Risale a 50 anni l’omicidio di un poliziotto di soli 22 anni, colpito da una bomba a mano durante una manifestazione a Milano.
Questo evento è ricordato come il Giovedì nero e a quelle proteste di stampo fascista parteciparono anche Ignazio La Russa e suo fratello Romano.
Bisogna tornare indietro nel tempo per capire gli eventi che portarono alla protesta di Milano conosciuta come il Giovedì nero. Era il 12 aprile del 1973 quando una manifestazione fascista che si tenne proprio in questa città, organizzata dal partito di destra Movimento Sociale Italiano, provocò la morte di un ragazzo di 22 anni.
Oltre al MSI partecipò anche il Fronte della Gioventù, ossia lo schieramento giovanile del medesimo partito. L’obiettivo era quello di far sentire la propria voce contro la cosiddetta violenza rossa, ovvero i comunisti. Proprio la stampa affibbiò il nome di Giovedì nero a quel 12 aprile che rimase nella storia per la violenza che si fece avanti nonostante all’ultimo momento la questura aveva reso la decisione di non autorizzare la manifestazione neofascista, che invece fino a pochi giorni prima era data per certa.
Il prefetto Libero Mazza vietò la protesta per motivi di ordine pubblico, infatti i gruppi istigavano alla violenza e la questura voleva evitare atti criminosi, anche perché alla parata avrebbero preso parte anche estremisti della destra eversiva del calibro di Ordine Nuovo, Lotta di Popolo e Avanguardia Nazionale, con membri che provenivano da tutta Italia.
I manifestanti divennero ancora più agguerriti dopo aver appreso del blocco dell’ultimo minuto, che suonò per loro come un tentativo di metterli a tacere, così alle 17,30 si radunarono ugualmente e come abbiamo detto c’era fra loro una presenza importante, ovvero quella di Ignazio La Russa che all’epoca guidava il Movimento Giovanile in Lombardia. Oltre a lui c’erano i parlamentari Francesco Petronio e Franco Servello.
Cominciò la marcia e ci furono durante la parata molti atti violenti e di teppismo, per questo motivo scesero in campo i reparti mobili della polizia di Stato che hanno proprio lo scopo di intervenire per la tutela dell’ordine pubblico. Fra gli agenti c’era Antonio Marino, 22enne che morì colpito al petto da una bomba a mano SRCM Mod. 35. Attualmente questo ordigno è in dotazione all’esercito italiano ma adesso come allora non era possibile che dei civili ne avessero accesso per gli ingenti danni che poteva creare. Ne furono lanciate due all’altezza di via Bellotti, in direzione delle forze dell’ordine impegnate sul campo. La prima ferì un passante e un poliziotto, mentre la seconda causò una vittima.
Altri agenti vennero colpiti dalle schegge ma l’unico a morire fu il casertano Antonio Marino, che era diventato poliziotto da pochi anni.
A spingere la questura a bloccare questa manifestazione erano stati diversi fattori, si era osservato infatti che i neofascisti avevano un modo di agire molto violento e si scagliavano contro chi veniva considerato di sinistra a causa dell’abbigliamento o dei giornali che leggeva. Insomma un massiccio gruppo di criminali politici che potremmo considerare come gli ultras di oggi, che invece che vivere il calcio in maniera sportiva si danno addirittura appuntamento per darsele di santa ragione.
Lo stesso valeva in quegli anni fra fascismo e comunismo ma ci fu un episodio molto grave in particolare, che portò il prefetto di Milano a vietare quella parata. Alcuni militanti di un gruppo chiamato “La Fenice”, pochi giorni prima avevano cercato di fare un attentato sul treno direttissimo Torino-Roma. C’è un nome dietro a questo gesto ed è quello di Nico Azzi, milanese legato a Ordine Nuovo che posizionò un ordigno esplosivo sul treno ma lo innescò in maniera errata e il tritolo esplose in parte. Mentre stava posizionando la bomba una piccola quantità della sostanza gli provocò lesioni permanenti a un gamba e così venne identificato e bloccato dalle forze dell’ordine, sebbene l’intento suo e dei suoi complici era quello di far credere che l’attentato fosse stato compiuto da gruppi di sinistra, infatti tutti viaggiavano quel giorno con in bella vista il giornale comunista Lotta Continua.
Insomma le il Giovedì nero di Milano fu un evento gravissimo dato dal fatto che queste persone trasgredirono gli ordini di divieto provocando più di quanto ci si aspettava, ovvero una vittima, le cui immagini del corpo riverso a terra hanno rimbalzato sui giornali per giorni e di nuovo oggi in occasione dell’anniversario.
Delle immagini in bianco e nero, mute e dolorose che però parlano più di ogni altra cosa e si tingono del sangue di chi stava solo facendo il suo lavoro e ha trovato la morte in giovane età. Antonio era poco più di un ragazzo ed è terribile che il suo senso di dovere e giustizia abbia trovato un tragico punto in quel giorno passato alla storia come uno dei più violenti dal punto di vista delle manifestazioni politiche.
Già il giorno successivo il Movimento Sociale Italiano cercò di prendere le distanze da quanto accaduto, mettendo addirittura una taglia di 50mila lire su chi avesse fornito informazioni utili per capire chi erano i colpevoli della morte dell’agente e in generale del lancio delle bombe. La sera stessa venne fuori la verità e i nomi di Vittorio Loi e Maurizio Murelli diventarono famosi in tutta Italia.
Dopo il corteo vennero trovate bombe molotov, caschi e mazze sparsi ovunque e secondo quanto ricostruito dalle indagini, i disordini erano in programma da molto tempo.
Oltre ai militanti fascisti Maurizio Murelli di 19 anni e Vittorio Loi di 21 anni, le indagini coinvolsero altre persone come diversi dirigenti del Movimento Sociale e anche i fratelli La Russa. C’erano anche Mario Di Giovanni e Cesare Ferri, quest’ultimo inizialmente imputato per la strage di piazza della Loggia e poi assolto.
Ci furono provvedimenti diversi per ognuno ma la pena maggiore fu verso i due esecutori materiali, che vennero condannati a 18 e 19 anni di carcere. Con loro anche Nico Azzi che venne condannato a due anni per aver fornito le bombe. Rinviato a giudizio Romano La Russa e archiviati i procedimenti contro il fratello e altri dirigenti. La famiglia di Marino ricevette un risarcimento di 22 milioni di lire.
In un primo momento il MSI tentò di scaricare questi nomi che erano ormai diventati scomodi per l’immagine del partito ma le prove erano evidenti e anche il collegamento, così si impegnò per finanziare i soldi da dare alla famiglia dell’agente ucciso.
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