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Cosa succede in Libia? Bengasi è sotto il controllo dei miliziani legati ad al Qaeda. “Abbiamo proclamato l’emirato islamico“, dicono alla tv Al Arabiya, che ha citato un portavoce del gruppo. Sebbene la notizia sia ancora tutta da verificare, come ha detto il ministro degli Esteri Federica Mogherini, la situazione in Libia è grave, sono state chiuse nuove ambasciate, tra cui quella spagnola e greca. La Libia è sempre più nel caos dopo gli scontri a fuoco scoppiati anche a seguito della proclamazione dei risultati delle ultime elezioni. A Bengasi, il 4 agosto 2014 si dovrebbe insediare il nuovo Parlamento eletto il 21 giugno scorso, che ha visto la vittoria delle forze laiche e liberali.
Sebbene l’ambasciata italiana a Tripoli sia funzionante, l’Unità di crisi della Farnesina ha reso operativo un piano di rientro volontario degli italiani, a causa dei continui scontri fra le milizie, che hanno causato decine di vittime e molti feriti, anche nei pressi dell’aeroporto internazionale della città libica, che infatti ormai risulta completamente distrutto.
L’emirato islamico a Bengasi
La notizia della creazione di un emirato islamico si sta diffondendo sempre più, anche se non è ancora chiaro se si tratti di un tentativo di emulare il califfato tanto pubblicizzato dai gruppi estremisti siriani e iracheni a Mosul, oppure se dietro ci sia un progetto ben pianificato. Il fatto reale è che soprattutto in Cirenaica, specie nelle cittadine di Derna e Al Baydah, i radicali hanno creato minirepubbliche islamiche indipendenti dalla sovranità di Tripoli.
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La decisione di lasciare la Libia
Scontri armati sempre più frequenti evidenziano la fragilità del quadro di sicurezza in Libia, minato da fattori di diversa matrice, all’interno del quale danno preoccupazione eventuali azioni di natura terroristica. Pure Regno Unito e Germania hanno invitato i loro concittadini a lasciare la Libia, oltre a Olanda e Francia. “La situazione è estremamente imprevedibile e incerta – si legge sul sito del ministero degli Esteri tedesco – i cittadini tedeschi corrono rischi maggiori di rapimenti e attentati“. La diplomazia britannica, invece, sottolinea come “a causa dell’intensificarsi nei combattimenti a Tripoli e dell’instabilità in tutta la Libia, il Foreign office sconsiglia i viaggi in Libia e i connazionali in Libia devono lasciare il Paese“. Azioni ostili contro stranieri si sono verificati anche nella parte nord-occidentale della Libia, in particolare nel tratto costiero tra Sabratha e Zuwara. Le forze dell’ordine governative sono impossibilitate a garantire un effettivo controllo del territorio.
Il quadro politico
L’Alta commissione elettorale libica ha annunciato i risultati definitivi delle elezioni parlamentari tenutesi lo scorso 25 giugno. Sui duecento seggi del Parlamento, 168 sono stati conquistati da candidati indipendenti (anche se potrebbero essere legati ai partiti in maniera indiretta), mentre i restanti 32 seggi sono assegnati alle donne (quota rosa). Affermare quale corrente abbia vinto con precisione è difficile, in un Paese a forte presenza tribale come la Libia. Anche perché i partiti politici sono stati messi al bando. L’indicazione dei vincenti è arrivata da diversi candidati che siederanno nella nuova ‘Camera dei rappresentanti’ (il nuovo nome dato al Parlamento): a loro giudizio la corrente laica avrebbe largamente prevalso sui candidati islamisti. Il condizionale, però, è d’obbligo. Nessuno si crea molte illusioni. Anche nelle elezioni parlamentari del luglio 2012 – le prime trasparenti dopo oltre mezzo secolo – la coalizione “laica” guidata da Mahmoud Jibril, l’ex premier del Consiglio nazionale di transizione, aveva travolto i partiti islamici. Le lotte clandestine tra i Partiti avevano poi portato a un clima di ingovernabilità. Il partito dei Fratelli musulmani era riuscito comunque a conquistare gradualmente la maggioranza in Parlamento, attirando a sè i candidati indipendenti.
Scontri sempre più frequenti
Dall’inizio del 2014 si è assistito a un progressivo deterioramento della situazione sicurezza in Libia, numerosi scontri hanno interessando in particolare la capitale. A Bengasi sono tuttora frequenti gli scontri armati tra milizie di fazioni contrapposte, così come tra queste ultime e le forze governative. Ugualmente, in Cirenaica si sono verificati attentati suicidi (sia nel dicembre 2013 che lo scorso aprile 2014) nonché sequestri di cittadini occidentali, come l’Italiano Marco Vallisa, rapito da Zuwara. Inoltre, alcuni gruppi estremisti della zona sono probabilmente gli artefici dell’uccisione di cittadini egiziani e siriani di religione cristiana, omicidi avvenuti a febbraio e marzo 2014. Da ricordare che a settembre 2012, la sede diplomatica degli Stati Uniti a Bengasi era stata attaccata, e tra le vittime ci furono l’ambasciatore americano in Libia Chris Stevens, insieme a un altro funzionario dell’intelligence Usa e due marines. L’attacco, inizialmente attribuito alle proteste contro il film statunitense sulla vita di Maometto, L’innocenza dell’Islam, era stato pianificato, e secondo alcuni vicini ad Al Qaeda, l’assassinio di Stevens fu “una reazione della milizia Ansar Al-Sharia alla conferma della morte di Abu al-Libi”, numero due dell’organizzazione terroristica.
I giornalisti colpiti con rapimenti e intimidazioni
Dai dati denunciati da Reporter senza Frontiere (RsF), si sono verificate, in Libia, dall’inizio del 2014, più di venti aggressioni e atti di intimidazione verso giornalisti che stavano svolgendo il loro lavoro. Sempre secondo l’organizzazione Reporter senza frontiere, i professionisti dell’informazione sono presi di mira con sempre maggiori frequenza da gruppi armati sorti dopo la rivoluzione del 2011 che depose Muammar Gheddafi. Alcuni reporter sono stati perfino costretti a emigrare per timore di minacce di morte. Non solo minacce, però, si sono verificate anche detenzioni arbitrarie, intimidazioni di vario tipo e attacchi armati ai danni dei giornalisti che svolgono il proprio lavoro. E questi elencati sono soltanto alcuni degli esempi di abusi perpetrati contro giornalisti, reporter e fotografi in Libia. In un sistema democratico il lavoro dei giornalisti “deve essere protetto e non ostacolato“, dicono i professionisti di Reporter senza Frontiere, lanciando nel contempo un accorato appello per chiedere anche alle autorità libiche di aprire un’inchiesta su tutti i casi di abusi ai danni dei giornalisti. A fine maggio 2014, una delle ultime vittime con eco internazionale nella guerra tra bande di jihadisti e miliziani era stata Nassib Karnafa, popolare reporter televisiva, che è stata sgozzata dopo essere stata rapita qualche giorno prima nella regione di Sabah, 600 chilometri a sud di Tripoli.
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