gli impegni in un calendario più breve, stretto e scomodo, ha già presentato il conto per molti calciatori. A due mesi dall’avvio del campionato di Serie A, i numeri sono sportivamente drammatici per le big, e non solo. Cerchiamo di capire le motivazioni degli stop forzati dal campo di gioco e i dati incontrovertibili con cui si ha a che fare. Ma soprattutto: è un problema che si può risolvere, adesso?
La stagione 2022/23 si può tranquillamente definire anomala, già se si pensa al suo inizio, la sua fine e soprattutto a ciò che c’è in mezzo. La presenza del Mondiale invernale, per la prima volta nella storia, in Qatar non è affatto semplice da gestire per le società che si trovano di fronte a un calendario congestionato e ricco di impegni, tra competizioni nazionali e coppe europee. Giocare così tante partite in periodi così brevi sulla carta è praticamente impossibile e infatti i dati sugli infortuni lo dimostrano.
Quando c’è il Mondiale tutto si ferma, in quell’atmosfera mistica e quel profumo di calcio che entra in ogni attimo della giornata. Che sia carioca, tango argentino, rigore tedesco, eleganza d’oltralpe, regalità britannica o, ahinoi, orgoglio italiano. Perché la massima competizioni per le Nazionali è così: si scontrano degli stili di vita, ancora più che il football in senso stretto.
A lavoro, in ascensore, con indosso il grembiule della cena, quel ritmo ti entra nelle ossa e prende il controllo. Onnipotente ed è anche giusto così per chi il calcio lo vive a 360 gradi, tanto da scandire la propria vita con la palla che gira. E poi è un fattore di popoli, di colori, di inni, e quindi, è anche il punto finale, di identità.
E tutto questo sta assumendo un valore e un profumo nuovo, quello che il Qatar, sede del Mondiale 2022 non può non dare, un po’ più di altri Paesi ospitanti. In primo luogo, per le modalità con cui si svolgerà la competizione, per la prima volta nella storia nei mesi invernali e non più nel caldo torrido e asfissiante, di drink, canotte, condizionatori e spiagge – per chi può – di giugno e luglio. E tralasciamo le questioni organizzative, l’allestimento degli stadi, che già tanti morti, polemiche e polveroni hanno sollevato nei mesi passati.
Il via è fissato il 20 novembre alle ore 18 italiane, quando si fronteggeranno Qatar e Ecuador, dopo la cerimonia inaugurale, ovviamente. Se già viviamo in un mondo del calcio che ha problemi a stopparsi per una settimana, lasciando spazio agli impegni delle Nazionali, pensate cosa voglia dire disputare un torneo di questa portata nel bel mezzo della stagione. Per i calciatori, soprattutto, che al Mondiale ci tengono e particolarmente, e qui torniamo al discorso dell’identità e del senso di appartanenza.
Un cocktail che, già in partenza, aveva una ricetta un po’ strampalata e che non sappiamo se sarà godibile o no, ma che intanto sta causando non pochi problemi ai protagonisti che ogni settimana infiammano i campi di tutta l’Italia e del mondo con le loro giocate. Beh, il discorso è semplice: i calciatori non sono delle macchine, neppure dei robot, ma sono uomini in carne e ossa, e il corpo non può reggere certi ritmi per molto. Le date prestabilite per la stagione attuale stanno assumendo sempre più le sembianze di un boomerang che sta tornando indietro alle Federazioni e agli attori in campo, ma anche alle stesse selezioni Nazionali.
L’equazione è piuttosto semplice e la matematica c’entra solo in parte. La Serie A ha avuto il via sabato 13 agosto, già in una data atipica rispetto agli altri anni, nel bel mezzo del mese più caldo dell’anno. Ciò ha comportato una serie di adattamenti rischiosi per i calciatori. Innanzitutto, la preparazione estiva ha avuto luogo in settimane ugualmente torride e con tempi particolari. In molti, tra cui l’Inter di Simone Inzaghi, hanno deciso di adeguarsi e giocare praticamente ogni tre giorni le amichevoli pre-campionato per adattarsi a quello che sarebbe successo di lì a poco, ma non è andata particolarmente bene.
Le performance fisiche di molti calciatori ne hanno risentito: sono state tante le partite giocate a ritmi bassi, per non dire soporiferi e comunque gli atleti hanno accusato il colpo. E poi c’è un discorso tattico e di calciomercato. Molti club si sono trovati a dover affrontare l’inizio di stagione con una rosa incompleta e a trattative ancora in corso, sapendo di subire nuovi stravolgimenti nei giorni che sarebbero seguiti. In più gli allenatori non hanno avuto tempi adeguati per sistemare e preparare le squadre secondo i loro dettami di gioco, e quindi hanno dovuto sperimentare un po’ in corso d’opera.
In Italia, inoltre, sono poche le squadre che hanno una rosa talmente profonda per effettuare costantemente un turnover strategico e proficuo. E anche le big si stanno trovando in difficoltà, Napoli a parte per il momento, nella gestione degli impegni europei, oltre a quelli in Italia. Riassumendo il tutto: giocare ogni tre giorni è sbagliato per la preparazione imposta e per la salute fisica degli atleti.
Il Mondiale ha già presentato il conto, quindi, ai club di Serie A. Dall’inizio ufficiale della stagione, sono già quasi cento – precisamente 95 – i calciatori che hanno accusato infortuni muscolari. Tra gli ultimi della lista, è impossibile non citare Ciro Immobile, capitano e realizzatore implacabile della Lazio di Maurizio Sarri, e un po’ prima Paulo Dybala, sempre per restare nella Capitale. La Joya alla fine dovrebbe farcela a presentarsi al Mondiale con l’Argentina, ma il suo stop è una mancanza importante per le ambizioni di José Mourinho e dei giallorossi.
Ancora, salendo un po’ più a Nord, è doveroso citare quanto successo a un gigante come Romelu Lukaku, che dopo le prime partite con l’Inter, si è fermato e potrebbe tornare in panchina, diverse settimane dopo, contro la Fiorentina. Sempre in previsione della più grande competizione per Nazionali, senza correre rischi. Infine, Angel Di Maria e Mike Maignan: se il portiere è alle prese con i tormenti del polpaccio e la Francia lo attende con ansia, il Fideo non ha mai nascosto che al Mondiale ci tiene particolarmente, ma il doppio infortunio accusato con la Juventus non è un buon presagio. Anche se il tempo per recuperare c’è tutto.
Un fattore che non si può ignorare è anche questo. Per quanto i calciatori stranieri possano tenerci alle sorti e ai successi del proprio club a inizio anno, non saranno mai paragonabili a una competizione in cui si rappresenta il proprio popolo, la propria famiglia e la propria storia. Che ti può capitare tre o quattro volte in carriera, o forse solo una, e vuoi disputare al massimo delle tue possibilità.
Ormai i tempi di una stagione infinita vanno accettati, che la Serie A, tra le altre cose, si chiuderà ai primi di giugno e neanche questo è normale. La sensazione, però, è che anche solo sotto il profilo degli infortuni, il peggio stia ancora arrivando o forse debba ancora venire, a tre settimane circa dalla fine della prima parte delle competizioni per club, se così vogliamo chiamarla.
Probabilmente gli allenatori dovrebbero preservare i loro titolarissimi, rischiando il meno possibile e attuando un turnover sistematico, con tutti i rischi del caso. Molte volte, però, sono anche le sensazioni dei calciatori a non dargli possibilità, che un campione, totalmente calato sul presente e sulla realtà del suo club, dal campo non vuole uscirci mai. Soprattutto se si tratta di un big match o se poco prima ha risuonato nelle orecchie e nel cuore la musichetta della Champions League.
Un compromesso tra i compromessi andrà trovato. Perché va bene dare priorità all’economia del calcio e non restare ancorati a dinamiche chiuse o standard, ma fino a quando il corpo degli atleti lo consente. Altrimenti, si rischia di andare in scena a teatro senza molti degli attori principali: una sconfitta per tutti.
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