Così non va: gli arbitri non devono rovinare le partite

Il weekend di Serie A ha lasciato una lunga scia di polemiche per diverse direzioni arbitrali. Le discussioni impazzano su quale sia il metro di giudizio da tenere e su alcune decisioni che proprio hanno lasciati scontenti i tifosi dell’una e dell’altra parte. Probabilmente, si sta sempre più evidenziando un problema di mentalità, ancor prima che di bravura, e che deve essere risolto negli alti ranghi del calcio italiano e con tutte le parti in causa.

Milinkovic
Le proteste dopo il giallo a Milinkovic-Savic – Nanopress.it

Il football all’italiana ha un’identità  ben precisa e che ci viene riconosciuta in tutto il mondo, dividendo da sempre i tifosi. Nelle ultime settimane di calcio convulso e frettoloso, senza spazi per soste e respiri dovuti, abbiamo assistito, però, a una presenza sempre più ingombrante degli arbitri, che con quell’identità corposa, ruvida e passionale che ci rispecchia ha veramente poco a che fare. E sta diventando un problema per lo spettacolo, prima ancora che una questione di parte.

Gli errori degli arbitri hanno rubato la scena anche in questo weekend

Il ponte lungo sì, ok, ma il calcio non si dimentica. Anzi, la via delle pantofole e del divano è segnata, anche del junk food volendo, senza pentimenti del lunedì mattina. E lo spettacolo non è mancato, per carità, aspettando Verona-Roma e Monza-Bologna, ma molti sono rimasti anche con l’amaro in bocca per quanto è accaduto sul terreno di gioco.

Partiamo dal presupposto che il calcio, più che scorpacciate nel vero senso della parola, per via del Mondiale in Qatar, ci sta consegnando a una vera e proprio bulimia di eventi, in senso largo. Si gioca ogni tre giorni, senza se e senza ma, a discapito anche della condizione fisica, della salute e della preparazione fisica dei professionisti in campo. Sia chiaro: è tutto diverso, e spesso i valori in campo si equilibrano pure, se il tuo avversario ha la possibilità di studiarti a lungo, mentre i tuoi hanno a malapena il tempo di recuperare le energie e la leggerezza di gambe.

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Sergej Milinkovic-Savic – Nanopress.it

Una diversità di calendario che, quindi, si traduce in qualche tranello più del solito alle big. Chiedete alla Lazio e al Milan per crederci. E proprio in quelle due partite, gli arbitri hanno avuto tanto da far discutere. Partiamo da quanto successo all’Olimpico: i biancocelesti corrono per le prime posizioni in classifica e senza alcuna intenzione di fermarsi, ma la Salernitana ha fatto inciampare gli uomini di Maurizio Sarri in un brutto stop casalingo, per molti inaspettato, con il risultato di 1-3.

Male, malissimo per le ambizioni di classifica e anche per un’altra sentenza sparata dritta nel muso dei tifosi della Lazio al 72esimo minuto. Sergej Milinkovic-Savic, l’epicentro del gioco dei biancocelesti e subentrato per risollevare una squadra già orfana di Ciro Immobile infortunato, porta palla a centrocampo, poi la gioca con l’esterno, ma il suo piede destro impatta contro le gambe di Dylan Bronn che era entrato per contrastare l’avanzata del serbo. L’arbitro Gianluca Manganiello assegna il fallo ai campani e ammonisce anche Milinkovic-Savic. Un giallo pesantissimo che non consentirà al centrocampista, che era diffidato, di partecipare al derby contro la Roma. Il campione della Lazio lascia il campo in lacrime a fine gara.

Ovviamente, sui social e non, è scoppiato un putiferio. La maggior parte dei tifosi ha ritenuto la decisione di Manganiello veramente eccessiva e per molti non era neanche fallo. Poi c’è chi, invece, anche per questioni di parte, ha dato ragione al direttore di gara, ma c’era da aspettarselo. In ogni caso, una partita spettacolare come Roma-Lazio sarà privata probabilmente del suo protagonista principale per ciò ha espresso sul campo nelle ultime stagioni. Ed è un’ingiustizia per lo spettacolo, prima ancora che per Sarri.

A proposito, il tecnico non l’ha presa affatto bene. Nel postpartita si è morso la lingua e ha detto senza mezzi termini: “Non era neanche fallo. Se dico ciò che penso mi danno sei mesi di squalifica”. Eloquente e dritto al punto, senza possibilità di contrattaccare.

E facciamo un passo indietro, raccontandovi quanto è successo il giorno prima. Lecce-Juventus è stata una partita tirata e indecisa per larga parte, almeno fino a quando Nicolò Fagioli non ha tolto dal cilindro un tiro a giro meraviglioso che ha tolto le castagne dal fuoco a Massimiliano Allegri e ai suoi ragazzi. Anche lì, però, c’è stato un episodio controverso: Miretti è intervenuto con il piede a martello su Oudin. Il web insorge urlando al rosso e considerandolo un episodio simile a quello per cui Federico Dimarco non era stato espulso in Fiorentina-Inter e giudicato univocamente come rosso. Anche in questo caso, Daniele Chiffi, però, ha estratto solo il giallo, scatenando l’ira dei tifosi avversari e dei calciatori in campo.

E nell’anticipo del sabato sera, quello tra Inter e Sampdoria, anche lì, soprattutto prima del gol di Stefan de Vrij, la gestione del match da parte di Luca Massimi non è affatto piaciuta. Il metro di giudizio non si è mai capito, alcuni falli sono stati fischiati alla controparte e anche il lavoro dei guardalinee non ha convinto. I calciatori dell’Inter più volte si sono avvicinati a protestare, poi la partita ha preso un chiaro indirizzo e la conduzione di gara è passata in secondo piano, ma non è piaciuta.

E per chiudere in bruttezza, Torino-Milan non ha affatto lasciato soddisfatti i tifosi. Infatti, il gol di Junior Messias è scaturito da un fallo piuttosto netto da parte dell’esterno d’attacco che non è stato ravvisato dal direttore di gara e che rischiava di dare un’altra svolta alla partita. Così non è stato, ma resta un errore che da molti è stato definito grave.

Una riflessione sugli arbitri è doverosa per non nuocere allo spettacolo

Gli arbitri di oggi sono molto diversi da quelli che dirigevano le partite dieci o venti anni fa. E non è solo una questione di bravura, che comunque conta, ma di metro e di volontà di mettere mano sulla partita.

Da sempre, si parla di rendere un po’ più anglosassone il calcio italiano ed europeo, almeno in questo. Di lasciar correre il gioco, senza scuse, per far sì di vedere una partita con più ritmo, ribaltamenti di fronte da una parte e dell’altra e anche per enfatizzare le doti difensive dei singoli calciatori che comunque in Serie A non sono affatto mediocri. E l’arbitraggio non segue neanche le esigenze delle squadre, perché comunque diversi club italiani si stanno impegnando per proporre un calcio più aperto e offensivo, trame di gioco più complesso, possesso palla e verticalizzazioni ficcanti che non possono avvenire con uno spezzettamento continuo della partita. E si pensi al fatto che il gioco effettivo nei novanta minuti è stato rilevato a 60 minuti, pochissimi.

Sembra una frase banale, ma l’arbitro deve evitare di essere il protagonista della partita, più di quanto non lo sia già in partenza. E l’articolo determinativo non è affatto banale. Deve punire meno, se non è dovuto, e pensare anche al contorno emotivo, all’andamento di una partita, per non incattivirla ulteriormente e perderne il controllo. O stringendo le redini, viceversa.

Capita sempre più spesso, infatti, di vedere nei campi di Serie A che i calciatori iniziano a perdere le staffe ai primi episodi controversi. Si tratta, quindi, sì, di eventi in particolare ma anche di un certo tipo di cultura italiana delle proteste e dell’enfasi sugli eventi partita, piuttosto che di calcio puro in sé e per sé.

Il cambio di marcia ora è doveroso e non può ammettere deroghe, soprattutto perché si parla del destino del calcio italiano e già in occasione dell’ultima esclusione dalla Nazionale ai Mondiali abbiamo capito cosa voglia dire. Ma da cosa dovrebbe partire un cambiamento di questo tipo? Innanzitutto, dall’AIA, dai regolamenti. Perché è lì che determinati protocolli, fin troppo rigidi, sono partiti e sono stati comunicati alla classe arbitrale.

Si pensi al pestone che automaticamente fa scattare il cartellino giallo, ma in mezzo ci sono un gran numero di sfumature differenti e non possono essere lette alla stessa maniera. O ai falli di mano, per cui già alcuni passi in avanti sono stati fatti, ma non è ancora abbastanza. Nel 2022, l’essere umano si deve mettere al passo del Var e dei suoi meccanismi, ma non deve essere un ossequio o uno scarico di responsabilità fine a se stesso, bensì uno strumento in più da affrontare con un mix sapiente di autorevolezza o umiltà. Un lavoro di squadra da cui tutti dovrebbero ripartire, più uniti e senza problemi ad accettare le decisioni finali.

La sensazione, invece, è che negli arbitri ci sia una certa paura di fondo nel lasciarsi scappare la partita, esagerando con i cartellini gialli, per far sì di placare l’esagerato agonismo di certi calciatori o per avvalersi di una sorta di autorità che, però, è già insita nel ruolo. Lo scatto di mentalità deve essere unito tra direttori di gara e calciatori e deve mirare alla valorizzazione dello spettacolo in sé e per sé, per esportare anche il prodotto italiano a livello europeo e mondiale e permettere ai nostri club di stare bene al di fuori di ciò che succede nei nostri confini.

E lasciateci chiudere con una piccola riflessione. In un calcio congestionato come quello di questa fase pre-Mondiale e con tanti infortuni di big al seguito, vedere i nostri big match privati di protagonisti importanti come Milinkovic-Savic è veramente troppo. Per carità, nel caso in cui la decisione fosse palesemente giusta e il serbo avesse meritato il cartellino giallo, non ci sarebbero stati problemi di nessun tipo. Ma di fronte a un episodio di questo tipo, pensarci due volte prima di sanzionare il centrocampista sarebbe stato più giusto. E su questo dovrebbero essere tutti d’accordo, a prescindere dal tifo.

 

 

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