Gianluca Vialli se n’è andato, a soli 58 anni. Una perdita immane per il mondo del calcio, dello sport e per il mondo in generale, perché uno come come lui, con quel carisma, quei simboli, quei tratti distintivi solo suoi e quel sorriso dei piccoli che contraddistingue i grandi è quell’uno su un milione che tutti sperano di incontrare e viversi a pieno almeno una volta nella vita, che fa la differenza. Se l’è portato via un terribile adenocarcinoma duttale del pancreas, come tanti altri. Un tumore con una letalità impressionante che Stradivialli ha combattuto strenuamente – come sempre -, ma alla fine si è dovuto arrendere. Andiamo più a fondo per capire di che patologia si tratta, dall’incidenza ai fattori di rischio fino ai sintomi e alla terapia.
Gianluca Vialli è un simbolo tutto italiano, di quelli che non cambiano di molto con la vita e con la morte, neanche quante è successo nelle ultime terribili ore. Indimenticabile semplicemente, per il valore che riesce a portare nell’esistenza delle persone. Come un incredibile e travolgente cuore pulsante che si tratta in incontrollabile istinto, grinta, motore immobile di tutte le cose belle. Se pensiamo all’ex attaccante non può non essere così anche negli attimi e nei giorni più tristi, nella passione che non l’ha mai abbandonato, nelle vittorie tutte sue e nella morte. Vialli l’immortalità se l’è guadagnata in vita, quella di chi scrive la storia ed è solo una diretta conseguenza. A spezzare un percorso stupendo e necessario per chi ama la gioia e lo sport, però, è arrivato un male incurabile e aggressivo, purtroppo piuttosto comune: l’adenocarcinoma duttale del pancreas. Un male che ogni anno spezza la quotidianità di intere famiglie e se ne impadronisce con una brutalità difficile da descrivere. Se si entra più a fondo nei dati, è facile intuire che si tratti di una patologia tremenda e con un’incidenza che smuove ogni giorno il mondo della medicina e della scienza. Con una vittima così importante anche di più. Vale la pena capire di cosa si tratta nello specifico.
Gianluca Vialli ci abbandona a soli 58 anni: cos’è l’adenoma duttale del pacreas
Quando il destino fa un mix con il talento, probabilmente il risultato è molto simile a quello che è stato e che resterà sempre Vialli. Un personaggio, per certi versi, unico nel mondo del calcio, uno di quelli che potrebbe tranquillamente rientrare nella categoria dei predestinati, riservata solo a poche elite dello sport. Lui c’è entrato di diritto e a piè pari, senza mai più poter uscirne. E non è così solo per le vittorie, le coppe alzate al cielo e gli abbracci di chi è andato oltre l’ostacolo fino all’olimpo dei primi, ma per tutte quelle caratteristiche distintive che ci sono rimaste dentro e non possono essere dimenticate, neanche a volerlo.
“L’unica felicità reale è quella di cui ti accorgi mentre la vivi“, scrive il premio Nobel Annie Ernaux. Vialli ce l’ha ricordato talmente tante volte da finire le dita per numerarle e perderne il conto. Perdersi in lui, come gli eroi. Con un sorriso talmente brillante e spontaneo che ora non se ne può proprio fare a meno, quella fotografia indimenticabile che ci ha lasciato sotto il cuscino dei ricordi, molto più che la malattia. Quella no. E ci ha donato anche tanto altro, senza chiedere nulla in cambio. Con le sue magliette strapazzate e sudate, i calzettoni neri di fango ed erba, il viso provato che forma l’alchimia più rara ed empatica possibile con il destino dei vincenti.
Le coppe alzate dall’attaccante con Sampdoria, Juventus, Chelsea e con la Nazionale – tra le più importanti – ci hanno fatto sentire orgogliosi e orgogliosamente italiani. Una realtà contraddittoriamente umile di cui abbiamo avuto prova anche durante gli ultimi Europei, quando nel ruolo di capo delegazione, che voleva dire un po’ tutto e un po’ nulla, Vialli si è eretto a condottiero di un gruppo intero, oltre che braccio aggiunto di Roberto Mancini, un fratello in campo e fuori per il bomber. E primo nelle esultanze, quello sempre. Perché lui la vittoria la voleva un po’ di più, la sentiva un po’ di più. E la festeggiava pure, come un tifoso innamorato. Un binomio quasi immancabile quello con Mancini dalle parti di Genova e nell’immaginario popolare, di quelli da cartone giapponese e che si canta nei brani iconici sull’amicizia. Tutto questo ci mancherà maledettamente. E mancherà all’Italia, come team e come nazione.
Ma cos’è che si è portato via chi ha rappresentato per lunghi tratti la storia e l’identità del nostro Paese? Si tratta del tumore del pancreas, in particolare dell’adenoma duttale del pancreas. Gli esperti lo definiscono come il tumore maligno del pancreas per eccellenza e purtroppo ha una diffusione piuttosto ampia. Addirittura l’85% di casi di cancro della ghiandola in Italia siano dovuti proprio a questo tipo di neoplasia. Andando a sviscerare i dati pratici, nel 2017 sono stati diagnosticati 13.700 casi in Italia, che rappresentano in totale il 4% delle nuove diagnosi nell’anno, sia per quanto riguarda le donne che gli uomini.
Per diversi anni si è creduto che fosse un tumore che riguardasse più il genere maschile rispetto a quello femminile, ma in realtà è un dato che ha una stretta correlazione con i fattori ambientali, e in particolare con il fumo di sigaretta. Diversi decenni fa, infatti, riguardava molto di più gli uomini. Ora, invece, i dati evidenziano come sia un’abitudine che riguarda entrambi i generi indifferentemente, anzi addirittura di più le donne. Per questo, soprattutto nei soggetti di età avanzata, nelle femmine di più di 70 anni, il tumore del pancreas è tra i più diffusi in assoluto. Nello specifico al quarto posto.
Proprio per questo, le persone più a rischio sono quelle che si trovano tra i 50 e gli 80 anni di età, mentre questo cancro si presenta in una minoranza di casi in chi è under-50. Proprio in quest’ottica il fumo rappresenta un fattore di rischio fondamentale, dato che le possibilità di contrarre il tumore se si è fumatore corrispondono al triplo in più. Non è l’unico fattore predisponente, anche se il più importante. Nella lista si annoverano, infatti, anche il diabete di tipo 2, la sindrome di von Hippel-Lindau, ma anche l’abuso di alcol e caffè. Infine, come in tanti tipi di neoplasie, bisogna prestare particolare attenzione all’esposizione a sostanze di tipo industriale o utilizzate in agricoltura.
Anche l’obesità riveste un ruolo particolarmente importante, in quanto si associa al grasso depositato sull’addome e quindi a fenomeni di resistenza all’insulina e, in alcuni casi, anche all’insorgenza del diabete. Proprio per questo, può causare problemi a carico del pancreas, ghiandola che è deputata proprio a quel tipo di circolo e risposta agli zuccheri nel sangue. Le abitudini alimentari sono state correlate, quindi, a questo tipo di tumore: una dieta ricca di grassi e proteine potrebbe favorire la nascita e lo sviluppo della malattia. La base genetica dell’individuo, allo stesso modo, non può essere ignorata. Chi ha nel proprio patrimonio genetico e nei propri antenati storia familiare di cancro del pancreas o della mammella è ovviamente maggiormente predisposto. Anche i tumori del colon rappresentano un capitolo che non può essere ignorato.
Lo sviluppo, i sintomi e la cura dell’adenocarcinoma duttale del pancreas
Il cancro del pancreas è per diverse ragioni uno dei più difficili da curare, così come è difficile arginare la malattia dopo la sua insorgenza. La maggior parte dei tumori inizia nella testa dell’organo e ancora per la maggioranza dei casi l’origine è nei dotti che sono deputati al trasporto degli enzimi utilizzati per la digestione e da qui deriva la denominazione di “duttale”. Questa tipologia di tumori supera anche quelli di origine neuroendocrina, che riguardano le cellule di Langerhans, che si occupa della secrezione degli ormoni.
La gamma di sintomi di spettanza dell’adenocarcinoma pancreatico è ampia, ma ne caratterizza anche la sua letalità. Infatti, nella fasi precoci di insorgenza e sviluppo del cancro, molto spesso il tumore non dà veri e propri segnali. I disturbi percepiti e riferiti dal pazienti sono talmente generici che mettono anche fuori strada gli specialisti nell’identificazione della patologia. Di conseguenza, si perde quel tempo che potrebbe essere fondamentale per una diagnosi precoce e combattere il male.
La caratteristica peggiore è dovuta al fatto che l’adenocarcinoma resta silente praticamente fino a quando non inizia a diffondersi agli organi vicini o è già riuscito a occupare i dotti biliari e a ostruirli. Come nel caso di Vialli, si iniziano a notare importante perdita di appetito e di peso, ma può comparire anche ittero e, quindi, un colorito di tipo giallastro della pelle e degli occhi. Pensate che l’ex attaccante della Juventus indossava più strati di vestiti nelle sue apparizioni pubbliche per non far notare l’importante calo ponderale. Poi iniziano anche i dolori che si manifestano nelle zone più alte dell’addome e a carico della schiena. Allo stesso tempo, si possono notare nausea, vomito e un senso generale di debolezza.
Qualora il medico iniziasse a nutrire sospetti di tumore del pancreas, prescriverà esami di tipo ecografico che dovranno essere effettuati all’esterno, e quindi all’addome, e internamente tramite endoscopia. La tomografia computerizzata è sicuramente l’esame più importante, perché permette di capire la presenza dei tumori del pancreas, ma anche la loro diffusione ai linfonodi e come sono riusciti a diffondersi anche agli organi vicini. È importante anche capire il grado di aggressione dei dotti biliari.
Senza soffermarci troppo sui dettagli, risultano fondamentali anche altri tre esami: la colangiopancreatografia retrograda endoscopica, anche chiamata ERCP, la colangiografia transepatica percutanea e la colangiorisonanza magnetica. Una volta scoperto, è importante capire nei tempi più brevi possibili come si evolverà il tumore. Come vi anticipavamo, l’adenocarcinoma del pancreas ha grande facilità di propagarsi agli organi vicini e in particolare ai linfonodi. Se la diffusione avviene nell’addome, invece, porta alla carcinosi peritoneale.
Allo stesso modo, la cura del tumore non è assolutamente semplice. Una delle vie più utilizzate è quella chirurgica: l’asportazione, infatti, ha ancora alcune possibilità di successo. Il tipo di intervento cambia in base alla localizzazione del tumore nel pancreas. Si tratta di operazioni comunque molto complicate che si associano a una mortalità del 10%. Dopo il ricorso alla chirurgia può essere fondamentale ricorrere alla chemioterapia o alla radioterapia. Anche se questo dovesse successo, è comunque difficile sbilanciarsi con una prognosi a lungo termine, visto che l’adenocarcinoma presenta tassi di recidiva comunque importanti. In ogni caso, questo tipo di terapie sostituiscono anche quella chirurgica nel momento in cui si tratti di tumori non operabili.
La ricerca ovviamente sta facendo il suo corso per tentare di scoprire sempre di più e quindi di fronteggiare questo tipo di tumore tanto aggressivo. Ad esempio, sono stati identificati diversi tipi di anticorpi specifici in base al profilo genetico dell’individuo: un’informazione che potrebbe dare vita a risvolti terapeutici di cui non sappiamo ancora gli esiti. La ricerca si sta concentrando anche sulla scoperta di marcatori per la diagnosi precoce per tutti coloro che rientrano nella classe di soggetti a rischio e sono schedulati come tali. Le sperimentazioni poi riguardano farmaci che potrebbero essere fondamentali per i percorsi di cura: si tratta soprattutto di inibitori della tirosin chinasi. Risultati che sono ancora insoddisfacenti. È vero che alcuni farmaci hanno dimostrato di poter allungare le prospettive di vita dei pazienti, ma è stato dimostrato come ancora siano ben lontani dal poter essere considerati risolutivi per curare la malattia.
Una malattia subdola e letale, un grande male che porta via ogni anno malati, persone, strappa le famiglie irrimediabilmente. E stavolta è toccato a Vialli e ai suoi farne le spese, ma anche a tutti noi. Perché il suo sorriso, la sua gioia, sicuramente la sua passione ci mancheranno tanto e non poteva esserci notizia più brutta a svegliarci questa mattina. Sì, perché Stradivialli era unico, speciale e travolgente e non potremo dimenticarlo, ma ancora avrebbe potuto scrivere pagine moderne di vittorie e sport che avrebbe scatenato altra gioia. La vita, come solo lui sapeva interpretarla.