L”Afghanistan sta attraversando un momento complicatissimo dove la popolazione è tornata nell’ incubo oppressione e povertà, ma le autorità governative sembrano interessate a reprime dissidenti e giornalisti piuttosto che ascoltare gli appelli internazionali sui diritti umani violati costantemente. Secondo l’Onu alcune donne afghane che lavoravano per l’organizzazione internazionale sono state detenute, molestate e hanno subito restrizioni di movimento, dopo che i talebani hanno vietato loro di lavorare per le Nazioni Unite. I vertici talebani dell’Afghanistan hanno comunicato ai funzionari, all’inizio del mese scorso, che le donne afghane impiegate nella missione non sarebbero più state autorizzate a lavorare.
Nel rapporto pubblicato martedì 9 maggio, le Nazioni Unite hanno dichiarato che questa è solo l’ultima di una serie di misure discriminatorie e illegali, messe in atto dalle autorità talebane per limitare la partecipazione delle donne e delle ragazze nella maggior parte degli aspetti della vita pubblica e quotidiana in Afghanistan. Le autorità continuano a reprimere le voci dissidenti, in particolare quelle che si esprimono sui diritti delle donne e delle ragazze.
Il rapporto delle Nazioni Unite ha citato diversi casi di arresti di attivisti per i diritti delle donne da parte delle autorità talebane. Questi includono l’arresto di quattro donne che hanno partecipato a una protesta a Kabul per chiedere l’accesso all’istruzione e al lavoro, del capo dell’organizzazione umanitaria PenPath, che cerca di riaprire le scuole per le ragazze, ma anche l’arresto di un’attivista per i diritti delle donne e del fratello arrestato nella provincia settentrionale di Takhar.
Viene precisato anche rilevato che alcuni attivisti afghani sono stati rilasciati, senza essere accusati, dopo essere stati, però, detenuti per lunghi periodi dai servizi di intelligence talebani.
Secondo la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan UNAMA, le misure discriminatorie e illegali, messe in atto dai talebani, avranno conseguenze disastrose sulle prospettive di prosperità, stabilità e pace dell’Afghanistan.
Le misure vanno infatti a limitare profondamente la partecipazione delle donne e delle ragazze alla vita pubblica e quotidiana del Paese, impedendo loro di accedere all’istruzione e al lavoro e minando, così, anche la loro capacità di contribuire alla società.
Ciò porterà, quasi sicuramente, ad un aumento della povertà e dell’instabilità in Afghanistan, ostacolando gli sforzi per raggiungere la pace e la prosperità a lungo termine.
Secondo il rapporto, sono stati individuati anche casi di uccisioni extragiudiziali di soggetti affiliati al precedente governo attuati per l’appunto delle forze talebane. È riportato il caso avvenuto il 5 marzo nella provincia meridionale di Kandahar, dove le forze talebane hanno arrestato un ex agente di polizia nella sua abitazione e poi gli hanno sparato uccidendolo. Nello stesso mese anche un ex ufficiale militare è stato ucciso da ignoti armati nella sua abitazione nella provincia settentrionale di Balkh.
Il rapporto delle Nazioni Unite ha anche evidenziato diversi stati arresti arbitrari e detenzioni di ex funzionari governativi e membri della Forza di sicurezza e difesa nazionale afgana nei mesi di febbraio, marzo e aprile.
Viene evidenziato inoltre che negli ultimi sei mesi in Afghanistan sono state attuate pubbliche fustigazioni nei confronti di 274 uomini, 58 donne e due ragazzi.
In risposta alle segnalazioni di pubbliche fustigazioni in Afghanistan, il ministero degli Esteri talebano ha affermato che le leggi del Paese sono conformi alle regole e alle linee guida islamiche e che la stragrande maggioranza degli afgani le segue.
I talebani hanno iniziato ad attuare nuovamente queste punizioni poco dopo il loro ritorno al potere quasi due anni fa, nonostante le prime promesse di un governo più moderato rispetto al loro precedente periodo di governo negli anni ’90.
Durante il loro primo regime, dal 1996 al 2001, i talebani avevano eseguito punizioni pubbliche e esecuzioni attraverso funzionari contro persone condannate per reati, spesso in luoghi di grandi dimensioni come stadi e luoghi di ritrovo.
Sostanzialmente gli eventi analizzati dall’Onu hanno mostrato povertà crescente e necessità di intervento da parte delle autorità internazionali, sia per quanto riguarda i diritti umanitari nei confronti delle donne costantemente prese di mira dai talebani, sia in merito all’attuale crisi economica che attraversa su larga scala l’Afghanistan e rende difficile la sopravvivenza per la popolazione.
La decisione del governo talebano di tornare ad imporre durissime leggi basate sulla Sharia e sul credo islamico, che risultano imprescindibili e inviolabili per le autorità governative, hanno rigettato nel buio più oscuro la popolazione che non riesce ad immaginare un futuro sereno e privo di emarginazione e soprusi.
Le parole dell’alto funzionario Onu Guterres, in merito alla questione, esprimono preoccupazione estrema per il popolo afghano e per le sorti future dello stesso.
È stato pianificato un percorso già da tempo, che potrebbe portare sollievo alla popolazione in Afghanistan ma necessita di un accordo con le autorità locali, che si dimostrano chiuse all’interno della loro idea politica legata all’islam che si contrappone alle forze occidentali.
Il piano di risposta umanitaria in Afghanistan per il 2023 è stato elaborato tra agosto e dicembre 2022, con l’intenzione di pubblicarlo a gennaio 2023. Tuttavia, il 24 dicembre 2022, il ministero dell’Economia delle autorità de facto ha emesso il decreto che vieta alle donne afghane di lavorare per le Ong. A causa di questa decisione i presidi del Comitato permanente inter-agenzie hanno deciso di interrompere parzialmente i programmi umanitari non urgenti per un mese. Poi una missione del Comitato è stata inviata in Afghanistan dal 22 al 26 gennaio 2023 per sostenere i negoziati con le autorità de facto e valutare i rischi operativi e le opportunità.
Dopo la missione nel paese si è verificata una “pausa operativa” che si è trasformata in un periodo di “prova operativa” sulla base di un concetto correlato di operazioni.
È stata decisa l’emissione del Piano di risposta umanitaria per il 2023 sulla base delle linee guida originarie, con l’incorporazione dei riferimenti al divieto e delle modifiche al contesto.
Il divieto della partecipazione femminile alla risposta umanitaria avrà conseguenze devastanti e di lunga durata per tutte le persone bisognose, ma soprattutto per le donne e le ragazze, che sono già le più vulnerabili della società.
Le donne chiedono di riavere il diritto di lavorare e sono una parte essenziale dell’azione umanitaria internazionale, la loro partecipazione è indispensabile per raggiungere le popolazioni bisognose in modo sicuro ed efficace con un’assistenza di alta qualità, sia che siano uomini, donne, ragazzi o ragazze.
La popolazione in Afghanistan dipende dal coinvolgimento delle operatrici umanitarie non solo per ricevere assistenza e servizi direttamente, ma anche per la garanzia di qualità e per la salvaguardia e l’impegno significativo che la loro presenza assicura.
Queste componenti sono fondamentali per garantire che l’assistenza e i servizi siano forniti in modo appropriato.
Il Team di coordinamento umanitario, insieme ad altri partner umanitari e sostenitori dei bisogni umani di base, ha sviluppato un quadro di monitoraggio e rendicontazione per riferire allo IASC sulla permissività dell’ambiente di accesso e delle autorizzazioni settoriali e locali, ma anche sulla capacità dei partner umanitari di operare in conformità con le raccomandazioni della Missione IASC e sul rispetto dei criteri minimi per le operazioni sotto l’impatto del divieto.
Le autorità internazionali stanno continuando a valutare l’impatto del divieto in tutti i settori e a impegnarsi con le autorità talebane a livello nazionale, regionale e provinciale per revocare il divieto. Sulla base dei risultati di questo monitoraggio verrà effettuata una revisione completa dell’operazione.
Il 2022 ha visto un massiccio deterioramento della situazione umanitaria e a livello di sicurezza in Afghanistan a causa degli cambiamenti politici, sociali ed economici e le prospettive per il 2023 rimangono altamente incerte e preoccupanti.
La governance limitata, soprattutto a livello nazionale, rappresenta una delle molte sfide che i funzionari umanitari (e non) dovranno affrontare per soddisfare i bisogni delle persone in Afghanistan.
La popolazione afghana, nel 2022 superava i 43 milioni, ed è composta dal 49% di donne e ragazze e si tratta di una delle più alte popolazioni giovanili del mondo, con il 47% della popolazione sotto i 15 anni.
Si prevede una crescita del 2,3% annuo, uno dei tassi più alti della regione, il che significa che le crisi ambientali, economiche e di protezione, soprattutto per le donne e le ragazze, avranno impatti di vasta portata e potenzialmente catastrofici in futuro.
La crescita della popolazione, così come gli sfollamenti interni e la migrazione, l’alto tasso di rimpatri stanno mettendo una maggiore pressione sulle risorse limitate, le opportunità di sostentamento e i servizi di base, oltre ad aumentare i rischi di protezione, in particolare per i soggetti più a rischio, tra cui le donne e le ragazze.
Di recente si è mostrata una tendenza tra le autorità mediorientali al riavvicinamento verso le autorità afghane e, soprattutto, nei confronti del governo talebano che, nonostante abbia avuto il via libera per riprendere il comando del Paese, aveva il compito di rispettare diritti umani, soprattutto nei confronti delle donne e non ha mantenuto la parola e così si è generato un meccanismo che ha visto limitate gli aiuti monetari da parte degli Stati Uniti e alleati, che si è tramutato poi in una profonda crisi economica ed umanitaria, che non è stata gestita dalle autorità governative in maniera adeguata, presumibilmente data la pica esperienza, e stando a quanto riferito dall’Onu non hanno saputo riequilibrare e gestire una situazione obiettivamente difficile e precaria, che proprio per questo, va presa di petto per cercare di non far sprofondare del tutto bel baratro l’Afghanistan.
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