Con l’abbandono di Kherson da parte delle truppe di Vladimir Putin, sembrava che si fosse vicini all’inizio della fine del conflitto tra Russia e Ucraina. Persino oggi, il presidente Volodymyr Zelensky, in video collegamento al G20 di Bali, aveva dato degli spiragli in questo senso, peccato che non avesse fatto i conti con le scelte di Mosca.
Il lancio dei cento missili sul territorio ucraino può essere considerati, infatti, un segnale inequivocabile di quella che sia la volontà del numero uno del Cremlino: proseguire a oltranza la guerra fin quando non la si vincerà. Che sia una speranza vana o meno, la situazione sembrava essersi ulteriormente complicata perché due di quei cento missili, secondo le notizie trapelate, erano finiti nel territorio della Polonia, addirittura uccidendo due persone, avevano detto.
Da qui la possibilità, dunque, di un ingresso diretto nel conflitto da parte della Nato, di cui i polacchi fanno parte, secondo quanto previsto dall’articolo 5 del Trattato. Ma cosa dice nel concreto? Ci sarebbe potuta veramente essere la possibilità che la guerra si allargasse oltre i confini del Paese di Zelensky?
Secondo l’Associated Press, due dei cento missili che la Russia ha lanciato sul territorio dell’Ucraina per dare un segnale che no, la guerra non finirà fino a quando non saranno loro, in particolare Vladimir Putin a decidere – e in un giorno particolare come quello che vede i capi di Stato e di governo delle maggiori venti potenze al mondo riuniti a Bali per il G20 -, sarebbero finiti in Polonia, addirittura uccidendo due persone.
Da Mosca negano qualsiasi coinvolgimento, e anche i media polacchi, nello specifico il giornalista che per primo aveva dato la notizia dei missili che avevano colpito un Paese della Nato, hanno ridimensionato quello che è successo. Mariusz Gierszewski, su Twitter, ha spiegato che, secondo le sue fonti di emergenza, “quello che ha colpito Przewowo sono stati molto probabilmente i resti di un missili abbattuto dalle forze armate ucraine“.
Il peggio, però, non è ancora scongiurato, soprattutto per una possibile escalation del conflitto a livello mondiale. Alla Tass, l’agenzia russa, una fonte diplomatica nella missione di un Paese europeo a Bruxelles, infatti, ha spiegato che “la reazione della Nato dipenderà da chi li ha lanciati” e quindi anche dalle dichiarazioni della Polonia su chi siano i proprietari dei razzi, che potrebbero essere tanto missili russi, quanto razzi di difesa aerea ucraini.
Ma anche nel caso in cui, effettivamente, si accertasse che la Russia (più o meno involontariamente) abbia attaccato la Polonia, l’articolo 5 del Trattato Nord Atlantico, siglato nel 1949, quindi della Nato, non parla di un contrattacco, peggio di un’entrata in guerra da parte dei Paesi che fanno parte dell’alleanza.
Partendo dal presupposto che “le parti convengono che un attacco armato contro uno o più di loro in Europa o Nord America sarà considerato un attacco contro tutti loro” renda automatico che tutti gli altri Stati, “nell’esercizio del diritto di legittima difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti così attaccate intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria“. Non necessariamente, però, l’uso della forza armata, consentito sì, ma non automatico, questo.
L’obiettivo di “ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale” potrebbe quindi passare da un contrattacco come no, a deciderlo sarà il Consiglio di sicurezza, che poi avrà anche il compito di stabilire se e quando ritiene che le misure adottate siano sufficienti per riavere la pace e la sicurezza internazionali.
A marzo scorso il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in questo senso aveva ribadito all’omologo polacco, Andrzej Duda, riferendosi proprio all’articolo 5 del Trattato, che costituisce un “vincolo sacro“.
Che si possano dormire sonni tranquilli è scongiurato, perché quella bandiera bianca alzata a Kherson tutto voleva dire tranne che Putin era pronto a negoziare con Zelensky (e con i Paesi della Nato che foraggiano di armi il presidente ucraino), ma ecco non è neanche così scontato che, a prescindere dal fatto che i missili siano russi o meno, si arrivi a una terza guerra mondiale.
Che non farebbe comodo a nessuno, specialmente a Mosca già martoriata dalle perdite e che deve fare i conti anche con crescenti divisioni interne causata da un conflitto che non è andato finora come previsto, che sta causando, inoltre, anche gravi danni economici agli oligarchi e sta fomentando chi, invece, vorrebbe ricorrere al nucleare o ad attacchi ancora più aggressivi per tentare di tornare in vantaggio sull’Ucraina una volta per tutte.
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