Colpo di scena in Birmania nel tormentato percorso di transizione democratica del Paese. Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace e leader della Lega Nazionale per la Democrazia, è stata graziata dalla giunta militare attualmente al potere. Si tratta tuttavia di una grazia parziale, che non equivale alla piena riabilitazione politica ne all’esaurimento totale della pena.
Suu Kyi sta scontando un’ultima condanna a quattro anni di reclusione, comminata nel dicembre scorso con l’accusa di incitamento contro i militari e violazione delle norme Covid. La grazia riguarda soltanto la prima imputazione. L’ex Consigliere di Stato, arrestata dopo il colpo di stato del febbraio 2021 che ha posto fine al difficile percorso democratico del Paese e sono previsti gli arresti fino al termine della seconda condanna, nell’agosto 2023, almeno fino ad ora.
Per Suu Kyi, 78 anni, icona della resistenza contro la dittatura militare, si tratta dell’ennesima persecuzione giudiziaria. Le autorità del Myanmar, più precisamente il generale Min Aung Hlaing, ha, nel contempo, esteso di sei mesi lo stato di emergenza imposto dopo il golpe, confermando la stretta autoritaria del regime. Il percorso verso la democrazia appare ancora in salita e la situazione non attuale non dà certezze.
Svolta parziale in Birmania nel tormentato percorso verso la democrazia. L’esercito, che governa il Paese con il pugno di ferro dopo il colpo di stato del 2021, ha concesso la grazia ad Aung San Suu Kyi per cinque delle 19 accuse che le sono state rivolte dalla giunta militare.
La Premio Nobel, agli arresti dal golpe, era stata condannata complessivamente a 33 anni di carcere con varie accuse politiche. La grazia rientra in un’amnistia programmata in precedenza e vede coinvolti oltre 7000 detenuti graziati in occasione della Pasqua buddista.
Un gesto significativo ma non risolutivo, che però fa ben sperare e riapre uno spiraglio democratico nel Paese anche se gli analisti suggeriscono che questo non influirà sulla linea politica attuale perseguita dalle autorità militari.
Suu Kyi, leader della Lega Nazionale per la Democrazia, è stata tenuta in carcere e il regime militare non ha mostrato aperture verso un reale processo di democratizzazione. Il percorso politico del Myanmar resta pieno di ostacoli e di instabilità.
Nonostante la grazia parziale, la situazione dell’ex leader birmana Aung San Suu Kyi rimane complessa. Come riferito da fonti informate all’agenzia Reuters, la Premio Nobel per la Pace rimarrà agli arresti domiciliari nonostante l’amnistia riguardi cinque delle 19 accuse a suo carico, per le quali era stata condannata a 33 anni di reclusione.
Suu Kyi è detenuta dal colpo di stato militare del febbraio 2021 che ha posto fine al difficile percorso democratico del Paese. L’ex Consigliera di Stato sta appellando tutte le sentenze ed è in attesa di processo per altri 14 capi d’imputazione.
La grazia parziale sembra quindi un gesto politico della giunta militare, che governa il Paese con pugno di ferro, più che una reale apertura. Il travagliato percorso verso la democrazia della Birmania, guidato per anni dall’icona Suu Kyi sembra non essere giunto al termine e la democrazia è sempre più lontana.
Aung San Suu Kyi è figlia del rivoluzionario per l’indipendenza birmana Aung San. Viene posta per la prima volta agli arresti domiciliari nel 1989, dopo imponenti proteste contro decenni di governo militare.
Nel 1991 vince il Premio Nobel per la pace per la sua campagna per la democrazia e viene rilasciata completamente solo nel 2010. La sua Lega Nazionale per la Democrazia vince poi le elezioni del 2015, tenute nell’ambito di tentativi di riforma dell’esercito.
Trionfa nuovamente alle elezioni del 2020, ma i militari denunciano brogli elettorali e con un colpo di stato riprendono il potere nel febbraio 2021 per indagare sul voto, incarcerando di nuovo Suu Kyi.
Icona democratica, ha dedicato la vita alla difficile transizione del Myanmar, sempre sotto accusa e prigioniera della repressione militare.
Il golpe militare del febbraio 2021 ha fatto precipitare il Myanmar nel caos. Le forze di sicurezza hanno usato violenza letale contro i manifestanti pacifici, dando il via ad un conflitto armato contro chi si oppone al regime.
Secondo un gruppo locale di monitoraggio, la repressione ha causato finora oltre 3800 morti. Inoltre, gli scontri tra milizie militari e ribelli hanno provocato lo sfollamento di oltre 1,6 milioni di persone in tutto il Paese.
Un bilancio drammatico che testimonia la deriva violenta presa dalla giunta militare, con pesanti violazioni dei diritti umani. Il percorso verso la democrazia appare ancora irto di ostacoli e difficoltà per il popolo birmano.
Anche il ministro degli Esteri italiano ha voluto dedicare un pensiero alla politica controcorrente.
Il ministro Tajani ha dichiarato in merito alla grazia parziale della donna che: “La grazia a San Suu Kyi è il più bel finale dopo anni di battaglie per la sua libertà”.
Tajani ha definito la grazia “il finale più bello“e ha ricordato il suo incontro con Suu Kyi di 10 anni fa in Myanmar. Il capo della diplomazia italiana ha lodato la Premio Nobel per la Pace, descrivendola come una “donna coraggiosa e autorevole da sempre in prima linea per la salvaguardia della democrazia e dei diritti umani”.
Parole di apprezzamento per una leader iconica, che Tajani evidentemente conosce personalmente. L’auspicio è che la grazia possa rappresentare un primo passo, seppur limitato, verso il rispetto dei diritti e delle libertà in Birmania dopo il golpe militare del 2021.
Aung San Suu Kyi è la figlia del generale Aung San, eroe dell’indipendenza birmana. Dopo aver trascorso gli anni della giovinezza all’estero, torna in patria nel 1988, nel pieno delle rivolte contro la dittatura militare. Diventa ben presto il simbolo della resistenza non violenta contro il regime, a capo del movimento pro-democrazia. Nel 1989 viene posta per la prima volta agli arresti domiciliari, dove rimarrà per 15 anni, diventando un’icona della lotta per la democrazia. Nel 1991 le viene assegnato il Premio Nobel per la pace, a riconoscimento del suo impegno pacifico contro l’oppressione.
Rilasciata nel 2010, conduce la Lega Nazionale per la Democrazia alla vittoria nelle elezioni del 2015. Dopo il colpo di stato militare del 2021 viene nuovamente arrestata e condannata, restando un punto di riferimento per le aspirazioni democratiche del popolo birmano. La sua vita è stata dedicata alla causa della libertà e della democrazia in Birmania.
Aung San, padre di Aung San Suu Kyi, è considerato l’eroe dell’indipendenza birmana. L’uomo guidò il movimento per l’indipendenza della Birmania dal dominio coloniale britannico. Nel 1947 firmò con il governo britannico l’Accordo di Panglong, che prevedeva l’indipendenza della Birmania entro un anno.
Pur essendo inizialmente alleato dei giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale, cambiò posizione sostenendo gli alleati e contribuendo a sconfiggere l’occupazione giapponese in Birmania.
Aung San fu il principale fondatore dell’Esercito Birmano e della Lega Anti-Fascista, che svolse un ruolo chiave nel processo di decolonizzazione.
Nel 1947 divenne Presidente del Consiglio dei ministri dell’ultimo governo coloniale britannico. Venne però assassinato lo stesso anno, pochi mesi prima dell’indipendenza della Birmania nel 1948.
Rimane un’icona dell’indipendenza e dell’identità nazionale birmana. Sua figlia, Aung San Suu Kyi, ha seguito le sue orme nella lotta per la democrazia.
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