L’Isis è un gruppo sunnita legato ad al-Qaeda, attivo sia in Iraq che in Siria. Lo scopo principale è di annientare gli sciiti. I guerriglieri guidati dal califfo Abu Bakr al Baghdadi, lo hanno spiegato spesso nei loro documenti: è una guerra di annientamento. Al tempo stesso, con la campagna del terrore puntano a svuotare ampie zone dei due Paesi abitate dagli avversari. In quest’ottica sono stati organizzate vere e proprie esecuzioni di massa in molte zone dell’Iraq, ad opera di miliziani jihadisti. L’islamizzazione forzata in nome del Califfato sta diventando una realtà. L’Isis sta marciando su Baghdad , nonostante il nuovo governo, e al gruppo si stanno unendo lealisti dell’era di Saddam Hussein e altri sunniti.
L’odio settario tra sunniti e sciiti risale al VII secolo, alle faide sulla successione del profeta Maometto, ed è destinato a protrarsi ancora a lungo. Centinaia di giovani iracheni si stanno presentando nei centri di volontari a Baghdad per unirsi alla lotta per fermare l’avanzata dei militanti islamici del gruppo sunnita jihadista, soprattutto dopo l’appello lanciato dal religioso sciita più rispettato del Paese, l’ayatollah Ali al-Sistani, di origini iraniane, che ha chiesto alla popolazione di prendere le armi e difendere il paese dai ribelli.
Le origini dell’Isis
L’Isis è dunque legato ad al-Qaeda. I guerriglieri sono guidati da Abu Bakr al Baghdadi (nella foto), l’autoproclamato califfo di questo ‘regno’. Il rapporto tra i due gruppi estremisti è stato complesso fin dalla loro origine.
Sotto Osama bin Laden, Al Qaeda avevo come obiettivo la difesa dei territori musulmani dall’occupazione occidentale, portando avanti la guerra anche sul suolo dei Paesi occidentali come fu per l’attacco alle Torri Gemelle. Alla sua morte, avvenuta in Pakistan il 2 maggio 2011, il gruppo è stato guidato da Abu Musab al-Zarqawi, proveniente dalla Giordania, che però si era già allontanato dall’ideologia “classica”: per lui, il vero obiettivo era la creazione di un grande stato sunnita. Per questo da subito rivolse i suoi interessi all’Iraq dove la maggioranza sciita era governata con Saddam Hussein dalla minoranza sunnita: sfruttando i contrasti interni, la guerra civile avrebbe consentito di portare avanti la strategia del terrore nei territori musulmani, costringendo le autorità a cedere davanti alla violenza.
Nel 2004 Zarqawi fonda la sua organizzazione, Al Qaeda in Iraq, l’AQI: la vicinanza tra i due gruppo serve a entrambi, perché, come spiega lo jihadista Abu Bakr Naji in un libro del 2004, Zarqawi punta a seminare il terrore con attentati continui e devastanti. L’anno prima una bomba nella moschea sciita di Najaf, a circa 160 km da Bagdad, aveva fatto 125 vittime, tra cui l’ayatollah Muhammad Bakr al-Hakim, leader moderato e a lungo leader dell’opposizione a Saddam Hussein. In un colpo solo, Zarqawi chiarisce l’obiettivo: non c’è spazio per il dialogo e la moderazione, solo la violenza avrebbe costretto le autorità e la popolazione a cedere.
Il leader giordano viene ucciso nel 2006 durante un attacco aereo: il suo posto viene preso prima da Abu Omar al-Baghdadi e poi, alla sua morte nel 2010, da Abu Bakr al-Baghdadi.
Fino al 2011, la nuova Al Qaeda, perde la presa sul territorio grazie alle azioni militari e politiche degli Stati Uniti. Il generale David Petraeus, prima di finire travolto in uno scandalo, aveva puntato sulla popolazione locale per fermare i terroristi, portando avanti una strategia “umana”. Le truppe erano più vicine alla gente, secondo i dettami della dottrina FM-3 24 elaborata dallo stesso generale: non più “seek and destroy”, cercare e distruggere, ma “clear, hold and build”, pulire, proteggere e costruire, anche stringendo alleanze con le tribù sunnite locali. Con la ripresa in mano del Paese da parte del primo ministro sciita Nuri al-Maliki e le sue politiche violente contro i sunniti, il progetto diPetraeus viene affondato e Al Qaeda riprende forza.
L’ultimo passaggio è recente e risale al 2013, quando la guerra in Siria diventa l’occasione per ampliare i confini del gruppo: non più Al Qaeda, ma Isis, Stato Islamico dell’Iraq e del Levante e la proclamazione del califfato. Le ambizioni sono chiare già con la scelta del nome: l’Is punta a realizzare lo Stato sunnita guardando anche ai paesi affacciati sul Mediterraneo e forse anche al Nord Africa.
L’ideologia
Alla base dell’ideologia dell’Isis e della radicalizzazione islamica c’è l’opera di Sayyid Qutb, riformista egiziano e membro dei Fratelli Musulmani, giustiziato nel 1966 con l’accusa di aver cospirato contro Gamal Abd el-Nasser. Profondo conoscitore dell’Islam, Qutb nel 1948 viene inviato dal governo egiziano, per cui lavora come funzionario all’istruzione, negli Stati Uniti per conoscere l’Occidente.
Al ritorno dal viaggio, inizia a elaborare la sua dottrina: è disgustato da quanto visto, indica nei cristiani e negli ebrei il vero male dell’Occidente, ma il vero male sono i musulmani che si sono aperti al dialogo e alla modernità. Incarcerato in Egitto nel 1952, scrive in prigione Ma’alim fi’l-tariq (Pietre miliari), testo in cui elabora un nuovo concetto di jihad, non più solo di difesa ma di attacco.
La guerra santa diventa lo strumento per creare uno Stato islamico che esca dall’ignoranza (jahiliya) e abbracci il vero Islam in una comunità musulmana modello, detta umma. Alla base dello Stato musulmano Qutb mette una parola tratta dalla 42esima Sura, “consultazione”, per cui i credenti decidono consultandosi tra loro, come necessità di avere un parlamento eletto. Il libro diventa la base dell’ideologia di Osama bin Laden e del terrorismo ismamico: l’Isis vuole realizzare quanto scritto oltre 60 anni prima in una prigione egiziana.
Esecuzioni sommarie e altre barbarie
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Fonti Onu avevano reso noti a inizio giugno alcuni rapporti sulle esecuzioni sommarie in Iraq a opera dei jihadisti. Le vittime sarebbero migliaia, ma non c’è ancora un bilancio definitivo di tutti gli sciiti catturati e giustiziati dagli estremisti dell’Isis. Gli islamisti hanno sostenuto di aver catturato, solo nella zona di Tikrit, oltre 4 mila militari. Foto diffuse sul web dal movimento radicale mostrano i prigionieri stipati sui camion, mentre in altre immagini si vedono i mujahedin che aprono il fuoco. Altre foto mostrano gli uomini distesi in fosse comuni. Difficile verificare, ma non sarebbe una sorpresa se avessero eseguito effettivamente il massacro. In un lungo video postato qualche mese fa su Internet, per documentare le proprie azioni contro le forze irachene, l’Isis aveva inserito scene crude, come l’eliminazione a sangue freddo degli avversari. Sempre il movimento ha usato la crocifissione contro presunti nemici ed ha imposto il taglio della mano per i ladri insieme ad una serie di misure severe.
Le sedici regole dei jihadisti
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Le sedici “linee guida” dei jihadisti in Iraq sono state diffuse nella città di Mosul, tramite un prestampato, e prevedono una serie di punizioni corporali agghiaccianti: si va dalla crocefissione all’esilio, passando dall’amputazione degli arti fino all’impiccagione. Il documento si rivolge agli iracheni “e con loro al Mondo islamico intero“: “Diamo la bella notizia di queste nostre conquiste divine; abbiamo liberato gli ostaggi dalle carceri degli apostati sciiti per mano degli eroi dello Stato islamico e i suoi soldati che hanno venduto la loro vita per rompere le catene dei loro fratelli liberando migliaia di loro“. Le regole di comportamento sono rivolte al milione e mezzo di abitanti della seconda città irachena. Come riporta il quotidiano francese Liberation – si promette che “coloro che si oppongono alla volontà di Dio“, saranno puniti “con l’esecuzione, la crocifissione, l’amputazione delle braccia o delle gambe, o l’esilio“. Si ricorda agli iracheni che “le moschee sono le case di Allah” e si “sollecita tutti i fedeli a compiere sempre nelle case di Dio le preghiere nelle ore stabilite“. Si vieta l’uso di alcol, tabacco e droghe. Le donne devono uscire per strada con il volto e il corpo completamente coperti da un niqab, a condizione che “lo spostamento sia necessario” e comunque autorizzato dal padre, dal fratello o dal marito e accompagnate da uno di loro. E’ vietata qualsiasi manifestazione pubblica, perché contraria all’islam. Il documento porta la firma dell'”Ufficio media del governatorato di Ninive dello Stato islamico in Iraq e nel Levante“.
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