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Cosa sta succendendo a Hong kong? Lo sciopero degli studenti è diventato un pretesto per migliaia di persone che hanno deciso di mobilitarsi in favore della democrazia. I manifestanti hanno deciso di protestare scendendo in piazza per chiedere e ottenere elezioni libere nel 2017 senza nessuna imposizione da parte della Cina. Gli studenti e gli altri manifestanti chiedono a Pechino di concedere vere riforme democratiche. Così stanno continuando a rioccupare le strade appena sgomberate, allargando la protesta anche ad altre parti della città. La lotta per la democrazia a Hong Kong non è iniziata in questi giorni, ma va avanti da decenni. Per le strade di Hong Kong si trovano insieme almeno quattro generazioni di attivisti. Ma quali sono i motivi della protesta?
Hong Kong, i motivi della protesta
I manifestanti di questi giorni si sono uniti agli studenti in un’unica battaglia: lo scopo di queste proteste è che a Hong Kong sia concesso il suffragio universale alle elezioni del capo del governo locale, che si svolgeranno nel 2017, senza che Pechino pre-approvi i candidati. Pechino ha già deciso di limitare a due o tre il numero dei candidati alla carica di “chief executive”, e in più il governo centrale ha stabilito che i candidati debbano essere approvati da un’apposita commissione elettorale di 1.400 persone, i cui membri vengono nominati – appunto – da Pechino. Per il movimento ‘Occupy Central’ questa decisione rappresenta una marcia indietro rispetto alla promessa della Cina di instaurare una piena democrazia politica. La promessa è contenuta nella Basic Law, la Costituzione di Hong Kong che dal 1997 è una Speciale Regione Amministrativa della Cina. Deng Xiaoping, il leader cinese che firmò insieme all’allora premier britannica Margaret Thatcher l’accordo per il ritorno di Hong Kong alla Cina, sancì questa promessa inventando la formula “un Paese, due sistemi”.
La linea dura del governo
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Il governo di Pechino ha condannato le manifestazioni, definendole illegali. Il governatore filocinese di Hong Kong, Leung Chun-ying, ha invitato i manifestanti a fermare le proteste, annunciando che Pechino non farà marcia indietro. “Il governo centrale non annullerà la sua decisione” di agosto di limitare le restrizioni di voto imposte per le prime elezioni in programma a Hong Kong per il 2017, ha detto Leung, sottolineando i disagi che le proteste stanno portando ai residenti che non protestano, con blocchi del traffico e problemi ai trasporti pubblici. Molti dei giovani chiedono a viva voce le sue dimissioni. “Vogliamo solo la democrazia, staremo qui finché il governo non ci darà risposte“, dicono due giovanissimi volontari che distribuiscono acqua, frutta e biscotti ai partecipanti alla protesta. Il capo dell’esecutivo di Hong Kong ha esortato i manifestanti pro-democrazia a porre fine al blocco delle strade principali entro lunedì 6 ottobre, precisando che il governo e le forze di polizia prenderanno ‘tutte le misure necessarie per ristabilire l’ordine sociale‘.
La rivolta degli ombrelli e il blocco di Instagram
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I manifestanti, per proteggersi dalla forza degli agenti in divisa, si sono presentati con in mano ombrelli e si sono coperti di cellophane per proteggersi dagli spray urticanti e dai gas lacrimogeni. C’è una grande capacità organizzativa nel gruppo: dietro ai dimostranti lavorano gruppi di volontari che raccolgono la spazzatura, dividendola per il riciclo. Il traffico è ancora paralizzato. Il primo di ottobre Honk Kong celebra la festa della Repubblica popolare, anche se è arrivato l’ordine di sospendere i fuochi d’artificio. Si prevede una lunga notte prima della festa e intanto per impedire il diffondersi delle immagini della protesta, il governo di Pechino avrebbe bloccato Instagram in Cina, come riferiscono testimoni su Twitter.
Le infiltrazioni della mafia cinese
La polizia intanto ha arrestato 19 persone e ha dichiarato – secondo quanto ha riferito l’alto sovrintendente di polizia Patrick Kwok Pak-chung – che otto di loro fanno parte delle ‘triadi’ cinesi, le organizzazioni mafiose del sud della Cina, alcune delle quali sono tradizionalmente favorevoli al governo di Pechino.
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