Giorgia Meloni è pronta a partire, seppur con qualche intemperanza e la giacchetta tirata, un po’ di qua e un po’ di là. E una delle promesse elettorali che la presidentessa del Consiglio in pectore ha intenzione di realizzare è quella relativa il superamento della legge Fornero. “Opzione Uomo” è più che un’idea al vaglio della prossima premier, è un piano strutturato che potrebbe mandare in pensione a 58-59 anni molti cittadini. Ma a quali condizioni?
Sono molte le sfide che il governo nascente si appresta ad affrontare e tra queste c’è sicuramente quella delle pensioni, in cima o quasi nei programmi elettorali di Fratelli d’Italia, ma anche della Lega, tanto che da anni è uno dei cavalli di battaglia di Matteo Salvini. Nei prossimi mesi, il superamento, in larga parte, della legge Fornero potrebbe concretizzarsi tramite l’adozione di “Opzione Uomo”. Ecco cos’è il piano di Meloni per le pensioni degli italiani.
La politica italiana da anni si sta scontrando con l’evidenza che la riforma delle pensioni debba essere rivista e, secondo molti, addirittura rifatta da zero. Pronunciare o continuare a adottare la “legge Fornero” è un po’ come una bestemmia per larga parte del Parlamento, qualcosa da sussurrare e rinnegare a pugni stretti, appena si ha l’occasione.
Salvini ne parla da anni e Meloni l’ha messo in cima alla sua agenda, fin dalla campagna elettorale. Ora non è più tempo di proclami, ma di fatti concreti e la leader di Fratelli d’Italia si sta già muovendo per metterci mano.
Al vaglio c’è l’Opzione Uomo. Per renderla nella maniera più semplice possibile, altro non è che una modalità che permetterebbe a molti cittadini di ottenere la pensione anticipata, a 58-59 anni. Dal punto di vista economico e politico, si tratta del superamento della legge Fornero, mascherato da abolizione, anche se comunque per alcune classi di lavoratori scatterebbe comunque.
Entrando più nei dettagli, permetterebbe di concretizzare la flessibilità in uscita promessa e senza sballare con i conti, che è un fattore importante da tenere in considerazione se si prendono in esame tutte le proposte che la coalizione di centro-destra ha avanzato in campagna elettorale e di cui dovrà dar conto agli elettori, a partire dalla flat tax. La ricetta è comunque agrodolce, perché le cifre non torneranno a molti cittadini che vedranno la decurtazione della somma che potrebbero percepire a fine mese, per il ricalcolo e soprattutto per l’anticipo dell’età pensionabile.
Non è una grossa novità per la politica italiana, perché già ci stava pensando Mario Draghi e ne se n’era parlato ai primi tavoli sindacali, ma con il nome di “Opzione Tutti”. La mission è quella di anticipare l’età pensionabile, come base di partenza, e quindi l’uscita dal mondo del lavoro, ma non è a costo zero: infatti, chi dovesse usufruirne, dovrà pagare una penalità in linea col principio di equità verso le nuove generazioni che, tenendo conto degli anni contributivi e di tutti i parametri, potrebbe essere decisamente salata e aggirarsi sul 30%.
I tempi sono piuttosto stretti. Infatti, a partire da gennaio 2023 finirà Quota 102 e i requisiti previsti dalla legge Fornero saranno gli unici da prendere in considerazione. Li ricordiamo per chi non li avesse già ricalcati a penna a margine del calendario. L’età in cui si potrebbe andare in pensione sarebbe scandita dai 67 anni, di vecchiaia, e avendone maturato almeno venti di contributi; oppure anche tramite 42 anni e 10 mesi di contributi, senza considerare l’età, e per le donne è previsto un anno di sconto.
Sempre restando al genere femminile, ricordiamo l’esistenza di “Opzione Donna”: si tratta di un trattamento pensionistico, ma anche di una misura assistenziale ponte, che scadrà il 31 dicembre e che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia vogliono prorogare. Di più, perché si sta valutando anche di renderla strutturale ed estenderla, appunto, anche agli uomini. Secondo Meloni, sarebbe un modo equo per combattere le ingiustizie del sistema pensionistico e guardare con più fiducia al futuro. La presidentessa in pectore, inoltre, punta a congelare la quota di vecchiaia fissata a 67 anni con la Fornero per sempre. E, nelle sue idee, non dovrebbe variare con le aspettative di vita dei cittadini, che dovrebbero presto continuare a impennarsi. Stesso discorso per i 42 anni e 10 mesi, stabiliti proprio quando la Lega era al governo fino al 2026.
Strada tracciata, allora? Non proprio, perché comunque c’è da tenere conto anche delle proposte messe sul campo dagli alleati di elezioni e governo, in primis quelle della Lega. Senza soffermarci più di tanto sulle pensioni minime a mille euro proposte da Silvio Berlusconi negli ultimi mesi, il partito di Salvini sta promuovendo con forza Quota 41. In questo caso, i problemi sono prima di tutto di natura economica e relativi le coperture finanziare. L’Inps ha già stimato che per attuarla servirebbero 18 miliardi in tre anni, nonostante dalla Lega filtrino costi un po’ diversi, circa 4 miliardi il primo anno, poi 5 miliardi all’anno. La Cgil, invece, si basa sul flop di Quota 102 per fare delle stime e pensa, quindi, che un basso numero di quotisti corrisponderebbe a esborsi più bassi anche per il governo.
Nel caso della proposta avanzata dal partito di Salvini, inoltre, ci sarebbe anche da fronteggiare il problema della legge di bilancio. Non se ne potrebbe parlare prima di gennaio, e in generale sarebbe impossibile trovare un buco per vere e proprie misure identitarie, prima del 2023. Addio Quota 41, allora, e zero margini anche per la flat tax, sempre se il governo in entrata non decidesse di battere subito i pugni sui tavoli di Bruxelles o di non tenere conto dei conti. E ci sembra impossibile, visto che tocca dare risposte unitarie alla crisi energetica, che Meloni ha messo in cima sulla sua agenda politica, scritta a pennarello fluo. E poi c’è anche la recessione che fa capolino e la possibile crisi del lavoro: le aziende, infatti, potrebbero mettere alla porta diversi dipendenti, mandarli in cassa integrazione e non rinnovare i contratti.
No, non è solo un incubo, da non dormirci più la notte dopo essersi svegliati di soprassalto, ma una solida realtà di cui il governo deve tenere per forza conto. Inoltre, si consideri che le pensioni da gennaio dovranno essere rivalutate del 7,9%, per via dell’inflazione corrente e questo rende già risicate le cifre dedicate alla spesa pensionistica. I numeri parlano chiaro: peserà per il 17,6% del Pil alla fine del 2025, più del 2% rispetto a oggi e per un valore di circa 350 miliardi, cento in più di dieci anni fa.
Ma i rapporti di cui tener conto non sono solo quelli con gli alleati di governo. Ci sono anche i sindacati che fanno sentire la loro voce e che hanno già espresso perplessità sullo scalone della legge Fornero, per usare un eufemismo. Per questo, Meloni ha già annunciato che lavorerà in concerto, prima di prendere la decisione finale.
Tornando a Opzione Uomo, Repubblica ha già riportato l’esito di alcune simulazioni effettuate da smileconomy. Il taglio degli assegni, dovuti all’anticipo dell’età pensionabile, si aggirerebbe tra il 13 al 31%, e tenendo conto del ricalcolo contributivo degli anni retributivi prima del 1996. Insomma, per più anni si anticipa la pensione, meno ci si deve aspettare a fine mese. E poi c’è già l’esempio di Opzione Donna a fare scuola, tanto che in molte hanno subito tagli addirittura del 35%. “No, grazie” hanno risposto diverse lavoratrici che rientravano tra i parametri previsti e, infatti, la risposta non ha rispettato le attese.
Mentre Meloni fa le sue valutazioni, Opzione Uomo ha già raccolto consensi e dissensi da personalità importanti per l’economia italiana. Ad esempio, si è esposto il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico: “Opzione Uomo va nella giusta direzione”, ha affermato. Anche se ha ricordato subito dopo che Opzione Donna è stata scelta solo dal 25%. Il no, come vi abbiamo detto sopra, è dovuto soprattutto alla somma a cui molte avrebbero dovuto rinunciare per anticipare la pensione.
Ha continuato Tridico: “Credo che tutte queste riforme siano orientate a un principio giusto, ovvero quello di garantire una certa flessibilità in uscita, ma restando ancorati, in ogni caso, al modello contributivo“. Il presidente dell’Inps ha ribadito che questo era lo stesso principio su cui si stava basando il governo presieduto da Draghi: “Mi sembra abbastanza in linea rispetto a quello che si stava facendo”. L’ex presidente della Banca d’Italia, infatti, stava ragionando con i sindacati proprio sulla flessibilità in uscita, sempre nel rispetto dei conti dello Stato e tenendo conto dell’equità tra diverse generazioni.
Tridico ha posto l’accento ancora sui tagli alle cifre incassate dai cittadini che rappresentano il problema principale dell’ipotesi al vaglio di Meloni: “Opzione Donna ha avuto un tiraggio rispetto alla platea del 25%, un dato che dimostra che la scelta è stata fatta da meno di un terzo delle donne. Il dato basso è una scelta. Tutti sanno che, col modello contributivo, se si va in pensione prima si va con un minore assegno pensionistico. È normale con il modello che abbiamo dal 1995, l’abbiamo riconfermato con la riforma Fornero”.
Ma il presidente dell’Inps non è l’unico ad aver espresso il suo giudizio su Opzione Uomo. Infatti, ne ha parlato anche il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. E lui, invece, è stato molto più negativo sulla proposta a cui sta pensando la leader di Fratelli d’Italia: “Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile”, ha affermato chiaramente Landini dopo l’assemblea nazionale dei delegati della Fillea-Cgil, tenutasi a Milano.
Poi ha continuato: “Credo che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico”. E ha concluso: “Penso che ci sia un altro tema di fondo per dare un futuro pensionistico a tutti i lavoratori: bisogna combattere la precarietà“.
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