Più di 36 ore dopo il terribile incidente del barcone a Cutro, in Calabria, la Guardia Costiera e Frontex – L’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – hanno fornito le loro versioni dell’accaduto. Qui arriva il problema: queste sono assolutamente discordanti in diversi punti.
Quello che è accaduto a Cutro si poteva evitare? Questa è la frase che rimbomba nella testa di moltissime persone da domenica. Adesso potremmo avere una risposta, gentilmente fornitaci della Guardia Costiera, attraverso una nota diffusa da pochissimo. Peccato però che questa si scontri con la dichiarazione rilasciata da Frontex.
Cos’è accaduto a Cutro
Cos’è accaduto davvero nella notte tra sabato e domenica sulla spiaggia di Steccato di Cutro? Potremmo provare a ricostruire la vicenda partendo dall’allarme di sabato sera, quando cioè l’aereo Eagle1 di Frontex ha individuato la barca a 40 miglia dalle coste calabresi. C’è da dire, però, che secondo Sergio Scandura, giornalista di Radio Radicale, il primo allarme risale a 16 ore prima, ma qualcosa allora era andato storto perché all’alert non corrispondeva la posizione esatta dell’imbarcazione, cosa che rendeva ovviamente del tutto impossibile localizzarla e soccorrerla. Per questo era stato ignorato (ammesso che sia davvero esistito)? Chi può dirlo.
Ma andiamo avanti. Quello che è certo è che sabato, uno scafo veloce V.5006 della sezione navale di Crotone appartenente alla Guardia di finanza ha provato a raggiungere l’imbarcazione. Ci ha provato anche il pattugliatore Barbarisi – del gruppo aeronavale di Taranto – ma a quanto pare le condizioni di mare erano troppo difficili – così almeno ha affermato il Roan di Vibo Valentia – tanto da rendere impossibile la conclusione delle operazioni.
E così, mentre tutti i soccorritori sono tornati alle loro case, al caldo dei loro piumoni, dalle loro famiglie, i migranti sono morti, perché la loro imbarcazione è finita su una secca a circa 150 metri dalla riva, che l’ha distrutta. La Guardia di finanza poi spiegherà di aver attivato un “dispositivo di ricerca a terra” e di aver seguito le “direttrici di probabile sbarco” con “ricerche lungo la costa”. Nulla di tutto ciò, però, è servito.
Ma cos’è successo davvero? La Guardia costiera ha deciso di parlare e di ammettere cosa realmente è accaduto solo 36 ore dopo il terribile incidente.
Le versioni discordanti della Guardia Costiera a di Frontex
La Guardia Costiera ha finalmente ammesso cos’è accaduto all’alba di domenica e perché nessuno è stato capace di soccorrere il barcone vicino Cutro. Ci ha messo “solo” 36 ore, ma alla fine l’ha fatto. Adesso possiamo avere un’idea più precisa, ma attenzione: i problemi non sono finiti.
A questo punto una precisazione va fatta: era da domenica che tutti – giornali compresi – si stavano chiedendo, per cercare di avere un quadro più chiaro, definito e preciso della situazione, se l’operazione fosse stata trattata come law enforcement per traffici illegali oppure di search and rescue. La differenza è che la prima è un’operazione di polizia, mentre la seconda di soccorso in mare e questo sposta la responsabilità da un corpo all’altro.
Ci spieghiamo meglio: questa errata definizione ha fatto che il barcone non fosse soccorso dalla Guardia Costiera, ma dalla Guardia di finanza, non dotata di mezzi idonei e adatti ad affrontare le acque agitate (parliamo di mare forza 3-4). Le motovedette della prima, invece, avrebbero potuto farlo: sono praticamente indistruttibili dalle onde. Peccato che però di fatto abbiano lasciato il porto di Reggio Calabria quando ormai era troppo tardi: il naufragio era terminato, il barcone si era ormai schiantato, nessuno era ancora in vita. Chi potevano salvare ormai?
Adesso sarà la Procura di Crotone a decidere chi incolpare, chi ritenere responsabile dell’accaduto e, soprattutto, come procedere. Nel frattempo, però, sono pervenute le dichiarazioni della Guardia Costiera e di Frontex. Ricordate che poco fa vi avevamo avvisati che i problemi non erano affatto finiti? Eccone uno: le due versioni contengono delle incongruenze sostanziali di fondamentale importanza, che non permettono di comprendere cosa sia realmente accaduto.
Un portavoce di Frontex – l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera – parlando con l’ANSA, infatti, ha dichiarato: “Nelle tarde ore di sabato, un aereo di Frontex che sorvegliava l’area italiana di ricerca e soccorso nell’ambito dell’operazione Themis ha avvistato un’imbarcazione pesantemente sovraffollata che si dirigeva verso le coste italiane: come sempre in questi casi, abbiamo immediatamente informato tutte le autorità italiane dell’avvistamento. (…) Il nostro aereo ha continuato a monitorare la zona fino a quando non è dovuto rientrare alla base per mancanza di carburante”.
La ricostruzione del portavoce di Frontex in pratica è questa: l’imbarcazione stava trasportando circa 200 persone e la navigazione stava procedendo senza intoppi. Non vi erano segni di pericolo inizialmente. Quando poi questi sono subentrati, le “autorità italiane hanno inviato due motovedette per intercettare l’imbarcazione, ma le condizioni meteorologiche avverse le hanno costrette a rientrare in porto”. All’alba di domenica mattina poi, dopo che il naufragio è stato localizzato, l’operazione di salvataggio, condotta sia via mare che via terra che via aerea, mediante una nave e un aereo dell’Agenzia, è stata dichiarata ed è ancora in corso. Questa versione è molto nitida, non ha bisogno di spiegazioni: ma attenzione, perché adesso arriva l’altra e apparirà subito altrettanto chiaro che qualcosa non torna affatto.
La versione della Guardia Costiera, infatti, è del tutto differente. Secondo la sua ricostruzione, in pratica, un aereo di Frontex sabato 25 febbraio avrebbe avvistato un barcone che navigava nel Mar Ionio. Questo sembrava “navigare regolarmente, a 6 nodi e in buone condizioni di galleggiabilità, con solo una persona visibile sulla coperta della nave”. Ecco il primo punto “della discordia”: perché Frontex sosteneva che le persone a bordo fossero circa 200, mentre la Guardia Costiera parla di un numero così basso?
Ma andiamo avanti. Sempre secondo la ricostruzione di quest’ultima, a quel punto – ed ecco quello che ci interessa di più in assoluto – Frontex avrebbe inviato una segnalazione al punto di contatto nazionale preposto per intraprendere la succitata attività di law enforcement. Questo avrebbe creato il disguido (dove disguido ovviamente, vedendo cos’è accaduto dopo, è un eufemismo).
E infatti nel farlo avrebbe informato, sì, anche la Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma, ma semplicemente per conoscenza perché, come abbiamo anticipato, in questi casi è la Guardia di finanza a essere incaricata di partire. E infatti questo è ciò che è avvenuto: è stato un dispositivo di quest’ultima ad avvicinarsi al barcone. Era già in mare, del resto, quindi non è stato molto difficile farlo. Eppure a un tratto qualcosa è andato storto: il naufragio è diventato sempre più insistente, tanto da impedire alle operazioni di proseguire normalmente. E infatti queste sono cessate, com’è risaputo e il barcone è rimasto al mare, di notte, al buio, con una tempesta in atto.
Arriviamo alle 4:30 del mattino. Alcune persone a terra hanno iniziato a chiamare la Guardia costiera, affermando di aver visto un’imbarcazione in pericolo non troppo distante dalla costa. La Guardia di finanza, a sua volta, ha avvisato i Carabinieri, che a loro volta hanno riportato alla Guardia costiera“l’avvenuto naufragio”. Solo allora quest’ultima sarebbe venuta a conoscenza dell’accaduto: prima nessuno aveva segnalato l’imbarcazione in pericolo, come invece accade in genere in casi analoghi.
A quel punto, come da prassi, la Guardia Costiera avrebbe attivato il dispositivo SAR (cioè la convenzione introdotta nel ’79 che le impone di soccorrere le persone in mare di aiutare i naufraghi a sbarcare in un porto sicuro) e avrebbe così inviato “mezzi navali e aerei, uomini e mezzi terrestri, nella zona indicata”. La sua nota si conclude così: “Le attività di ricerca e soccorso in mare proseguono senza soluzione di continuità anche con impiego di squadre di sommozzatori e con il concorso dei Vigili del Fuoco e delle Forze di Polizia”.
In effetti le due versioni non collimano affatto, ma dov’è la verità? Probabilmente, ad oggi, solo nel punto in cui la Guardia Costiera e Frontex parlano delle attività di law enforcement. Tutto il resto è comunque ancora da definire.