“Rischio buste”. “Il destino del calciatore Tizio sarà deciso alle buste”. I meno esperti si domanderanno cosa sono queste ‘buste’, a cosa servono e perché sono così importanti da decidere addirittura il destino e la carriera di un giocatore di calcio. Cerchiamo di scoprirlo, anticipando che le buste in realtà sono state abolite il 30 giugno del 2015, quando anche l’Italia si è adeguata al resto d’Europa abolendo le compartecipazioni.
Le buste nel calciomercato sono state utilizzate quando due società avevano la proprietà del cartellino di un calciatore e, alla scadenza, non trovavano una soluzione su chi dovesse tenere il giocatore. A questo punto, l’unica cosa da fare era presentare un’offerta per il cartellino stesso, in busta sigillata. Alla scadenza, le buste venivano aperte e il calciatore veniva acquistato dalla Società che aveva offerto più soldi. Qualora entrambi i club avessero offerta la stessa cifra, il cartellino finiva all’ultima squadra di cui il giocatore aveva fatto parte.
L’atto finale di una comproprietà
In parole povere, le buste erano l’atto finale di una comproprietà, meccanismo unico in Italia e che non c’è mai stato in nessun altro Paese estero. Un calciatore era in comproprietà quando il suo cartellino era a metà tra due squadre. Una volta risolta la comproprietà, chi aveva fatto l’offerta più alta si teneva (o si prendeva) il giocatore e l’altro club riceveva i soldi che erano stati offerti nella busta.
A permettere l’utilizzo delle comproprietà le ‘Norme organizzative interne’ della Figc. L’articolo 102 bis era in particolare dedicato al ‘diritto di partecipazione’ delle Società: nei nove commi veniva spiegato che le compartecipazioni potevano durare uno o al massimo due anni, che le due Società poteva accordarsi per prestare il giocatore a una terza Società (ricavandone anche dei soldi) e che il contratto poteva essere risolto a favore di una o dell’altra squadra nei periodi di calciomercato.
Entrambe le società, specificava il comma 9, potevano cedere la propria quota – sempre e solo del 50 per cento – a un’altra società. Alla fine del contratto le due società coinvolte erano obbligate a ‘risolverlo’ fra di loro, cioè a comprare l’altra metà del giocatore, o a vendere la propria. Nel caso non riuscissero a raggiungere un accordo sulle cifre dell’acquisto, “le parti devono provvedere a depositare, presso la Lega competente, la propria offerta in busta chiusa, ai fini della definizione del rapporto sulla base dell’offerta più elevata”. Nel caso in cui l’offerta fosse uguale, il giocatore rimaneva nella squadra dove aveva disputato l’ultima stagione.
Le ultime comproprietà
Resteranno nella storia, in quanto ultime compartecipazioni, quelle risolte il 30 giugno 2015. Ben 69 calciatori sono passati da una squadra all’altra con l’offerta in busta. Tra loro, Benassi – passato al Torino per 3,5 milioni di euro; Verdi, tornato al Milan per 2,5 milioni di euro; Defrel, per cui sono stati offerti 51 mila euro dal Cesena; Berardi, che è rimasto al Sassuolo, Boakye all’Atalanta, De Silvestri alla Sampdoria con un milione alla Fiorentina, Jorginho al Napoli (e quattro milioni al Verona). La Roma ha salutato Antei, Caprari e Barba, prendendo Politano (601 mila euro l’offerta giallorossa, 600 mila i soldi messi in busta dal Pescara).
Su Radja Nainggolan Roma e Cagliari sono riuscite a mettersi d’accordo prima della scadenza. E il giocatore è rimasto nella capitale. Domenico Berardi, invece, è rimasto al Sassuolo con la Juventus che ancora oggi monitora la situazione. Il Genoa ha riscattato Bertolacci, che successivamente verrà ceduto.
E ora?
Le società italiane navigano a vista dopo la fine dell’era delle comproprietà. Qualcuno suggerisce di seguire l’esempio di Paesi come il Brasile o il Portogallo o la Spagna dove la cessione di parte del cartellino di un giocatore è permessa a un fondo di investimento o a una persona terza (solitamente l’agente del calciatore). Il ‘Guardian’, nel 2013, ha stabilito che una cifra tra il 27 e il 36 per cento dei calciatori di squadre portoghesi è controllato da “terze parti”.
In Inghilterra, questa pratica è stata messa fuori legge nel 2008 dopo il passaggio – nel 2006 – di Tevez e Mascherano dal Corinthians al West Ham. Perché? Perché si scoprì che anche dopo il trasferimento, un fondo di investimento poco trasparente e riconducibile all’agente dei due argentini deteneva ancora parte del cartellino e aveva stabilito diverse clausole a proprio favore. L’allora capo del sindacato dei calciatori britannici definì la pratica “una specie di mercato degli esseri umani”.
Forse, allora, meglio la strada della ‘recompra’, molto utilizzata in Spagna. Più precisamente, la cessione con diritto di riacquisto. Quello che è capitato tra Juventus e Real Madrid su Alvaro Morata. Gli spagnoli hanno ceduto l’attaccante ai bianconeri per una cifra, stabilendone un’altra a cui lo avrebbero ricomprato due anni dopo. E così è stato.
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