Deborah Sims, giornalista australiana mamma di 3 bambini, ripercorre commossa la sua storia a Stoccolma, in occasione di un incontro promosso da AbbVie, durante il 23esimo Congresso dell’Eha, la European Hematology Association. La donna ha sconfitto la malattia in 7 mesi e 10 giorni, dal 7 ottobre 2015 al 17 maggio 2016, grazie alla combinazione tra un farmaco immunoterapico e un altro che promette di uccidere fino all’ultima cellula la leucemia linfatica cronica (Llc).
A dicembre 2011 Deborah riceve la diagnosi qualche giorno prima di Natale. Aveva 38 anni.
I medici le dicono che ha la leucemia linfatica cronica, che in genere insorge intorno ai 70, ma che si riscontra anche in un 5% di under 40. E il suo è uno dei casi che rientra in questa percentuale.
Per curarla, dapprima i suoi medici scelgono l’approccio ‘watch and wait’, ossia ‘guardiamo e aspettiamo’. Quindi non riceve subito cure, ma le sue condizioni vengono monitorate fino a un eventuale peggioramento. Che in effetti si presenta nel gennaio 2013.
Inizia così, per lei, la terapia standard, che funziona, ma in breve la malattia ritorna. Nel 2015 Deborah incontra John Gribben a un congresso medico negli Usa e accetta di entrare a far parte di un esperimento, un trial con l’uso del farmaco venetoclax più un immunoterapico.
Il trial però non si svolge a Melbourne, perché la paziente non aveva i requisiti per entrare nella ricerca australiana. Così Deborah comincia la sua odissea transoceanica, volando di continuo da Melbourne a Londra e affittando anche un appartamento vicino al St. Barts Hospital, per svolgere serenamente tutti i controlli e contenere i costi: “Ogni mese facevo avanti indietro fra Australia e Gran Bretagna”, con i bimbi che chiedevano perché e i soldi che mancavano, fino a quando non è arrivato un aiuto dalla Leukaemia Foundation.
Ma c’è il lieto fine e Deborah oggi sorride. Merito dei “nuovi approcci basati sulla comprensione della biologia della malattia – osserva Gribben – che hanno cambiato radicalmente il modo di trattarla”.
Sull’importanza di “capire i meccanismi alla base della patologia” insiste anche Steve Davidsen, vice president Oncology Discovery di AbbVie che lavora con circa 29 mila dipendenti e 22 centri di ricerca e produzione in tutto il mondo. In oncologia l’azienda Usa conta 2 farmaci approvati, 9 designazioni di terapia breakthrough dell’americana Fda, 21 progetti in fase di sviluppo iniziale o preclinico, 3 in fase avanzata e oltre 250 trial clinici in corso.
I risultati sono quelli di una nuova analisi condotta nell’ambito del trial che associa venetoclax con rituximab in pazienti con Llc refrattaria o recidivante, trattandoli per un periodo definito pari a 2 anni: di 121 che hanno raggiunto uno stato di malattia residua minima Mrd non misurabile (su 10 mila cellule del sangue, meno di una), l’83% conserva questa condizione per un tempo mediano di 13,8 mesi. E i tassi di risposta sono consistenti indipendentemente dai fattori di rischio genetici.
“Questi dati, insieme ai circa 14 mesi liberi dalla progressione della malattia nei pazienti che hanno mantenuto uno stato Mrd negativo, sono una scoperta incoraggiante”, commenta Peter Hillmen del Leeds Teaching Hospital, Uk, ricercatore del trial che ha confrontato venetoclax più rituximab con la chemio-immunoterapia bendamustina-rituximab, registrando un -81% del rischio di progressione o morte, un tasso di risposta complessivo del 92% contro il 72% e un 40% circa di malati Mrd negativi.
Deborah di combinazione ne ha assunta un’altra, ma con venetoclax la sua leucemia sembra sparita. Almeno al momento: “Ora sono completamente libera, mi sento bene e sono grata alla scienza e agli scienziati”. Soprattutto al presidente eletto dell’Eha John Gribben, Queen Mary University di Londra, che nella capitale inglese l’ha curata al St. Barts Hospital e che riascoltando la storia di Deborah non è riuscito a trattenere le lacrime.
In collaborazione con AdnKronos
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